Posts written by Valerie77

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    (...segue)

    7. “The Game” (1980)


    Cambia il decennio e la band si apre a sonorità non più legate all’immaginario dei ’70. Lo si capisce già dal look della band, che somiglia a una gang di biker. Sono però le canzoni a sorprendere maggiormente: l’utilizzo di sintetizzatori porta i Queen ad esplorare territori musicali inediti, con cui rinvigorire una formula che rischiava di farsi ripetitiva. Il risultato è un album che coniuga il classico songwriting del gruppo e il desiderio di aprisi a generi differenti. Another One Bites the Dust, col suo incedere fortemente black, diventa il loro maggior successo di sempre e li porta a scalare le classifiche americane.


    6. “Sheer Heart Attack” (1974)


    Seconda opera del 1974, Sheer Heart Attack rappresenta l’ultimo tassello evolutivo prima dell’esplosione su scala mondiale. Sempre più consapevoli delle proprie potenzialità, e nonostante l’assenza per lungo tempo di Brian May per problemi di salute, i Queen compongono il loro primo album classico, che li porta a scalare le classifiche grazie a Now I’m Here e, soprattutto, Killer Queen. Per la prima volta, John Deacon appare come autore di canzoni con la singolare Misfire. Per molti musicisti e addetti ai lavori è l’album migliore della discografia.


    5. “News Of The World” (1977)


    Dopo la sbornia di sovraincisioni del passato, complice anche l’arrivo del punk, i Queen rendono la musica meno stratificata senza tuttavia rinunciare alla loro tipica grandeur. Lo provano le iniziali We Will Rock You e We Are the Champions, inni che nel giro di qualche tempo diventeranno patrimonio di ogni rocker (e amante dello sport) sulla faccia della terra. Tutto l’album convince, soprattutto grazie a un songwriting maturo e alla produzione essenziale di Mike Stone, lontana anni luce dagli eccessi sonori degli esordi. My Melancholy Blues è il brano da riscoprire.


    4. “Queen II” (1974)


    Il secondo album trasforma la band. Il sound si fa più corposo e sicuro, così come è evidente il desiderio di utilizzare al meglio le possibilità offerte dai Trident Studios. L’immaginario L’uso massiccio di voci, armoni e strumenti stratificati fa del disco uno dei grandi pilastri dell’hard rock inglese. L’album era diviso fra Lato Bianco, composto per lo più da May, e Lato Nero, opera di Mercury. Ogre Battle e The March of the Black Queen sono i classici nascosti.


    3. “A Day at the Races” (1976)


    Aspramente criticato dalla stampa specializzata, che lo considerò frettolosamente una copia minore di A Night at the Opera, il quinto album dei Queen rappresenta in realtà il gemello del precedente, col quale condivide tanto l’ambizione quanto la voglia di superare gli stilemi classici del rock. E poi contiene Somebody to Love, una delle tracce più celebri dell’intera storia della musica popolare che, da sola, vale l’intera discografia di decine di altre band. Forse manca l’effetto sorpresa, ma le promesse sono mantenute dall’inizio alla fine. Da recuperare Drowse, uno dei brani migliori scritti da Roger Taylor.


    2. “Innuendo” (1991)


    Il vero capolavoro della maturità. Stremati dalle condizioni di salute di Mercury e consci di avere i giorni contati, i Queen si ripresentano sul mercato discografico con un’opera epica e debordante, in cui testi e sonorità sono drammatici, ma mai disperati. È un inno alla vita e alla determinazione nell’andare avanti nonostante tutto, attaccandosi a ciò che di bello e di terribile l’esistenza dà. Con la title track, ma anche con le maestose All God’s People, These Are the Days of Our Lives e la conclusiva The Show Must Go On, i Queen toccano vette inimmaginabili per un gruppo arrivato a quel punto della parabola artistica e umana.


    1. “A Night At The Opera” (1975)


    Se davvero esistesse una classifica dei dischi oggettivamente perfetti, A Night at the Opera ne farebbe parte. Esagerata, barocca e decadente, la quarta prova in studio rappresenta la quintessenza della musica, della visione e della sfrontatezza dei Queen e di ogni suo componente del gruppo. Da qui in avanti, ogni loro opera uscirà sconfitta dal paragone con A Night at the Opera e, soprattutto, con Bohemian Rhapsody, classico senza tempo su cui nessun discografico avrebbe scommesso un centesimo nel 1975. E se vi siete stancati di Boh Rhap, andatevi a recuperare Death on Two Legs o The Prophet’s Song…


    FONTE
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    Tutti gli album dei Queen, dal peggiore al migliore


    di Luca Garrò
    Da 'A Night at the Opera' a 'Made in Heaven', il meglio e il peggio dalla discografia di uno dei gruppi più idolatrati e fraintesi della storia

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    Stilare una classifica degli album di una band dal peggiore al migliore è un compito ostico. Lo è ancora di più quando il gruppo in questione è uno dei più discussi, idolatrati e spesso fraintesi della storia del rock. Nel caso dei Queen, una band che ha rivoluzionato il concetto di intrattenimento musicale, le cose si complicano ulteriormente: album dal vivo come Live Killers o Live at Wembley vengono infatti considerati dai fan alla stregua di quelli registrati in studio. Abbiamo quindi deciso di concentrarci solo su quest’ultimi, con l’esclusione di The Cosmos Rocks, primo e unico lavoro senza Freddie Mercury e John Deacon in formazione.

