Fine di un sogno.........

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  1. arabafenice53
     
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    Avevo iniziato a scrivere questo racconto qualche tempo fa, ma poi l'ho lasciato in sospeso.
    Ora rileggendolo ho capito che lo devo finire e che forse è il caso di farlo ora.

    Per oggi posterò solo le prime pagine.



    Pioveva a dirotto quel 5 dicembre e lei capì che ormai il suo matrimonio poteva dirsi concluso.
    Niente quella mattina lasciava presagire ciò che sarebbe accaduto durante la giornata.
    Come al solito si era svegliata prima di Mauro, La sveglia nella sua testa suonava comunque alle cinque e trenta, anche se ormai.erano anni che non andava più in fabbrica.
    Si girò a guardare suo marito che dormiva con la bocca aperta e anche stavolta non si era accorto che lei si era svegliata e stava per alzarsi.
    Ormai ognuno si alzava e si coricava senza aspettare l’altro, anche se il letto era in comune, sembrava che nel centro si fosse creata una solida barriera .
    Non era stato così all’inizio, anzi quando era ora di andare a dormire, senza dirsi nulla, di solito si ritrovavano nella camera da letto.
    Ridevano e si facevano gli scherzi, si nascondevano le cose, ammiccavano e facevano battutine con il doppio senso, era il modo che avevano scelto per prepararsi al dopo, sembrava così che entrassero meglio in intimità.
    Mano a mano però tutto era cambiato, vuoi il lavoro, i figli, i problemi economici.
    Il divario fra loro si era fatto tanto ampio, che lei accettò di ritornare a lavorare al primo turno e così cominciarono a vedersi soltanto la sera, quando entrambi stanchi non avevano più voglia didiscutere, vedevano la televisione e il primo che crollava sul divano, veniva mandato a letto, su esortazione dei figli.
    Forse tutto iniziò quando un giorno come una tegola che piove dal cielo, arrivò una lettera dalla fabbrica. Strano in tutti quegli anni, non ne aveva mai ricevuta una, se non a Natale, quando la famiglia del proprietario, tutta sorridente, da una fotografia scattata chissà da quale noto fotografo e in una villa sempre diversa, augurava a tutta la famiglia del dipendente “Buon Natale e Felice Anno Nuovo”, stampato sul fondo in lettere dorate.
    Un po’ titubante si accinse ad aprirla, dopo aver salutato il postino, che conosceva ormai da parecchi anni ed aver chiuso la porta accompagnandola con una spalla.
    All’inizio non capì, dovette leggerla due, forse tre volte, prima di mettere a fuoco quello che c’era scritto, poi si asciugò il sudore, perchè nel frattempo gli era venuta una vampata, erano i primi sintomi della menopausa o forse era solo l’agitazione per quello che aveva letto?
    Non ci poteva credere, dopo tanti anni, quella che ormai credeva essere la sua famiglia, la stava elegantemente mettendo alla porta, senza nessun valido motivo e senza neanche avere il coraggio di dirglielo direttamente.
    Erano circa dieci le righe, con cui spiegavano che per motivi di riduzione del personale, seppur malvolentieri, erano costretti a questo passo, per garantire la certezza del salario ad un padre di famiglia.
    La ringraziavano per il lavoro svolto e la dedizione dimostrata verso l’azienda e l’aspettavano il lunedì successivo, per firmare e riscuotere il dovuto, quindi già dal giorno dopo non doveva presentarsi più al lavoro.
    Non si rese conto di quanto tempo rimase seduta, con quella lettera tra le mani, non riusciva neanche più a leggerla, perché ormai quel velo di lacrime che le riempiva gli occhi, non gli faceva distinguere le parole.
    Restò lì guardando nel vuoto e davanti ai suoi occhi cominciarono a scorrere gli anni passati in fabbrica, sin dal giorno del colloquio, svolto per caso e senza la benché minima speranza.
    Quella mattina era dovuta andare al mercato rionale, per acquistare delle pere per la nonna che ormai vecchissima e allettata da anni, aveva espresso il desiderio di poter mangiare: Voglio una bella pera matura.
    Sua madre l’aveva pregata di andarle a fare quella commissione e lei felicissima si era preparata edi buon’ora si era avviata verso il mercato.
    Arrivata alla bancarella dove ormai la mamma si serviva da anni, chiese al fruttivendolo di darle due o tre pere belle pere mature per far contenta la nonna, raccontandogli il desiderio espresso.
    Totò, così si chiamava il fruttivendolo, cioè veramente si chiamava Antonio, ma per tutti ormai era diventato Totò, si fece una bella risata, sotto i baffoni neri che si era fatto crescere, ormai da un paio di anni, per darsi un tono diceva lui e tirando fuori una cassetta, proprio di pere, da sotto il bancone disse: “ Le avevo conservate proprio per la signora Pia, sapevo che un giorno o l’altro le
    avrebbe mandate a prendere.”,le mise in un sacchetto di carta e porgendomele, mi pregò di portare i suoi saluti alla nonna, dicendole che queste pere doveva considerarle un suo regalo. Ringraziò Totò anche a nome della nonna e tornando indietro decise di cambiare strada. Mentre aspettava che il semaforo diventasse rosso, per poter attraversare, lo sguardo si posò su un piccolo manifesto attaccato sul fianco del palazzo, che si trovava alla sua destra. C’era scritto: CERCASI OPERAIA VOLENTEROSA ANCHE SENZA ESPERIENZA DA POTER AVVIARE AD UN LAVORO SICURO E BEN RETRIBUITO.


