Just a man

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  1. Jacksonerina92
     
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    This is it...
    che bello anche questo capitolo...la storia della pallavolo mi ha fatto ritornare a qualche anno fa quando provavo quelle stessissime fantastiche senzazioni,e che ancora oggi se mi trovo con un pallone tra le mani non posso fare a meno fdi provarle...babbè adesso c'è il nuoto xD
    Cmq tornando alla storia bella...davvero bella...mi piacerebbe avere un amico come mike
     
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  2. 0marta0
     
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    oggi ho avuto un pò di tempo..così ho sistemato il seguito....ecco a voi. spero che vi piaccia!

    Capitolo 3

    Era il 4 marzo, il ticchettare dell’orologio in cucina scandiva quelle ore di un pomeriggio piovoso che sembrava non passare mai.
    Le gocce di piaggia scrosciavano lungo i tetti delle case e pareva che persino esse contassero i secondi, tenendo il ritmo di quell’orologio che stava davanti a me e dal quale non riuscivo a distogliere lo sguardo.
    Il telefono non squillava, lo stingevo nelle mani e ogni tanto mi assicuravo che prendesse, non si mai con le reti….ma niente. Non voleva proprio suonare.
    ‘Basta Marta! Ah detto che chiamerà e Michael è un uomo di parola! Quindi smettila di agitarti e pensa ad altro!’ mi dissi nella speranza che quelle parole mi dessero uno scossone obbligandomi ad alzarmi. Rimasi ancora seduta davanti a quell’orologio per poco, poi andai in sala e mi immersi nei libri, ma con la mente assente era inutile studiare.
    Così provai ad andare al computer, misi della musica e cominciai a sistemare il pc, ovvero a fare tutte quelle cose, come eliminare immagini che non guardi più, documenti superflui ecc, che non hai mai voglia e tempo di sbrigare. Ma anche la musica mi era ostile, spesso capitavano pezzi di Michael che mi obbligavano a riguardare l’ora e il cellulare.
    ‘Ok, togliamo le sue canzoni dalla riproduzione…’
    Così canzoni di Vasco, Baglioni, Venditti e molti altri iniziarono a susseguirsi in una melodia che ormai aveva perso ogni significato, non contava se le parole erano quelle rauche di “Buoni o cattivi” oppure quelle dolci e alte di “Sabato pomeriggio”, le mie orecchie semplicemente non ascoltavano, senza che potessi avere alcun controllo su esse, erano ancora tese a quell’orologio che scandiva inesorabile ogni secondo di quel pomeriggio grigio del 4 marzo.
    Mi spostai nuovamente in soggiorno e accendendo la tele inciampai ne “I Simpson”.
    Quel cartone era l’unico in grado di liberarmi completamente la mente, potrebbe sembrare stupido per certa gente, ma quella famiglia gialla che ne combina di cotte e di crude era l’unica cosa che riuscisse davvero a distogliermi da tutto il resto.
    Appoggiai il telecomando sul tavolino davanti al divano e gli misi accanto il telefono, sempre a portata di mano, ma distante dai miei occhi.
    Bart stava usando per l’ennesima volta Milhouse come cavia, e mentre io ero assorta in quel cartone ironico dai tratti un po’ cinici, il telefono suonò. Il rumore della vibrazione sopra il legno del tavolo distolse la mia attenzione dalla TV e al secondo squillo presi il telefono, guardai lo schermo e notai un numero sconosciuto, quindi, con l’ansia che mi strozzava la gola, risposi.
    -Hi!-
    -Michael!-
    -Mi hai riconosciuto subito eh!-
    -Come fare a confondere la tua voce?! Allora è tutto OK?-
    -Certo! Ora siamo a Londra e domani è il gran giorno...-
    -Già! Non sei contento?-
    -Sì...ma sono anche un po’ preoccupato...-
    Come domanda, dalla mia bocca uscì soltanto un verso interrogativo, non ero nemmeno riuscita a formulare una farse di senso compiuto.
    -Sì, insomma...è tanto che non mi esibisco, non so più se ho ancora tutti quei fan di prima e non so come prenderanno questa mia dichiarazione...-
    Non l’avevo mai visto così preoccupato sotto questo aspetto, sì, alcune volte aveva dimostrato la sua mania di dover piacere a tutti, ma ad arrivare a sospettare che ci fossero ormai poche persone che lo amassero ce ne era voluto!
    Era stato sempre certo del popolo dei suoi fan, molte imprese le allestiva solo per loro, era sempre riuscito a sentire il loro calore ovunque; e quell’affermazione mi fece rimanere un po’ di sasso.
    Come poteva realmente credere quelle cose? Sì, gli serviva un conferma, doveva ritrovare quella fiducia in se stesso che gli avevano portato via, doveva rendersi di nuovo conto che il Re era ancora lui e che lo scettro era sempre stato nelle sue mani; e cosa è meglio di una bella serie di concerti?!
    -Per l’amor del cielo Michael! Ti hanno amato quando portavi quelle ridicole tute a fiori con le braghe a zampa di elefante, il tutto corredato con una pettinatura alla mongolfiera! Ti ameranno anche adesso!-
    Una risata dall’altro capo della cornetta mi arrivò limpida e chiara. Era così bello farlo ridere, la sua voce quasi stridula in quel momento, risuonava nelle orecchie come musica, poesia, composta apposta per allietare le giornate.
    Era una risata pura, diverta veramente, come quella di una bambino; Michael era la persona più sincera che avessi mai incontrato, almeno con i parenti e gli amici intimi, non riusciva proprio a nascondere le sue emozioni, esattamente come un bambino. Era per quel motivo che spesso si vedeva con occhiali scuri o a specchio; dicono che gli occhi sono lo specchio dell’anima, ed è proprio vero, guardando quelli di Michael potevi capire ogni sentimento che stava provando e per non mettersi completamente a nudo davanti a tutti doveva coprirli, doveva indossare una “maschera” che lo proteggesse dagli sguardi indiscreti pronti a rigirare il coltello nella piaga.
    -Ehi! All’epoca andava di moda!-
    Altre battutine si susseguirono e le risate di moltiplicarono.
    -Allora manterrai la tua promessa?-
    -Certamente! Verrò per il 7, comunque passami i tuoi così gli parlo.-
    Chiamai mio padre al telefono e dopo alcuni minuti mi ridò il cellulare e Michael mi confermò il tutto, poi mi passò i suoi figli che volevano salutarmi finendo così la chiamata.
    La mia emozione in quel momento credo che non si possa descrivere a parole, ero felice come quando per la prima volta la migliore amica di scuola viene a casa tua, le vorresti fare vedere tutto perché possa realmente capire che persona sei.
    Quel passo segnava una linea molto importante per me, mi avrebbe permesso di far entrare veramente Michael nella mia vita e di abbattere anche l’ultimo pezzo di muro che ci divideva dall’essere completamente l’uno vicino all’altro.