    15. “Flash Gordon” (1980)


    Commissionato da Dino De Laurentiis per accompagnare l’omonimo film basato sulle avventure dell’eroe dei fumetti creato da Alex Raymond, Flash Gordon ha permesso ai Queen di continuare a sperimentare con elettronica e sintetizzatori insieme al produttore tedesco Reinhold Mack. La scelta di pubblicare l’opera come vero e proprio album da studio e non come colonna sonora si rivelò controproducente, tanto che anche i die hard fans del gruppo la accolsero con meno entusiasmo del solito. Un unicum nella loro carriera, che tuttavia non impedì al singolo Flash di scalare le classifiche e a The Hero di farsi apprezzare dal vivo.


    14. “Made In Heaven” (1995)


    L’album postumo dei Queen non sfigura rispetto al resto della discografia, ma è il meno omogeneo della loro carriera, se non altro perché i pezzi provengono da session lontane nel tempo. Paradossalmente, i brani più validi sono quelli nati all’interno del gruppo, ma utilizzati dal solo Mercury nei suoi progetti solisti. Made In Heaven e I Was Born to Love You, risuonati da May, Taylor e Deacon, acquistano un altro valore. A Winter’s Tale e Mother Love, forse le ultime composizioni portate a termine in vita da Freddie, sono fra le cose migliori.


    13. “Hot Space” (1982)


    Oggetto di aspre critiche e infinite discussioni tra i fan, a più di trent’anni dalla pubblicazione Hot Space resta l’album più controverso di Mercury e compagni. Le sonorità disco di gran parte dell’opera sconcertarono a tal punto lo zoccolo duro dei fan, da far passare inosservati pezzi come Life Is Real, Put Out The Fire o Las Palabras De Amor che, come la celeberrima Under Pressure, non avrebbero sfigurato vicino ad altri classici del passato. Suonato dal vivo, molto materiale di Hot Space acquisì uno spessore superiore, a dimostrazione del fatto che i Queen sapessero comunque portare a casa il risultato anche in momenti di grossa difficoltà.
    (** Questo fu l'album che venne accostato maggiormente a Thriller, o per meglio dirla tutta.. molti fan dei Queen sostengono Michael Jackson abbia preso ispirazione per Thriller da questo album dei Queen. E' vero che in quel periodo Michael e Freddie erano in contatto essendosi anche incontrati per registrare delle canzoni insieme.. e Michael andava spesso, come sappiamo, a vedere i Queen in concerto quando erano al Forum di Los Angeles. Così come è vero che di sicuro aveva ascoltato Another One Bust the Dust ( uscita con l'album precedente dei Queen ,The Game ( 1980) ) spingendoli a far uscire la canzone come singolo e intuendo che sarebbe stata un enorme successo, come di fatto è avvenuto. Ma.. ecco il ma.. Hot Space esce il 21 maggio del 1982 e Thriller il 30 Novembre dello stesso anno. Considerato che non ci sono mai stati audio che dimostrino che Michael abbia mai detto di essersi ispirato all'album dei Queen e considerata la vicinanza di uscita dei due LP, decreto questo rumor per quello che è, solo una leggenda metropolitana**)


    12. “The Works” (1984)


    Reduce dalle polemiche legate a Hot Space e mai così vicina allo scioglimento, la band rientra in studio con l’intento di recuperare pubblico e credibilità. Il risultato è raggiunto grazie a una manciata di brani che ammiccano alle classifiche (Radio Ga Ga, I Want to Break Free) e riattualizzare stili come l’hard rock e il rock barocco grazie ai quali avevano avuto successo negli anni ’70 come Hammer to Fall, Tear It Up e It’s a Hard Life. È l’unico album dei Queen in cui tutti e quattro i componenti firmano una canzone estratta come singolo.


    11. “Jazz” (1978)


    A dispetto della presenza di hit conosciutissime come Bicycle Race, Fat Bottomed Girls e Don’t Stop Me Now, Jazz è forse l’album meno a fuoco tra quelli prodotti dalla band negli anni ’70. La scelta di spaziare tra troppi generi, figlia anche dei frequentissimi e feroci litigi tra i musicisti, non aiutò a trasformare un buon disco in un grande disco. Nemmeno il ritorno in cabina di regia di Roy Thomas Baker, a distanza di tre anni da A Night at the Opera, riuscì ad invertire la rotta. Contiene comunque perle da riscoprire come Jealousy e la travolgente If You Can’t Beat Them di John Deacon.


    10. “Queen” (1973)


    Quello da cui tutto ebbe origine. Un lavoro travagliato, composto molto prima di essere pubblicato e portato a termine nei tempi lasciati liberi da David Bowie negli studi Trident di Londra durante le registrazioni di The Rise and Fall of Ziggy Stardust and The Spiders from Mars. Spontaneo ma ancora acerbo, il debutto dei Queen è debitore in egual misura tanto del prog che del rock di band come Led Zeppelin e Who, ma mostra già in nuce alcune delle caratteristiche che li avrebbero resi celebri. Tra i brani più significativi spicca Doing All Right, nata ai tempi degli Smile, il gruppo pre Queen formato da Brian May, Roger Taylor e Tim Staffell.


    9. “A Kind of Magic” (1986)


    Spinti dal successo stratosferico dell’esibizione al Live Aid e chiamati a realizzare le musiche per il film Highlander, i Queen ritrovarono l’entusiasmo di un tempo e registrarono uno dei loro lavori migliori. Abbandonata l’elettronica, la band tornò a lavorare su sonorità più fedeli alla loro storia, puntando su un pop-rock di facile presa, ma non per questo meno ricercato. Le sferzate hard di Gimme The Price, One Vision e Princes Of The Universe, unite alla dolcezza di One Year of Love e Who Wants to Live Forever, dimostrarono che la band non avesse perso nessuna delle proprie anime.