     
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  2. iwantyouback
     
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    sono qui Graziella :kissing:
     
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  3. Andago
     
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    Cavoli! Meno male che sono entrata a vedere chi scriveva!! Grande Graziella!!!
    Aspetto le prossime pagine, la storia mi ha già incuriosito!!!
    :clapping: :clapping: :kiss2: :kiss2: :kiss2:
     
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  4. BILLA70
     
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    Wow! Graziella, sei brava! Che bello!
    Ora aspetto il seguito anch'io. Fai venire voglia di scrivere anche a me... :vibrate: :vibrate: :vibrate:
    Adesso che farà costei? :kiss2:
     
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  5. arabafenice53
     
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    Grazie per i commenti di chi ha letto.
    Vado avanti..........

    Chi fosse stato interessato poteva recarsi presso l’ufficio del personale, tutti i giorni lavorativi dalle 9 alle 13, seguiva l’indirizzo ed il numero di telefono.
    Si morse le mani, non aveva niente per scrivere e lei poteva essere la persona giusta per presentarsi a quel colloquio.Lesse e rilesse molte volte sia l’indirizzo che il numero di telefono, cercando di imprimere entrambi nella mente e si diresse velocemente verso casa, aveva paura che se si fosse trastullata, si sarebbe dimenticata tutto e il giorno dopo certamente non avrebbe più trovato il volantino, strappato da chissà quale mano.
    Arrivata a casa, segnò sull’agenda sia il numero telefonico, che la via, dicendosi che l’indomani mattina si sarebbe presentata all’indirizzo indicato.
    Non era mai riuscita a ricordare perché il tutto le fosse sfuggito di mente, ma da quel momento non ci pensò più e il giorno successivo andò con la mamma, che doveva fare una visita di controllo e poi dalla nonna che la ringraziò,sia per le buonissime pere che per i saluti di Totò, quindi tornò a casa.
    Solo la mattina successiva, aprendo l’agenda lesse l’appunto e si ricordò. Era ormai quasi mezzogiorno, i colloqui venivano fatti fino all’una e tra l’altro il posto non era vicinissimo a casa sua,
    ma decise di tentare lo stesso.
    Si preparò in pochi minuti e senza dire niente alla madre, uscì. Arrivò tutta sudata, ma in tempo,solo che la segretaria la gelò, dicendole che forse il posto era già stato assegnato. La fece sedere in sala d’attesa, mentre andava a chiedere al capo del personale. Tornò dopo pochi minuti confermandole quello che le aveva già anticipato, ma pregandola di seguirla, perché il Sig. Milozzi la voleva conoscere comunque. Lei si alzò e silenziosamente la seguì.
    Si leggeva sul suo viso tutto quello che le stava passando per la mente e tutta la rabbia per essersi dimenticata un appunta=
    mento così importante. Dopo un lungo corridoio, in cui non si sentiva volare una mosca e con tutte le porte chiuse, arrivarono all’ufficio del capo del personale.
    Si capiva subito che quello era un ufficio importante, sia dalla
    grandezza della stanza che dall’arredamento, sobrio e con pochi soprammobili e quadri, ma sicuramente di valore e poi con una grandissima scrivania di mogano scuro, dove stava seduto, su
    una poltrona di pelle con lo schienale alto, un signore in carne ma non grasso, sui cinquant’anni, che l’accolse, presentandosi con un sorriso. Lei si sentì subito come a casa sua e gli sembrò di conoscerlo da un secolo.
    Lui la invitò a sedersi, mentre la segretaria usciva,chiudendo la porta. Le confermò che il posto era stato assegnato, ma che era sua buona abitudine,ricevere a colloquio anche altre persone,da tenere in considerazione, per eventuali altre disponibilità.