    Avevo “poco” tempo per sistemare tutto, la mia camera, come al solito, era un vero disastro e dovevo riordinarla nel caso Paris si fosse fermata con me.
    Dovevo sistemare il disordine, fare posto in qualche cassetto, ecc.
    Ma il più spettava alla “suite” in mansarda. C’erano ancora i tappeti arrotolati e impacchettati, il materasso ancora imballato, le tende da sistemare sulle finestre e rifinire con gli ultimi accorgimenti il bagno. Quest’ultimo, per fortuna, non spettava a me, mentre per quanto riguardava tutto il resto, avrei dovuto fare di necessità virtù.
    Il mio papà si cimentò con stucchi e siliconi tra i sanitari, mentre io e mia madre ci immergemmo in stoffe e pannelli colorati.
    Come al solito le discussioni non mancarono, avevamo gusti diversi, ma la stessa testa dura.
    -No, mettiamo quelle tende e il tappeto sotto il tavolo.-
    -Ma scusa, non possiamo mettere quelle veneziane e spostare il tappeto ai piedi del letto?-
    Le discussioni si prolungarono per tutto il “tempo lavorativo”, l’arredamento era un argomento comune, un interesse che riguardava entrambe e trovarsi a creare una stanza dal nulla era stato divertente e interessante, anche se con qualche battibecco.
    Però, infondo, mi piaceva passare del tempo con mia madre; sapeva essere comprensiva e sapeva scherzare quando voleva. Non avevamo molti punti di incontro, io chiusa e riservata, non parlavo quasi mai con nessuno di ciò che mi capitava, mentre lei avrebbe tanto voluto che io mi confidassi; ma alcune volte riuscivamo a trovare un “compromesso”: io svelavo qualcosa e lei cercava di non ammonirmi. Questo era il suo più grande difetto: cercare sempre di trovare una strada migliore da percorrere, cercare di indirizzarti per la via che a lei sembrava più giusta.
    So che lo faceva per amore, per cercare di proteggermi, ma io volevo fare i miei sbagli, volevo camminare da sola, anche se ciò comportava di inciampare e qualche volta cadere. Volevo rialzarmi da sola e continuare il mio cammino; come i bambini che hanno da poco fatto i loro primi passi e, nel momento in cui dopo la caduta devono rialzarsi, rifiutano la mano dell’adulto. La sicurezza non gli viene data dal gesto che lo solleva, ma dalla mano in sé, vederla lì, pronta ad aiutarti dà quella certezza che serve per poter credere di farcela.
    Io quella mano l’avevo sempre davanti, la vedevo lì, pronta ad afferrarmi ancora prima che io potessi cadere, sapevo che se un giorno ne avessi avuto davvero bisogno mi sarebbe bastato allungare soltanto le dita e prenderla, ma fino a quel momento ero riuscita a cavarmela da sola, grazie anche a quella visione che mi dava sicurezza.
    Ma, purtroppo, questo non bastava alla mia mamma; lei pretendeva che la stringessi sempre la su mano e non capiva che io volevo provare a camminare sola per le buche e gli altari che la vita aveva in serbo per me.
    Sono complicanti i sentimenti, è complicato stare vicino ad una persona, devi essere in grado di dimostrargli amore e attaccamento, ma allo stesso tempo devi essere capace di lasciarle quello spazio vitale che le serve a non sentirsi oppressa. E questo non è facile.
    È difficoltoso anche stare dall’altra parte però, quando ti senti stretta nella morsa dell’altro vorresti soltanto scappare e cercare un posto dove nessuno possa prenderti di nuovo, ma è proprio quando ce la fai e raggiungi il luogo tanto desiderato che ti accorgi di quanto sia facile varcare il confine della libertà per entrare nella terra della solitudine.
    Per fortuna che la vita, alcune volte, ci aveva offerto quei punti di incontro che ci permettevano di chiarirci, di ricordarci che comunque fosse andata noi ci saremmo state, l’una per l’altra e di come sia possibile andare d’accordo solo quando io guardo la mano, ma senza prenderla. Lei sa che ho un appiglio sicuro e io che, se mai fossi in difficoltà, non sono sola, sono libera, ma non in solitudine.