    8. “The Miracle” (1989)


    Epico, autoreferenziale ed energico, The Miracle poteva essere l’ultimo capitolo della storia della band. Dopo una vita di soddisfazioni ma anche di litigi, May, Taylor e Deacon si compattarono intorno a Mercury, ormai consapevole del proprio destino e, per la prima volta, decisero di accreditare tutti i brani a nome Queen. La varietà di stili, accomunati da una potenza che non si sentiva da anni, portò alla pubblicazione di ben cinque singoli e alla composizione di Was It All Worth It, vera perla dimenticata di una band consapevole di non avere più tempo, ma desiderosa di dimostrare di avere ancora molto da dire.


    ....( continua)
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    Foto "inedita", dal set per lo spot commerciale Pepsi del 1984. Fotografo: Michael Leshnov

    ** L'immagine sembra fortemente ritoccata con qualche eccesso di colore ( specie nella capigliatura centrale dove si distingue ormai una macchia scura uniforme, tipica del retouche) Stessa sorte pare essere toccata all'incarnato. Resta tuttavia una foto che non ho mai visto prima, ma avrei apprezzato molto di più la pubblicazione anche dell'originale

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    Un animazione " belliffima" 😍😍....da un set di foto

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    Freddie Mercury: la Regina dell'Arte



    1976


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    Mercury è un nome perfetto per Freddie. Con una vita dai ritmi incredibilmente veloci, imprevedibili cambiamenti d'umore che lo portano da una sfrenata euforia alla disperazione totale, è il tipo di persona che non si può dimenticare, neppure dopo un solo incontro.

    Freddie stesso, afferma:
    “E' tutta questione di stile”
    “E' la parola chiave per ogni cosa”, ha dichiarato, “Bisogna sempre avere uno stile impeccabile”.

    E di stile Freddie ne ha sempre avuto.
    Soldi meno, almeno fino a poco tempo fa. Agli inizi gestiva uno stand al Kensington Market per potersi permettere gli abiti ricercati che desiderava. Sete, rasi e pellicce non costano poco, a meno che tu non ti trovi dietro al bancone, anziché di fronte, quindi è lì che Freddie si è piazzato.
    Ed il poco che guadagnava con lo stand andava nei piccoli lussi necessari allo stile di vita di Mercury; come mangiar fuori ed avere un autista.

    Fortunatamente per tutti, i Queen sono riusciti ad arrivare molto in alto, ed avendo Freddie composto “Bohemian Rhapsody”, può ora permettersi di concedersi ciò che desidera.
    Dopo che il single è rimasto al numero uno per tre settimane, Freddie si è coraggiosamente comprato una Daimler, affidandola al suo autista Obrek che nell'ultimo anno lo ha accompagnato dovunque.

    In questo periodo, mentre Freddie è in America, l'auto, che ha la guida a sinistra, è in fase di revisione totale. Verrà dipinta di un bianco squillante e dotata di una serie di optional come un mini-bar, dei nuovi interni, uno stereo ed un frigo!

    Ma riguardo a Freddie, c'è molto di più.
    Per cominciare è il componente più creativo del gruppo. Ha letteralmente ideato la loro immagine: l'abbigliamento in bianco e nero, il loro spettacolo, l'uso sapiente di lampi e di fuochi d'artificio.

    Ma in mezzo a tutto questo bagliore e a tutti questi colori, c'è un altro lato di Freddie, una vena più cupa e più seria.
    Vive quasi costantemente in uno stato d'ansia. Lunghe ore passate in studio o in tour possono renderlo nervoso e se qualcosa va storto tende a farlo sapere a tutti … a voce alta!
    Infatti, durante il tour britannico della band, i roadies si sono improvvisamente accorti, subito prima di uno show, che nessuno si era ricordato di comprare il mazzo di rose che Freddie ogni sera a fine spettacolo è solito lanciare.

    Piuttosto che rischiare la sua collera, hanno fatto una riunione d'emergenza nel backstage e, pochi minuti dopo, un'auto della polizia ha lasciato il teatro a sirene spiegate, diretta al cimitero più vicino!
    Con grande senso di colpa, gli agenti sono sgattaiolati all'interno ed hanno prelevato il mazzo di rose più fresche che sono riusciti a trovare, per poi rientrare di gran carriera con il loro bottino!

    Fortunatamente Freddie ha saputo ciò che avevano fatto solo in seguito!
    Poche sere dopo, durante quello stesso tour, un fan eccessivamente entusiasta ha strappato un ciuffo di peli dalla giacca di volpe di Freddie, che ha esclamato: “Ma sul serio, tesoro? Ma ti pare?”

    L'abbigliamento di Freddie, comunque, è unico; effettivamente deve essere uno dei pochi cittadini britannici a non possedere un paio di jeans!
    Dice che non li vorrebbe neanche morto. I suoi pantaloni sono sempre di raso, le sue camicie sempre di seta, mentre le giacche di solito sono di pelliccia o di velluto.

    L'appartamento di Freddie, di contro, è vagamente cupo: è tappezzato con tendaggi di velluto pesante, ha un arredamento scuro ed è sovraffollato da tutti i suoi ninnoli. Proprio come Freddie, è pieno di vita, artistico e di gran gusto.