    Non fu un vero e proprio colloquio di lavoro. Parlarono del più e del meno. Ci furono anche delle risate quando lui le racconto alcuni aneddoti, avvenuti nel corso dei suoi lunghi anni di lavoro, presso quella fabbrica e alla fine si salutarono cordialmente.
    Lei rimosse dalla mente, quasi subito, questo colloquio, pensando che come tutte le altre volte, nessuno si sarebbe fatto più sentire e continuò a cercare un lavoro, sia sui giornali, che presso altre ditte, ma non riuscì a trovare nulla.
    Solo qualche sera andava a fare la baby sitter, per alcune ore, in casa di una coppia di neocatecumenali, che avendo sei figli, non potevano portarli alle riunioni settimanali a cui partecipavano.
    Non erano molti soldi, ma le servivano per alcune sue piccole spese e per non dover gravare totalmente sulla famiglia, che già non arrivava alla fine del mese, dovendo pagare l’università a sua sorella, che stava a Pisa. Faceva ingegneria, perchè in matematica era sempre stata un genio.
    Il padre faceva due lavori,all’ATAC e presso un’orologeria che gli dava degli orologi da riparare a casa. Quello era stato il suo primo lavoro, poi era riuscito ad entrare all’ATAC, ma non lo aveva lasciato, gli era servito per arrotondare, anche se la mamma, facendo sempre i salti mortali, era riuscita a far fare a tutti una vita decorosa e a non far mancare mai niente.
    Erano ormai passati alcuni mesi e lei continuava la sua vita normalmente, quando arrivò una telefonata.
    In un primo momento, non ricordò nulla, ma quando sentì il nome Milozzi, capì che forse aveva qualche possibilità di vedere finalmente realizzato il suo sogno e ringraziò Dio.
    Rispose alla segretaria che era ancora interessata alla proposta di lavoro e che il giorno dopo si sarebbe recata presso i loro uffici, poi la ringraziò e attaccò il telefono, con le mani sudate e che le tremavano.
    Non disse niente a nessuno per paura che tutto fosse un’illusione; si riservò di farlo solo dopo aver ottenuto la conferma, che il posto c’era e sarebbe stato suo.
    La mattina si alzò per tempo e si vestì con cura, poi si avviò con calma verso la fabbrica.
    I due isolati da cui distava, stavolta, le sembrarono più corti ed in poco tempo si ritrovò davanti allo stabilimento, che le sembrò ancora più immenso. Degli operai stavano fuori nel cortile e chiac=
    schieravano, ridendo e fumando, forse era la pausa per la colazione.
    Tra loro notò un biondino con tanti capelli, era il più spiritoso di tutti e forse anche il più giovane, sicuramente quello che teneva banco.
    Tutti gli stavano intorno e seguivano, attenti, quello che stava dicendo. Non sapeva ancora che quell’incontro, avrebbe cambiato la sua vita.
    Entrando dovette passare per forza vicino al gruppetto e non potè fare a meno di sentire fischi ed apprezzamenti, ma non si girò, mentre arrossiva abbozzò invece un piccolo sorriso, che le fece fare le fossette sulle guance.
    Salì al primo piano e ritrovò la segretaria dell’altra volta, che la riconobbe e la salutò con molta cordialità.
    ”Il signor Milozzi l’aspetta nel suo studio - le disse .L’accompagno subito. Prego,mi segua”.
    Ripercorsero lo stesso corridoio, sempre silenzioso e sempre con tutte le porte chiuse ed arrivarono di fronte alla porta del capo del personale. Strano anche la sua porta, questa volta, era chiusa e la segreteria dovette bussare.
    Ci furono alcuni minuti di silenzio, quindi la voce del signor Milozzi, disse di entrare. Aprì la porta e lei vide la stessa scena della volta precedente, lui seduto dietro la scrivania che la invitava ad entrare e le porgeva la mano, in segno di saluto. Anche stavolta la segretaria uscì e chiuse la porta.
    Senza preamboli, Milozzi le disse che si era liberato lo stesso posto, per cui lei era presentata al colloquio precedente, in quanto la ragazza assunta era rimasta incinta e le sue condizioni di salute non le permettevano di continuare a lavorare, per cui il posto poteva essere suo se ancora era interessata.