    Il bagno fu finito prima del previsto e anche la stanza non venne niente male; la mente schematica di una studentessa di una scuola tecnica e gli accorgimenti per la sicurezza di un medico, mescolati alla stessa creatività che legava entrambe, avevano fruttato un buon lavoro.
    Michael sarebbe arrivati dì li a poco e tutto era pronto, tutto stranamente perfetto, senza imprevisti e per di più in anticipo.
     
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  3. Effulgent;
     
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    Arriva Michael *_*
    Bello Marta,la apprezzo molto questa FF sai,è molto dolce e tu sei proprio barava :)
     
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  4. 0marta0
     
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    CITAZIONE
    Bello Marta,la apprezzo molto questa FF sai,è molto dolce e tu sei proprio barava

    grazie!!! sei sempre molto gentile!!!:)
     
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  5. 0marta0
     
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    ecco di nuovo a rompivervi con la mia storia! :D però ora ho iniziato quindi finisco!!!:D
    quindi a voi il seguito....


    Capitolo 4

    -This is the moment...THIS IS IT! THIS IS IT!-
    This is it, the final show…
    Ebbene sì, questa era stata la sua presentazione dei concerti. L’ultima occasione per vederlo su un palco era quella, l’ultima occasione di sentirlo ancora cantare ad un microfono era a Londra, dopodiché lo avremmo ancora sentito sì, ma come spesso è accaduto prima, probabilmente solo per i pettegolezzi che continuavano ad avvolgere la sua vita.
    Seguii l’intera presentazione alla tv, e quando vidi tutta la folla scatenarsi al suono delle sue parole e gridare il suo nome, la mia ansia si placò per lasciare posto alla soddisfazione e all’orgoglio per Michael. Mi aveva contagiata, tutte le sue preoccupazioni erano diventate anche mie, ma quando lo vidi scatenarsi su quel piccolo palco per la gioia, se ne andarono ad una ad una.
    Michael Jackson, quel Michael Jackson che ultimamente aveva fatto parlare di sé solo per i periodi tormentati della su avita, sarebbe tornato alla grande per rivendicare l’amore dei suoi fan e per far vedere al mondo che, ancora una volta, si sbagliava: lui non era un uomo finito, aveva sì passato un brutto periodo, ma ora era tornato, era tornato e avrebbe fatto vedere a tutti cosa volesse dire un “concerto di MJ”.
    In televisione lo potevi ammirare con occhiali scuri, completo nero ricamato di argento, capelli lisci e un sorriso che ormai era raro vedere in pubblico. Un Michael rinato dalle stesse ceneri, una splendida fenice che era pronta a spiccare di nuovo il suo primo volo, un uomo più sicuro, forte, con una volontà di acciaio, inattaccabile.
    Mentre lo guardavo attraverso lo schermo non potevo fare ameno di essere eccitata e fiera; non stavo nelle pelle, volevo vederlo esibirsi sul palco dal vivo e non per l’ennesima volta in DVD, ed ero veramente orgogliosa di poter dire, almeno tra me e me, “io quello lo conosco...e bene anche!”.
    Spensi la tv e tornai alla mia routine felice per ciò che avevo visto e impaziente che i successivi 2 giorni passassero in fretta.