    I suoi due gatti, Tom dal pelo bianco e nero e Jerry, un gattone dal morbido pelo rosso, sono i padroni di casa. Prima di sedersi, è meglio controllare bene la sedia per esser certi che non sia già occupata da un gatto!
    Freddie, però, non ha intenzione di rimanere lì ancora a lungo. E' alla ricerca di qualcosa di nuovo già da molto tempo.
    “Dovrà essere un posto molto grande”, dichiara, “grande abbastanza per il mio pianoforte a coda che nel mio appartamento attuale tende ad incombere nella stanza; quindi vorrei un posto un po' più ampio in cui potrei posizionarlo in un modo migliore”.
    Tuttavia, benché la sua bella e paziente fidanzata Mary, stia cercando già da tempo e gli abbia mostrato potenziali abitazioni svariate volte, Freddie riesce sempre a trovare qualche cosa che non gli va: quindi la ricerca continua.
    Hanno anche dovuto rinunciare all'ultima residenza che Mary aveva scovato, quando il venditore ha realizzato chi era effettivamente Freddie ed ha immediatamente alzato il prezzo.

    Uno degli svantaggi di avere un innamorato famoso.

    Come si può immaginare, Freddie è molto esigente riguardo al suo look sul palco e le sue tutine sono fatte su misura da Chrissie, la sua stilista. Durante l'ultimo tour aveva due vestiti con piccole ali alle caviglie, a rispecchiare il suo nome.
    Come ricorderete, Mercurio (Mercury in inglese n.d.t.) era il messaggero della mitologia greca: il dio dalle caviglie alate per aiutarlo a volare.
    Con i suoi costumi di scena, Freddie indossa smalto per unghie nero che non è sempre facile da trovare, specialmente nei centri più piccoli.

    In diverse occasioni, durante quest'ultimo tour, il responsabile del guardaroba è stato costretto a rovistare nelle profumerie locali alla disperata ricerca di un nuovo flacone. [..... potete leggere il resto dell'articolo QUI


    Un sentito " grazie" alla pagina sociale QUEEN UNREAD

    Edited by Valerie77 - 15/10/2019, 12:26
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    39 anni di Dirty Mind: la svolta hot di Prince



    Prince
    Il disco che rivelò Prince al mondo, sconvolse la Warner e aprì le porte alla censura del Parental Advisory: contro la norma sessuale, per la libertà erotica.
    di Giulia Cavaliere

    NELLO SCANTINATO


    Si data all'8 ottobre 1980 uno degli episodi musicali più rivoluzionari dell'intera storia del pop. Prince dà alle stampe il suo terzo album, dopo For you (1978) e il successivo Prince (1979), si intitola Dirty Mind e la registrazione delle otto canzoni che include avviene tutta nello scantinato di casa sua, a Minneapolis, grazie all'utilizzo di un unico registratore a 16 piste che lo accoglie musicista per girca 20 strumenti - sì, da solo. La registrazione è diretta, un poco rough, molto istintiva. In più occasioni Prince ha infatti dichiarato di aver voluto, con Dirty Mind, dare vita a un mondo di canzoni che lui stesso avrebbe desiderato ascoltare e di essersi finamente deciso a mettersi nei panni di sé stesso, liberandosi di sovrastrutture e inibizioni, in primis, artistiche.

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    MUSICA POCO RASSICURANTE


    Fino all'uscita di Dirty Mind l'immagine di Prince è percepita in modo piuttosto anonimo, diciamo pure rassicurante, e questo anche grazie a due dischi musicalmente accoglienti eppure non particolarmente arditi, anzi, sontuosamente soul, sentimentali, a tratti persino sdolcinati, già denotativi di una qualità artistica che andrà mostrandosi progressivamente con pochissimi pari nella storia eppure in nessun modo sconvolgente. Dirty Mind, invece, cambia completamente registro, il sound ora mescola new wave, synth pop, post punk e funk: i suoni patinati lasciano spazio a qualcosa di più sporco. In copertina un Prince mezzo nudo ci guarda con indosso un giubbotto con appuntata una spilla che recita l'avvertimento principe: Rude boy. Ma questo è nulla.


    HOT-POP


    Quello che troviamo dentro il disco, infatti, è molto peggio, a partire dall'incipit che passerà alla storia: There’s somethin’ about you, baby, it happens everytime, whenever I’m around you, baby, I get a dirty mind. It doesn’t matter where we are, it doesn’t matter who’s around. It doesn’t matter I just wanna lay you down in my daddy’s car, it’s you I really wanna drive. E ancora è poco visto quello che queste canzoni non vogliono finalmente nascondere. Sì, perché Dirty Mind è Prince che ci mostra sé stesso e dunque un po' tutti noi, Prince che lascia indietro tutto lo zucchero di un romanticismo posticcio per lasciare spazio a quello vero, che passa attraverso la distruzione dei preconcetti sociali sulla libertà e sulla 'norma' sessuale. In qualche modo, a partire da qui arriva un genere nuovo, potremmo chiamarlo hot pop, explicit pop. Dire senza paure, dirà lo stesso Prince, quello che tutti pensiamo.