    Edited by arabafenice53 - 4/10/2011, 17:48
     
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  6. BILLA70
     
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    Bhè, meno male, dai, stavolta le è andata bene! :ok: :clapping:
    Di che lavoro si tratta?
     
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  7. arabafenice53
     
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    CITAZIONE (BILLA70 @ 4/10/2011, 17:38) 
    Bhè, meno male, dai, stavolta le è andata bene! :ok: :clapping:
    Di che lavoro si tratta?

    Lo saprai in seguito. :censured:
     
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  8. Honey64
     
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    Graziella hai inaugurato questa nuova sezione.. brava !!

    Mi piace il tuo racconto; vediamo dove ci porterà.
     
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  9. rosy80mj
     
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    Ciao Graziella, brava, mi piace molto il racconto, attendo il seguito! :kissing: :hug:
     
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  10. arabafenice53
     
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    Grazie ancora........


    Non se lo fece dire due volte, accettò subito, pensando già a come sarebbe cambiata la sua vita,
    potendo contare sullo stipendio fisso.
    Si sarebbe finalmente potuta permettere tutte quelle cose a cui aveva sempre dovuto rinunciare. Chissà se c’erano ancora in vetrina, quelle stupende scarpe rosse che aveva visto la scorsa settimana o quei pantaloni a zampa d’elefante che si era provata e che le stavano così bene!
    Il signor Milozzi continuava a parlare, ma lei non lo sentiva più, sentiva invece i battiti del suo cuore che stavano aumentando e quasi gli facevano mancare il respiro. Capì solo che doveva andare a firmare il contratto e dire alla segretaria quale turno avrebbe scelto.
    Non stava più nella pelle, salutò il signor Milozzi ringraziandolo, per aver pensato a lei e corse giù per le scale, entrando come un ciclone nella stanza della segretaria, la quale vedendola capì che aveva ottenuto il posto.
    Non ci mise molto a firmare il contratto e a stabilire il turno di lavoro. Salutò la segretaria e uscì.
    La giornata le sembrò bellissima e decise che prima di tornare a casa, avrebbe fatto una bella passeggiata. Prima destinazione il negozio di scarpe.
    C’erano! Le scarpe rosse erano ancora in vetrina e lei questa volta entrò e chiese alla commessa di misurarle. Le stavano bene, erano proprio belle e comode, pur avendo il tacco piuttosto alto non le davano alcun fastidio, la pelle era morbida ed il colore bellissimo, se le tolse, ma disse che nel pomeriggio, sarebbe ripassata per comperarle, ormai il prezzo non era più un problema.
    Uscì dal negozio soddisfatta come se le avesse già prese, tanto era questione solo di qualche ora.
    La sera le avrebbe potute indossare e andare a farsi una passeggiata, così solo per sfoggiarle.
    Tornò a casa che era ora di pranzo, la mamma aveva apparecchiato la tavola e il padre stava davanti alla televisione e guardava il telegiornale in attesa di mettersi a tavola, la salutò ma non le chiese dove fosse stata, sua madre invece la guardò e fece un cenno del capo come per dire – da dove vieni.
    Era esausta, aveva retto l’emozione fino ad un minuto prima, ma ora a casa, stava crollando, guardò sua madre e disse : “ Ho trovato lavoro, da domani comincio, è un posto fisso e con un buono stipendio. Non vi ho detto nulla prima, perché non ero certa di ottenerlo.” Anche suo padre sentì, spense immediatamente la televisione e venne a sedersi al suo posto, a capotavola, voleva sentire anche lui la novità. Guardò prima lei e poi sua madre e come se si fosse tolto un peso dallo stomaco, sospirò,quindi chiese se era pronto e si mise il tovagliolo al collo. Era il suo modo di partecipare e di approvare. Era sempre stato un uomo di poche parole, ma si leggeva la soddisfazione nei suoi occhi; in fondo anche se non lo aveva mai dato a vedere, sicuramente era stato molto preoccupato.
    La mamma scolò la pasta e la condì, poi gli fece il piatto più grande e più condito degli altri giorni, aggiungendo altro ragù, quasi a voler esorcizzare un possibile cambiamento, in meglio, delle loro disponibilità future.
    Mangiarono senza parlare, ma soddisfatti ed alla fine presero il caffè, che quel giorno sembrò ancora più buono.
    Non si parlò più della cosa, per tutta la giornata, ma da quel momento, ogni cosa ruotò intorno alla preparazione per il giorno dopo. La mamma andò a cercare nello stanzino, il portapranzo, che era servito per anni al papà. I primi anni che aveva iniziato a lavorare all’ATAC, faceva i turni e non tornava a casa per pranzo. Lo lavò per bene tanto che, alla fine, sembrò nuovo.
    Lui rovistò a lungo nell’armadio, alla ricerca di un vecchio impermeabile sottile che le sarebbe potuto servire per la pioggia, anche quello era dell’ ATAC, ma in fondo l’avrebbe dovuto indossare solo nell’emergenza e poi voleva contribuire in qualche modo e non sapeva come.