    Sabato mattina sarebbe stato un inizio di una giornata normale, magari anche un po’ noioso, se non fosse stato il sette marzo 2009.
    Uscii di casa alle 7.20 come tutte le mattine e mentre guardavo il lago increspato dalla brezza ancora fredda, ma che stava annunciando la venuta dell’imminente cambio di stagione, dal finestrino del bus, ero immersa nei miei pensieri accompagnati dal sottofondo della musica del mio i-pod.
    Sei ore scolastiche, sei ore che sembrarono un intero anno, perché quando si desidera tanto che il tempo voli, beh, quest’ultimo fa il possibile per farti pesare ogni secondo che ti divide dall’istante tanto aspettato.
    Ancora una volta in autobus, ancora una volta a guardare il lago, ma, al contrario dell’andata, il ritorno te lo faceva apprezzare in tutto il suo splendore. Le spiagge deserte di ciottoli bianchi e grigi si facevano battere da un ritmo regolare di piccole onde che tornavano da dove erano venute con un salto indietro e poca schiuma in superficie, il sole alto nel cielo rifletteva i suoi raggi nello specchio d’acqua che li colorava di argento e che venivano infranti dalle sporadiche barche a vela che si muovevano silenziose sull’acqua.
    Era una di quelle giornate un po’ beffarde; il sole del pomeriggio era caldo e se gli porgevi il viso potevi sentire le guance prendere calore, ma l’aria era ancora fredda e ogni volta che il sole si nascondeva dietro una cosa o un albero sentivi il freddo pungente di ogni soffio di vento infilarsi come una miriade di piccoli spilli nella pelle.
    Rientrai a casa e subito chiesi se Michael fosse già arrivato, ma la risposta fu un secco “no”.
    Non aveva detto a che ora sarebbe venuto, ma visto che non avevamo altro da fare non restava che aspettare.
    Cenammo tutti insieme, quel sabato sera non avevamo preso alcun impegno, se non quello di stare con i nostri ospiti che tardavano a presentarsi, poi iniziammo a guardare per l’ennesima volta “ritono al futuro”; l’avevo visto ormai centinaia di volte, ma ad ogni visione scoprivo sempre qualcosa di nuovo che mi era sfuggito prima, era per quel motivo che tanto amavo quella pellicola e proprio quando Martin schiaccia l’acceleratore per fare contatto con il cavo che si sarebbe caricato con un fulmine e che partiva dalla torre dell’orologio, il campanello suonò.
    Come ogni cane che si rispetti, il mio Jack cominciò ad abbaiare, e dopo averlo preso per il collare per tenerlo sotto controllo, conoscendo i timori di Mike nei confronti di questi animali, aprii la porta e con gioia accolsi il tanto atteso ospite.
    Era tardi, saranno state le 23.30, il buio fuori era fitto e nell’aprire la porta la luce disegnò un rettangolo sul nero asfalto della strada.
    Era davvero Michael! Di sicuro era arrivato a quell’ora per non farsi vedere troppo dalla gente e dai giornalisti sempre all’agguato.
    Feci entrare la famiglia al completo e la loro fidata guardia del corpo, i bambini cominciarono a guardarsi intorno con aria interessata, con l’espressione di chi vorrebbe catturare ogni particolare di ciò che osserva, la stessa espressione di Michael.
    Amava “l’antico” e la mia casa ne era un bell’esempio. Era stata costruita all’incirca nel 1700; prima convento, era stata trasformata in uffici e studi medici e solo da qualche decennio era divenuta abitazione.