    CENSURA


    La fase più calda della censura nei confronti dei testi di canzoni inizierà poco più in là, e sempre grazie a Prince: sarà infatti da datare al al 1985 la nascita ufficiale dello storico bollo Parental Advisory Explicit Lyrics, quando Mary Elizabeth Gore, la moglie dell'allora deputato Al Gore, dopo aver ascoltato la Darling Nikki (contenuta in Purple Rain), si farà portavoce prima di un movimento, Parents Music Resource Center, per convincere artisti e discografici a informare acquirenti e ascoltatori in merito a eventuali contenuti espliciti. Tuttavia ad aprire le danze di questa nuova terribile fase della censura made in USA è proprio l'uscita di Dirty Mind che, dopo aver sconvolto i discografici a tal punto che il manager di Prince, Steve Fargnoli, deve combattere aspramente con la Warner affinché pubblichi quei demo, colpisce direttamente il bigottismo con brani che parlano esplicitamente di amplessi, piacere ma pure incesto e molto altro, senza ritegno ma pure senza il desiderio esplicito di scioccare qualcuno.


    FINALMENTE ME STESSO


    "Non volevo essere scioccante, volevo essere me stesso", questa la frase che, in varie declinazioni, Prince pronuncerà in merito all'effetto Dirty Mind, che soprattutto resta un disco straordinario, capace di resistere al tempo, base eroica d appassionata del Minneapolis sound, tra cassa in 4/4 e basso magnetico e inevitabilmente erotico; e pure album capace di restituire al pubblico quello che essenzialmente è sempre stato Prince: un bambino vorace di suoni e nuove invenzioni, nuove creazioni sonore e nuovi giochi con gli strumenti che aveva a sua disposizione: tutti, sempre di più.

    7 ottobre 2019 | 09:51
    © RIPRODUZIONE RISERVATA
    FONTE
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    Days Of Our Lives ( SUB-ITA)



    " Days of our Lives" è un documentario Queen Production, uscito per la prima volta nel Maggio del 2011. Contiene molto materiale inedito, per l'epoca, e segue un racconto dagli inizi, attraverso le parole di Brian May e Roger Taylor.
    La prima parte:




    Buona visione :)
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    Freddie Mercury - The Greatest Showman (Sub ITA) 2019



    Un documentario uscito quest'anno, con interviste a Brian e Roger...ai compagni di lavoro di Freddie...Mike Moran, Peter Straker, David Wigg, Tim Staffel..
    e aneddoti particolari raccontati dalla sua fidanzata del college, Rosemary Pearson (Rose Rose)
    Sottotitoli e traduzione ad opera della pagina sociale Queen Unread- Le Traduzione Inedite

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    ELVIS PRESLEY, UNA MORTE ANCORA AVVOLTA NEL MISTERO


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    Il 16 Agosto del 1977 il corpo senza vita di Elvis Presley viene ritrovato dall’allora fidanzata Ginger Alden. Sono le 13:30 di una tranquilla giornata di metà estate. La donna apre la porta del bagno della casa di Graceland, a Memphis, e vede il Re del Rock ’N’ Roll riverso sul pavimento. L’arrivo in ospedale – il Baptist Memorial Hospital – avverrà solamente alle 14:55 e alle 15:30 i medici constateranno il decesso di Elvis. Il cantante aveva solo 42 anni. La sua morte è ancora avvolta nel mistero. Una scia di domande senza risposta e punti oscuri che si trascina da Graceland fino ad oggi.

    MORTE DI ELVIS: UN MISTERO LUNGO 42 ANNI


    Quando alle 13:30 di quel fatidico 16 Agosto Ginger Alden trova il cadavere di Elvis Presley la situazione appare immediatamente tragica. Il cantante è riverso sul pavimento del proprio bagno – a Graceland – e non dà segni di vita. Poche ore dopo infatti, il personale sanitario del Baptist Memorial Hospital ne ufficializzerà il decesso. Causa: arresto cardiaco. Con questi punti fermi, perché la morte di Presley è ancora avvolta nel mistero?

    Il punto focale e più oscuro di tutta la vicenda è il referto dell’autopsia. Sebbene la causa ufficiale sia arresto cardiaco, i risultati raggiunti dai medici – una volta analizzato il corpo di Elvis Presley – non sono mai stati resi pubblici. Da questo sono derivate tutta una serie di speculazioni sulla causa del decesso. Il Re del Rock ‘N’ Roll si trovava nella propria abitazione, con la propria fidanzata ed aveva solo 42 anni. Quali sono le ipotesi più accreditate che danno spiegazione alla morte misteriosa di Elvis?

    LE IPOTESI SULLA MORTE


    Il mistero che avvolge la tragica scomparsa di Elvis Presley si trascina da 42 anni. L’autopsia – svolta al Baptist Memorial Hospital di Memphis – non venne mai resa pubblica. La causa del decesso ufficiale rimane tutt’ora arresto cardiaco. Anni dopo però, il medico personale del cantante disse che Elvis aveva vomitato mentre era stato colpito da un infarto. Il motivo sarebbe stato un uso eccessivo di psicofarmaci, anfetamine, barbiturici e stimolanti. Sostanze ritrovate nel suo corpo.

    Fermo restando le dichiarazioni del medico di Presley, altre ipotesi si orientano su un decesso dovuto al consumo di droghe. Secondo queste speculazioni, l’autopsia – mai pubblicata – rilevò 16 sostanze diverse nel corpo del cantante. Di tutt’altro regime le ipotesi che additano come causa il peso eccessivo. Sembra che Elvis superasse le proprie paranoie mangiando in modo spropositato e del tutto sbagliato. Con un 1.82 m di altezza si dice che – al momento della morte – pesasse ben 160 kg. – abbastanza per portare ad un infarto.