    Tutto ormai era pronto.Rossella andò a letto dopo aver messo la sveglia e averla ricontrollata parecchie volte, per paura di non svegliarsi, ma non dormì molto e alle sei e trenta era già in piedi. Sentì sua madre trafficare in cucina, le aveva fatto il caffè e stava riempiendo il portapranzo. Non le chiese neanche che cosa le avesse preparato, in quel momento, quello era l’ultimo dei suoi pensieri.
    Uscì dal portone come se quella fosse l’ultima volta e prese a camminare. Senza accorgersene aveva aumentato il passo ed in poco tempo cominciò ad intravedere la fabbrica. Neanche a dirlo fu una delle prime del suo turno ad arrivare, non conosceva nessuno, ma tutti la salutarono, anche quel tipo biondo che aveva visto nel cortile. Forse la notizia si era sparsa e tutti sapevano che lei avrebbe sostituito la ragazza incinta. Rispose ai saluti e si avviò dalla segretaria, quella mattina la sua prima tappa era lì, doveva aspettare il capoturno che l’avrebbe accompagnata a quello che sarebbe diventato il suo posto di lavoro.
    Appena la vide arrivare, la segretaria alzò il telefono e parlò con qualcuno, poi le disse di pazientare alcuni minuti, il capoturno stava arrivando.
    Era di spalle alla porta quando lui arrivò, grande fu quindi la sorpresa scoprendo che il suo capoturno era proprio il biondino; lui invece non era affatto sorpreso, anzi sembrava addirittura compiaciuto.
    Scesero con l’ascensore fino al piano terra, attraversarono un corridoio a vetri ed entrarono in uno stanzone rumorosissimo, vide che tutti coloro che ci lavoravano, indossavano delle cuffie, ma loro si accorsero lo stesso della sua presenza ed alzarono la mano in segno di benvenuto, pur senza lasciare il posto.
    Mauro, così si chiamava il biondino, fu cortese ma fermo, in poche parole, le spiegò in che cosa consisteva il suo lavoro, le diede dimostrazione di come si faceva e poi le disse di mettersi al suo posto e di iniziare, lui le sarebbe rimasto accanto per un po’, non aveva nulla da temere e doveva fargli tutte le domande che gli venivano in mente, senza alcun timore.
    Il lavoro non era difficile e lei prese dimestichezza con i pezzi in breve tempo, lui si dichiarò soddisfatto, ma non si mosse dal suo fianco.
    In fondo si trattava di assemblare in un certo tempo dei pezzi che sarebbero andati a comporre un mangiadischi, erano i primi modelli e se ne producevano tantissimi, perché erano molto apprezzati dai ragazzi e nei negozi andavano a ruba. Nessuno avrebbe immaginato che nel giro di pochi anni la tecnologia li avrebbe messi da parte, per apparecchi piccolissimi e dalle mille funzioni, molto più pratici da utilizzare e soprattutto molto meno pesanti, ma in quel momento i mangiadischi rappresentavano il futuro, la tecnologia, il progresso.
    Le ore passarono e lei non si accorse che ormai erano arrivati alla pausa per il pranzo, suonò una sirena e finalmente tutti si tolsero le cuffie e si avvicinarono. La prima fu Elisabetta, da tutti chiamata Betty, per fare prima, poi fu la volta di Erasmo, un omone alto quasi due metri ma con una vocina sottile, poi venne Benito seguito da Daniele e Fabio, Mary, Lina e Gina che poi sarebbero diventate le sue damigelle di matrimonio e Alberto che provò per molti mesi a conquistarla.
    Finite le presentazioni, si spostarono in una saletta adibita a mensa e ognuno di loro tirò fuori il portapranzo, anche lei tirò fuori il suo e finalmente seppe che cosa aveva da mangiare per quella giornata.
    Cominciarono gli scambi e anche a lei fu chiesto di assaggiare varie pietanze portate da casa e preparate dalle mamme o dalle mogli, ma preferì mangiare il suo pasto. L’ora d’intervallo passò in un baleno e tutti rientrarono nello stanzone, si rimisero le cuffie e ricominciarono a lavorare fino alle sedici, quando suonò di nuovo la campanella, per il fine turno.
    Andò all’armadietto, che le era stato assegnato e mise il grembiule sulla stampella, si vedeva che erano state molte le persone che lo avevano usato in precedenza, tracce evidenti erano rimaste sia sullo sportello, che all’interno. Scotch certamente servito per reggere il poster del cantante o dell’attore preferito, oppure fotografie di fidanzati, mariti o figli, o ancora luoghi dove si sareb=
    bero volute trascorrere o si erano trascorse vacanze indimenticabili, carta plastificata che era servita per foderare i ripiani, adesivi di marche conosciute e non, un accendino ed un paio di buste di plastica.
    Decise che l’avrebbe mantenuto così, non le andava di togliere quelle cose,sarebbe stato come cancellare una parte della vita di quelle persone, se lo avessero fatto a lei, non le sarebbe piaciuto, certo vi avrebbe messo le sue cose, ma con una certa discrezione.
    Uscendo dalla fabbrica con le altre operaie incrociò Mauro, il quale fece un cenno di saluto con la mano, le sembrò quasi che si volesse avvicinare, ma quando lei rispose al saluto si fermò e andò verso la macchina, era una Fiat 600 nuova fiammante di colore verde chiaro. Mise in moto e partì, senza voltarsi, lei ci rimase un po’ male, ma fu un attimo.
     