    Aveva i muri spessi anche un metro per quelli perimetrali e una piccola scalinata di marmo irrompeva nel salotto dal soffitto ad arco ricamato con una affresco e delimitato sulla sinistra da una vetrata che dava su un piccolo terrazzo. I pavimenti originari dell’epoca trasmettevano quell’aria vissuta che è impossibile trovare nelle nuove villette a schiera che oggi vanno tanto di moda e i finestroni che si impongono nella parete arrivavano quasi a toccare gli alti soffitti; questi erano tutti elementi che avevano fatto innamorare i miei genitori di quell’abitazione, unica nel suo genere, ma allo stesso tempo così tipica per quel piccolo paese dove mio padre era nato.
    Quando erano tornati in Italia, infatti, i miei genitori cercarono casa nella cittadina natale di mio padre e la trovarono proprio in centro, mia madre chiese il trasferimento all’ospedale nella città più vicina e io crebbi per le strade e i parchi-giochi, sempre in compagnia di qualche bambino.
    Mentre tutta la famiglia era ancora intenta ad esplorare il nostro soffitto, li salutammo con un abraccio.
    -Allora che dici Michael?-
    -Ehm...che sono contento di essere potuto passare per un ultimo saluto alla tranquillità...- un sorriso amaro apparve sul suo viso -...comunque bella questa casa, interessante e del mio genere.-
    Questa volta il riso si fece più dolce finché non incontrò gli occhi di Jack e l’espressione divenne al quanto preoccupata.
    -Michael, ti presento Jack, è il mio cokerino! Fa tanta scena ma lui è buono come il pane!-
    Dissi cercando di fargli cambiare idea a proposito dei cani, non li amava, forse aveva avuto “brutte” esperienze, non so di preciso, ma di sicuro era uno dei pochi animali che non gli piacevano
    -Sarà...-
    Michael gli girò intorno e si andò a sedere sul divano, come gli era stato cortesemente chiesto da mia madre. In quel momento liberai il cane dalla mia presa e subito, neanche a farlo apposta, salì sul divano accanto a Mike e non perse l’occasione per fare di tutto per attirare attenzione su di se, come faceva ogni volta che c’erano ospiti.
    -Che sta facendo?-
    Michael guadò stupito il cane che era seduto sulle zampe posteriori e con quelle superiori alzate mostrava la pancia e il petto, annaspando per cercare di chiamare la persona accanto.
    Lo faceva sempre, e per questo si era guadagnato il soprannome di “pagliaccio”, ma ogni volta funzionava, l’ospite si inteneriva e passava il resto della serata a coccolarlo.
    -Cerca la tu attenzione e le coccole.-
    Risposi con un sorriso.
    Vidi gli occhi dei ragazzi illuminarsi divertiti da quella scenetta; Prince e Paris non lo temevano, così si precipitarono a grattagli la pancia soddisfatti dell’espressione contenta del cane. Blancket era restio a farsi avanti, ma alla fine cedette anche lui agli occhi languidi che solo un cocker è in grado di fare.
    Mancava solo Michael, ma a quanto pareva non ne voleva proprio sapere. Guardò i suoi figli un po’ stupito e anche timoroso che Jack facesse loro del male, ma quando terminarono e il cane restò nella stessa posizione alla ricerca dell’ultima grattatina; dovette cedere. Michael si avvicinò all’animale e con un po’ di insicurezza gli passo prima la mano sulla testa e poi sul petto, vedendo che Jack non aveva “strane” reazioni continuò, finché non gli divenne quasi normale parlare coccolando il mio cane.
    -Visto? Te lo avevo detto che era buono!-
    -Sì, devo dire che avevi ragione...e che oggi ho potuto constatare che il detto “tale cane tale padrone” è vero! Dì la verità, gli hai insegnato tu come ottenere sempre tutto ciò che vuole vero?-
    Michael si era dimostrato ancora una volta per quello che era: l’uomo spiritoso e capace di ricredersi.