    Da tenere in considerazione anche l’ipotesi di un decesso per shock anafilattico. Elvis Presley faceva largo uso di farmaci per alleviare un dolore ai denti. Farmaci che contengono – in dosi massicce – la codeina. Questa avrebbe potuto – in ultima analisi – provocare nel cantante una reazione allergica letale. Infine, figura tra le possibili ipotesi del decesso del Re del Rock ‘N’ Roll una patologia, che si sarebbe potuta risolvere solo con un intervento chirurgico. Sembra che Presley soffrisse infatti di costipazione cronica.

    UN FUNERALE FINTO?


    Ancora più che le ipotesi sulla morte di Elvis Presley, ciò che rimane nel dubbio è proprio la morte stessa del cantante. Non sono pochi coloro che ritengono che in realtà il Re del Rock ‘N’ Roll non sia mai deceduto. Il suo funerale sarebbe stata una messinscena – organizzata ad hoc per far credere a tutti nella sua scomparsa. La causa scatenante di questa ipotesi cospirativa sarebbe la foto scattata – dal cugino di Elvis – durante la cerimonia funebre. Il corpo appare pallido e deperito – troppo magro per le attestate condizioni di Elvis nell’ultimo periodo. La sensazione che si ha – guardando la foto – è che si tratti proprio di un uomo di cera.

    Le speculazioni su una messinscena – organizzata dal cantante stesso – per simulare la propria morte, iniziarono a circolare ovunque. Tanto più che – poco tempo dopo la deposizione della bara – sulla lapide apparve il secondo nome di Elvis con due A. Aaron invece che Aron. Sembra anche che – al momento del funerale – il feretro pesasse 410 kg. Un peso eccessivo, anche nel caso in cui Elvis Presley fosse stato sovrappeso. Questo ha fatto immaginare la presenza di una statua di cera con impianto di raffreddamento – per impedire che si sciogliesse.

    CONTATTI SEGRETI E ESPOSIZIONE POPOLARE


    La messinscena della morte di Elvis Presley non è mai sembrata troppo assurda. Tanto più che il Re del Rock ‘N’ Roll – come altri suoi colleghi musicisti – si schierava a favore del capitalismo, di una società diversa. La sua esposizione mediatica e popolare e i messaggi veicolati dalla sua musica, lo mettevano al centro dell’attenzione di chi stava al potere.

    Sembra anche che – proprio il giorno della sua morte – Elvis dovesse testimoniare contro un narcotrafficante, al fianco di Nixon. Questo ha fatto nascere l’ipotesi che il cantante sia rientrato in un programma di protezione testimoni. La sua morte – quel 16 Agosto del 1977 – sarebbe quindi un omicidio, commissionato dagli affiliati dell’uomo contro il quale doveva testimoniare. La scorta – indetta dal presidente – non sarebbe stata sicura. Elvis Presley sarebbe stato ucciso e le prove occultate.


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    Crazy Little Thing Called Love: un capolavoro fatto con tre accordi e tanta schiuma da bagno


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    La musica dei Queen è fatta, fin dagli esordi della band, di contaminazioni sonore e continui rimandi a generi e stili differenti. Forse fu per questo che, almeno agli inizi, venissero paragonati ai Led Zeppelin, la cui influenza fu certamente innegabile ma non l’unica. Negli album del gruppo, infatti, si trovano riferimenti ai Beatles, gli Who, Hendrix, la musica classica e mille altre cose, mai utilizzate come semplici rifacimenti ma come tributi e, il più delle volte, vere e proprie rielaborazioni generate da uno stile e una sensibilità unici. Prendete, ad esempio, Crazy Little Thing Called Love, scritta nel 1979 da Freddie Mercury: quante volte è stata definita come “una canzone in perfetto stile Elvis Presley”?

    Proprio oggi, 5 Ottobre, nel 1979 il brano veniva dato alle stampe come singolo che anticipava il nuovo album The Game e fu subito rivoluzione. Perché i Queen fino a quel momento avevano realizzato canzoni molto più complesse, dalle sonorità stratificate e suggestive, tutti aspetti che con Crazy Little Thing Called Love vennero rimossi in favore di una semplicità che aveva ed ha ancora oggi i toni della freschezza, senza tuttavia rinunciare alla voglia di sperimentare.

    Il brano venne concepito a Monaco, in una fase della carriera della band davvero importante. Dopo un decennio trascorso a costruirsi una reputazione, non solo in studio ma anche dal vivo, i Queen avevano definitivamente superato le problematiche finanziarie degli esordi e tanto il pubblico quanto la critica (quest’ultima, per la verità, a fasi alterne) li consideravano ormai tra i gruppi rock più importanti della scena musicale, col proprio nome scritto nella storia grazie a capolavori come Bohemian Rhapsody. Detto in altri termini, tra il ’79 e il 1980 i Queen potevano considerarsi a buon diritto arrivati su quella vetta tanto desiderata.

    A quel punto, anche alla luce degli evidenti cambiamenti nel panorama musicale dell’epoca, due erano le scelte percorribili con l’inizio del nuovo decennio: restare ancorati al proprio passato, producendo album e tour che rispecchiassero l’immagine costruita fino a quel momento, oppure ripartire da zero, sfruttando la voglia di progredire e reinventarsi. Inutile dire che i Queen scelsero la strada più complessa e, proprio per questo, affascinante, decidendo di “rifondare” la band, quasi che il 1980 dovesse costituire una sorta di anno zero. Via, quindi, il bando nei confronti dei sintetizzatori, assunzione di un nuovo produttore (il tedesco Reinhold Mack) e addirittura un cambio di look. Gli anni ’80 dovevano conoscere i nuovi Queen e al diavolo il glorioso passato.