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  11. rosy80mj
     
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    Bravissima Graziella, oltre ad essere un bel racconto, scrivi benissimo, mentre leggevo immaginavo ogni scena da te descritta. Complimenti!! :ok:
     
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  12. lourdeslerida
     
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    Bellissimo racconto mia cara amica!! Sono atrapata nella lettura, come dice Rosanna scrivi benissimo, aspetto il prossimo capitolo :kiss2: :kiss2: :kiss2:
     
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  13. arabafenice53
     
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    :kiss2: a chi ha letto.


    A casa la mamma la interrogò per quasi un’ora, le chiese tante cose, voleva sapere tutto, era come un fiume in piena, forse perché non aveva mai lavorato e non si rendeva conto minimamente di che cosa volesse dire.
    Lei invece sentiva il bisogno di farsi un bagno, aveva i piedi che le facevano male,in fondo erano chiusi nelle scarpe dalla mattina, ma le sembrava brutto non sentire ciò che la
    mamma le stava chiedendo.
    Finalmente sembrò rendersene conto e l disse :” Sarai stanca, perché non vai a farti un bel bagno caldo, intanto ti preparo il caffè.”
    Alzandosi a fatica dalla sedia, si diresse verso l’unico bagno dell’appartamento, poteva fare con tutta calma, il padre quella sera sarebbe tornato tardi.
    Effettivamente il bagno servì a ridarle forza, non era abituata a quel ritmo, ma le sarebbe bastato qualche giorno per farlo.
    I giorni passarono sempre uguali, ad eccezione della corte che aveva cominciato a farle Alberto e che si faceva sempre più serrata.
    All’uscita trovava mille scuse per fermarla e per cercare di ac=
    compagnarla a casa, le offriva caramelle o la invitava a bere un caffè, nel piccolo bar di fronte alla fabbrica, ma lei trovava sempre una scusa per non accettare. Non era quello il momento per
    pensare a certe cose, era tutta concentrata sul lavoro e voleva rimanerci.
    Mauro invece dopo quel primo giorno, si limitava a salutarla molto formalmente sia all’entrata, che all’uscita e raramente si fermava al suo posto per controllare, aveva capito che non era necessario e quindi le lasciava totale autonomia.
    Mauro si era accorto che Alberto spesso le si avvicinava e stranamente ogni volta che questo succedeva,lo chiamava ed aveva sempre qualcosa di extra da fargli fare, magari in un altro reparto.
    Lei non aveva capito il motivo, ma in cuor suo lo ringraziava per averla tolta ogni volta da quella situazione imbarazzante.
    Era quasi arrivato il giorno del suo compleanno e lei stupidamente, durante la pausa pranzo, disse
    che avrebbe voluto fare una bella festa ed invitare parecchie persone, compresi alcuni colleghi di lavoro.
    Alberto sentì e si dette subito da fare, le organizzò una piccola festa a sorpresa, alla quale invitò anche Mauro e il sig. Milozzi, il quale accettò molto volentieri.
    Il 22 aprile, andò a lavorare più contenta del solito, aveva organizzato tutto e quella sera avrebbe festeggiato in un bel locale, con tanti amici il suo ventitreesimo compleanno, non immaginava, nemmeno lontanamente, come sarebbe andata.
    Lavorò più velocemente degli altri giorni, decine di pezzi le passavano tra le mani ma lei non sembrava accorgersene.
    Arrivò la pausa pranzo e si diresse verso la saletta, per pranzare. Era assorta nei suoi pensieri, mentalmente, stava ancora ripassando l’organizzazione della serata, quindi non si