    Fu una scelta non solo estetica. Anzi, gli aspetti visivi, a partire dai capelli corti e dai baffi di Freddie Mercury, furono la naturale conseguenza dei nuovi stili sonori verso cui la band si proiettò con entusiasmo, anche grazie all’aiuto di Mack, desideroso almeno quanto i Queen di sperimentare, soprattutto in sala di registrazione. Di fatto assieme costruirono un nuovo sound e Crazy Little Thing Called Love ne fu un esempio perfetto.

    L’origine della canzone è, allo stesso tempo, storia e mito, perché con i Queen è facile che la narrazione dei fatti diventi leggenda. Tutto avvenne a Monaco, in una vasca da bagno profumata nella quale Freddie giocava a fare la “diva”. L’ispirazione avvenne all’improvviso, un semplice ritornello che pretese di sgorgare e rimbalzare tra le pareti ricoperte di piastrelle. Un impulso creativo irresistibile, che fece sobbalzare Freddie e schizzare schiuma tutt’attorno. Per fortuna quella sera non era da solo nella stanza d’albergo e a raccogliere le sue invocazioni fu Peter Hince, roadie dei Queen e autore del libro Queen Unseen nel quale racconta questo incredibile episodio, ormai consegnato ai posteri come perfetto esempio di genesi creativa:

    “Fred canticchiava e tamburellava con le dita sul bordo della vasca da bagno”, ricorda Hince. “Pronunciava ad alta voce alcune note e poi all'improvviso mi sentii chiamare con urgenza. Portami la chitarra, presto, mi urlò Freddie al di là della porta del bagno. Riemerse dalla doccia ancora gocciolante, con l'asciugamano avvolto attorno alla vita e dopo aver attraversato il salotto mi prese lo strumento dalle mani e iniziò a suonarlo pizzicando le corde con le dita. Poi decise che non si poteva aspettare oltre e pretese di radunare il resto della band e i tecnici dei Musicland Studios per incidere quel capolavoro che oggi conoscono tutti”.

    Fu un momento davvero particolare dunque, nel quale Freddie Mercury rivela l'impeto dettato dalla necessità di dare immediatamente vita all'ispirazione. È lui stesso a descrivere la genesi di Crazy Little Thing Called Love in occasione di una delle sue rare interviste dell'epoca, rilasciata al magazine musicale Melody Maker:

    “L'ho scritta mentre ero in bagno. Mi ci vollero cinque o dieci minuti e la provai alla chitarra, uno strumento che non so suonare benissimo. Ma questo limite fu un bene credo, perché mi costrinse a pensare al brano entro un perimetro ben definito, dettato dai pochi accordi che conoscevo. È una buona forma di disciplina. Non potevo sbizzarrirmi troppo e proprio a causa di questa restrizione scrissi un buon pezzo, credo.”

    E' evidente come la volontà di Freddie, e poi del resto della band, fosse in quel periodo quella di limare e semplificare la costruzione delle proprie canzoni, senza per questo rinunciare alla qualità del proprio sound. Era un tentativo per certi versi già iniziato con News Of The World, ma con Crazy e poi l'album The Game i Queen dimostrarono di aver acquisito una maggiore consapevolezza delle proprie intenzioni. Anche le modalità con cui fu registrato il singolo confermano la volontà dei Queen di cogliere l'aspetto più estemporaneo e genuino delle proprie composizioni. Una volta raggiunto lo Studio infatti, ecco cosa avvenne:

    “Freddie, Roger e John incisero la base del brano mentre io ero in giro per Monaco”, ha spiegato Brian May ricordando quei giorni. “Quando sono tornato in studio ho trovato la canzone praticamente già finita così mi sono limitato a incidere un paio di riff di chitarra, peraltro usando una Fender Telecaster (di Roger, ndr) e non la mia solita Red Special. Fu un modo diverso per me di lavorare perché non avevo mai usato quel tipo di chitarra, né l'amplificatore Mesa Boogie, ma il risultato alla fine è stato positivo”.

    Inevitabilmente la versione finale della canzone ricorda lo stile di Elvis Presley e lo stesso Freddie scelse di cantarla in un modo che ricorda davvero il Re, scomparso nel 1978. Del resto i Queen hanno sempre amato quel genere e non è da escludere che più o meno consapevolmente Freddie abbia pensato a Crazy proprio come un omaggio al cantante scomparso da poco. La cosa interessante, ma qui entriamo nell'ambito del mito, è che la storia di questo singolo pare si sia intersecata anche con la vicenda artistica di John Lennon. Secondo alcune fonti ben informate dell'epoca infatti, sembra che Lennon, una volta sentita Crazy Little Thing Called Love, fu stimolato verso il ritorno alla scrittura. Il risultato fu l'album Double Fantasy, il cui stile riverbera di quelle atmosfere anni '50 e '60 rintracciabili nel singolo dei Queen.

    Ma il mito di Crazy Little Thing Called Love non si fermò ai solchi del vinile, ma divenne anche un video promozionale realizzato dalla band assieme al regista Dennis DeVallance, i cui contenuti furono ancora una volta antesignani di ciò che sarebbe avvenuto di lì a poco nel mondo della musica.