    accorse di nulla, solo quando aprì la porta e si trovò di fronte tutti i colleghi, Mauro e il sig. Milozzi, allora capì. "Chissà chi è stato", ma quando Alberto si staccò dagli altri, con un bellissimo fascio di rose rosse tra le braccia e si avvicinò per darglielo, non ebbe più dubbi sull’identità di chi avesse avuto quell’ idea.
    La saletta era stata trasformata in una sorta di piccolo ristorante pieno di fiori, erano state messe tovaglie colorate sui tavoli e due o tre camerieri servivano dietro un buffet ricco di cose da mangiare.
    Dopo gli auguri di rito e dopo aver preso le pietanze, ognuno sedeva ad un tavolino. Solo lei, venne fatta accomodare e fu servita; in fondo era la festeggiata.
    Alberto fu premurosissimo, le portò il piatto, le chiese che cosa preferisse da bere e poi si sedette al suo fianco, come se quel posto fosse stato suo di diritto, era imbarazzatissima perché all’altro lato sedeva il sig. Milozzi e di fronte Mauro, che guardava tutto, con aria imbronciata.
    Avevano solo un’ora di tempo, per cui il tutto si svolse velocemente, anche il taglio della torta, che non poteva di certo mancare. Il solito Alberto accese le candeline e la invitò a spe=
    gnerle, cosa che lei fece con molto piacere, poi senza aspettare, mentre gli altri applaudivano, la prese tra le braccia e la baciò sulle labbra.
    Non si sarebbe mai aspettata un gesto del genere, per cui
    non reagì immediatamente, ma ci fu qualcuno che lo fece per lei. Appena Alberto staccò le labbra dalle sue, fu colpito da un pugno, che lo fece vacillare. Mauro resosi conto di quello che stava suc=
    cedendo, non ce l’aveva fatta più, si era alzato di scatto e senza pensarci aveva colpito Alberto in pieno viso.
    Era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, era riuscito sino ad allora a fare l’indifferente, nessuno si era accorto dell’interesse che lui provava nei confronti di Rossella, ma quel gesto, lo aveva fatto uscire allo scoperto.
    Sconvolta lei aveva lasciato la sala, mentre gli altri soccorrevano Alberto al quale usciva il sangue dal naso, il sig. Milozzi era rimasto seduto, senza parole e Mauro in piedi, ancora con i pugni chiusi, pronto a continuare.
    Il suono della campanella riportò tutti alla realtà. Si ritrovarono al lavoro e tutto sembrò proseguire come al solito. Alberto aveva un vistoso tampone al naso.
    Mauro evitò di fare il suo solito giro elei piano piano riacquistò il suo normale colore ed il cuore rallentò i battiti.
    Finì il turno e si affrettò ad uscire, sia per non sentire i commenti sull’accaduto, sia perché doveva ultimare i preparativi per la festa. Non si aspettava di trovare Mauro, che voleva scusarsi per il suo comportamento e spiegarle il perché avesse reagito in quel modo. Disse che si poteva fermare solo un attimo, che aveva fretta, invece il colloquio durò un’ora e si svolse nella 600 dove Mauro
    l’aveva fatta salire, sia per non parlare in mezzo alla strada, che per accompagnarla e non farle fare tardi.
    Da principio non si sbilanciò, le disse che non gli era piaciuto il comportamento di Alberto, che lui come capoturno si era sentito in dovere di difenderla, che lo aveva fatto anche per la presenza del
    sig. Milozzi, ma infine dovette ammettere che il motivo principale era stato l’interesse che nutriva nei suoi confronti, anche se sapeva bene che non sarebbe stato corrisposto.
    Quelle parole l’avevano scioccata, che stupida era stata a non accorgersi di niente. Quante volte si era domandata il perché dell’atteggiamento di Mauro, senza riuscire a capire ed ora lui le stava confessando di essersi innamorato di lei già dalla prima volta che si erano visti, ma che convinto di non avere alcuna possibilità non si era mai voluto dichiarare.