    I quattro membri della band si presentano davanti alle telecamere vestiti completamente di pelle e Freddie ammicca di continuo attorniato da un gruppo di ballerini, una trovata scenica diventata ormai consuetudine in tutti i video musicali contemporanei. E, sebbene in quelle immagini Freddie non sfoggi ancora i suoi proverbiali baffi, appare evidente che il cambio di stile si è ormai compiuto e che dei Queen anni '70 resti ben poco, con buona pace di tutti coloro che all’epoca provarono a rifiutare il cambio di rotta.

    È difficile stabilire se si trattò di una vera e propria rottura con il proprio passato o sei Queen operarono piuttosto un'evoluzione, a quel punto resa inevitabile dalle trasformazioni che stavano radicalmente mutando lo scenario musicale internazionale. Di certo Freddie e soci seppero cogliere le numerose opportunità che un cambio di stile poteva portare, primo fra tutti l'acquisizione di nuove fette di pubblico, meno propense ad apprezzare le costruzioni barocche degli anni '70 ma più inclini ad entusiasmarsi con pezzi pop, essenziali ma non per questo meno validi. Proprio la capacità di intercettare le mode prima ancora che diventassero tali è stato un tratto costante della musica dei Queen e Crazy Little Thing Called Love ha rappresentato la perfetta sintesi tra ciò che avevano acquisito nel passato e tutto quanto erano pronti a creare nell'immediato futuro.

    Naturalmente il brano conquistò il pubblico, diventando un successo internazionale e raggiungendo la vetta della classifica dei singoli più venduti anche negli Stati Uniti, aprendo di fatto la strada ai Queen verso l’America, assieme a un altro pezzo estratto da The Game: Another One Bites The Dust. Entrambe le composizioni riuscirono a fare breccia in un mercato notoriamente diffidente per tutto ciò che proviene dal Vecchio Continente, garantendo ai Queen una popolarità che, nonostante le difficoltà sopravvenute a metà anni Ottanta, perdura ancora oggi.


    In più, Crazy Little Thing Called Love divenne un punto fermo delle setlist di tutti i tour successivi dei Queen, compresi anche quelli che Brian May e Roger Taylor hanno realizzato con Paul Rodgers e Adam Lambert nelle incarnazioni della band successive al 1991.

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    ORIGINAL SOURCE
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    Una più "aggiornata" versione dell'ultima cena..
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    E' notizia di ieri che il Giudice Wu ha deciso molto rapidamente a titolo definitivo di negare la mozione presentata dalla HBO e garantire alla MJ's Estate l'arbitrato che chiedeva.

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    MJ's ESTATE vs HBO [AGGIORNAMENTO] -

    Il Giudice respinge la richiesta di annullamento presentata da HBO



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    Il Giudice George Wu, ha emesso, giovedì ( ieri) una sentenza provvisoria nella quale nega alla HBO la sua richiesta di annullamento/archiviazione del caso presentato dalla Michael Jackson's Estate. Tale sentenza dovrebbe diventare definitiva entro la fine di settembre.
    Gli avvocati della HBO, guidati da Theodore Boutrous, avevano cercato di archiviare il caso in base allo statuto anti-SLAPP della California, che scoraggia le controversie frivole intentate al solo scopo di mettere a tacere argomentazioni di interesse pubblico.

    Wu ha concluso che lo statuto non si applica alle richieste di arbitrato.
    Gli avvocati per la HBO hanno chiesto al Giudice di riconsiderare la sentenza,sostenendo che l'archiviazione voglia dire al mondo intero che non si può parlare di abusi su minori.

    Wu ha tuttavia riconosciuto che la sua sentenza verrà sicuramente impugnata, considerando che le parti in contenzioso sono due aziende molto floride e ( potenti) : Uno scontro fra titani.

    Fuori dal tribunale, John Branca, co-esecutore della Michael Jackson's Estate ha dichiarato che la HBO ha cercato di evitare una messa in onda pubblica di entrambi i lati della storia.

    "Non ho mai visto un' azienda televisiva combattere così duramente per mantenere un segreto", ha detto. "Porteremo tutti i fatti là fuori pubblicamente, non solo le storie di due accusatori con un interesse finanziario".

    Bryan J. Freedman, avvocato per l'Estate, ha rilasciato una dichiarazione , accusando la HBO DI "condotta scorretta".

    "La HBO ha cercato di fare tutto il possibile per evitare che una giuria giudichi i loro illeciti", ha dichiarato Freedman. “Se HBO ritiene che le sue azioni siano state appropriate, non c'è motivo per loro di nascondersi dietro tecnicismi procedurali per evitare un arbitrato o un processo. Che sia un arbitrato in un tribunale federale, in un tribunale statale o in un tribunale d'appello, l'Estate di Michael Jackson costringerà la HBO a essere ritenuta responsabile per il suo comportamento illecito. L'Estate non si fermerà mai fino a quando non sarà stata ottenuta la giustizia. "


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    Senza offesa per l'autrice ma sembra un Adottino gigante.. e io nemmeno quelli in formato ridotto posso vedere :sosi:
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    Chi è... un 'altro che cerca popolarità facile? ( la richiesta dei 50.000 followers ne è la conferma. Vedo nei molti commenti su Instagram la precisa convinzioni che si tratti di un mix da lui creato con NIENTE di inedito.
    Eric Santos per altro non sembra proprio esistere.. musicalmente parlando. Ha 19 anni ( così leggo sulla sua pagina IG), e il nome è stranamente simile ad un artista filippino di nome Erik Santos .. :blabla::blabla:
3948 replies since 8/2/2010
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