    Rossella sorrise e le due fossette che si fecero sulle sue guance, fecero ribollire il sangue nelle vene di Mauro che, dopo due colpetti di tosse per mascherare l’emozione, ricominciò a parlare.
    Le raccontò di quella volta che la seguì, a piedi, per vedere dove abitava, di tutte le volte che aveva sostato sotto casa sua sperando che scendesse, o di quante caramelle aveva comprato sperando che da lui le avrebbe accettate, se non’altro perché era il suo capoturno, ma che non aveva mai avuto il coraggio di offrire.
    Lei seguiva attenta i suoi discorsi, ma all’improvviso guardando l’orologio si accorse che si era fatto tardissimo e che doveva proprio andare, allora lui prendendole la mano, la pregò di dargli qualche speranza, in modo che avrebbe potuto continuare a sognare, anche se avesse dovuto aspettare.
    Lei molto semplicemente, gli rispose che aveva bisogno di tempo. In quel momento non aveva intenzione di fare questo tipo di progetti, non aveva pensato a questa opportunità, ma gli promise che ci avrebbe pensato. Gli confermò comunque, che non gli era del tutto indifferente e che anche il suo grado aveva contribuito a tenerla distaccata, aveva avuto paura che la troppa confidenza avrebbe potuto deteriorare i loro rapporti e quindi aveva preferito rimanere sempre al suo posto.
    Si sentiva lusingata e gli promise che presto gli avrebbe dato una risposta, ma di non mettergli fretta e per dimostrarglielo si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia, salutandolo e scendendo
    dalla macchina.
    La sera la festa riuscì benissimo, ma lei non partecipò in pieno, il suo pensiero andava spesso alle parole dette da Mauro e al suo sguardo implorante.
    I suoi invitati la coinvolsero spesso nei loro balli e nei loro trenini. Si erano accorti che qualcosa non andava, ma lei non volle spiegare niente a nessuno.
    Verso la mezzanotte la festa finì e qualcuno l’accompagnò a casa, era molto stanca e la mattina dopo doveva andare a lavorare.
    Non se l’era sentita di tornare a piedi, anche se il locale non era molto distante da casa sua e poi non voleva ancora restare sola. Aveva paura dei suoi pensieri e sperava di addormentarsi presto, per poter rimandare tutto all’indomani. Ma non fu così.
    La mattina quando si alzò, si sentiva più stanca di quando era andata a letto.
    Accidenti a Mauro, ma che gli era preso, perché aveva sentito il bisogno di chiedergli scusa e di esporsi, ora qualsiasi cosa lei avesse deciso, il suo rapporto con lui non sarebbe stato più lo stesso.
    Passarono alcuni giorni, senza che Mauro si facesse vedere. Quando chiese sue notizie, gli dissero che dopo quello che aveva fatto ad Alberto, aveva preferito prendersi alcuni giorni di ferie, per far calmare le acque.
    Lei sapeva che non era questo il motivo, ma fece finta di accettarlo. Era certa che si era messo in ferie, perchè in attesa della sua risposta, non sarebbe riuscito neanche guardarla negli occhi.
    “ Forse mi sto innamorando” disse tra sé e sé “e non voglio ammetterlo, ma già sento che mi manca”.
     
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  14. lourdeslerida
     
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    Aspetto il prossimo capitolo amica mia!! :kiss2: :kiss2: :kiss2: :kiss2: :kiss2: :kiss2: :kiss2:
     
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  15. Honey64
     
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    Brava Graziella !
    Al prossimo capitolo.
     
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15 replies since 3/10/2011, 11:39   206 views
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