    Ancora una volta, le ore in compagnia della famiglia Jackson passarono in un baleno, i miei e Michael aveva tanto da dirsi, era parecchio che non si vedevano; Michael era affascinato dal lavoro di mia madre, anche se a volte doveva sopportare il peso di un racconto senza il lieto fine. Io, intanto, intrattenni i ragazzi e stetti con loro come avrei voluto fare a Los Angeles, ma non ne avevo avuto il tempo e l’occasione.
    Presto si fece notte fonda e vedendo gli ospiti stanchi gli facemmo strada per raggiungere la stanza da letto.
    La “suite” era al terzo piano dell’abitazione e un corridoio divideva la mai stanza dalla seconda rampa di scale. Alla fine di quest’ultima vi era una porta di legno scuro che dava su una grande unica stanza. La luce che si diffondeva dal centro lasciava in penombra il divano-letto; il rosso della trapunta del letto, della fodera del divano e delle tende era scuro e diffondeva quel senso di intimità tanto ricercato nelle stanze da letto. Una porta di fronte all’entrata dava su un piccolo disimpegno che portava al bagno e ad una seconda piccola camera da letto dove sarebbe stato Nick, la guardia del corpo.. Michael non aveva detto che ci sarebbe stato anche lui, noi non glielo avevamo chiesto, ma una tacita intesa aveva fatto sì che fosse una cosa scontata, non che Mike non si fidasse di noi, ma non si poteva essere certi al 100% di poter uscire indisturbati dalla porta di casa.
    -Wow...avete fatto tutto voi?-
    -Sì, io e mia madre le stanze e mio padre il bagno! Certo, l’aiutino di qualche esperto non è mancato!-
    -Beh...è molto bello!-disse un po’ stupito dalla cura con cui avevamo lavorato a quella stanza. Poi guardando Nick aggiunse: -Vai pure, ti vedo stanco...-
    Il ragazzone imponente ma dall’aria bonaria si congedò con un sorriso e si ritirò nel suo piccolo spazio privato.
    -Sono contenta che sia tutto di tuo gusto Michael, adesso vi lasciamo...-
    Mia mamma fu la prima a dar la buonanotte ed ad andarsene, seguita a ruota da me e mio padre.

    Mi stavo giusto infilando sotto le coperte quando sentii bussare alla mia porta e subito seguitò una voce fine che mi chiedeva, bisbigliando, se potesse entrare.
    -Certo Paris, vieni pure.-
    Si sedette ai piedi del mio letto e io mi misi a sedere a gambe incrociate appoggiando la schiena alla testiera.
    La ragazzina si fece il più piccola possibile e con aria imbarazzata mi guardò con sguardo fisso.
    -Devi dirmi qualcosa?-
    Paris prese fiato e con un sospiro spiegò schiettamente e senza giri di parole ciò che voleva confessarmi.
    -Credo di essere diventata una donna.-
    La bocca mi si seccò, non sapevo cosa dirle e in quel momento anche io avrei voluto farmi piccola, piccola. Non avevo mai affrontato questo tipo di discorso con una ragazzina, non sapevo come avrei dovuto reagire e le cose giuste da dire.
    -Ma sei sicura? È quando l’avresti scoperto?-
    -Me ne sono resa conto un mese e mezzo fa, credo...-
    -Un po’ presto...insomma non hai neanche 11 anni...però alcune volte succede così presto...-
    Paris stette in silenzio, aspettando che le dessi più informazioni.
    -Ma tu sai come funziona...questa cosa?-
    Non sapevo come comportarmi, stavo prendendo l’argomento con le pinze, non sapevo cosa avrei dovuto dire e se l’avrai dovuto fare o sarebbe stato meglio che le dicessi di parlarne con suo padre.
    -Sì...cioè no...non lo so. Sì, in teoria lo so, ma cosa accade veramente non me l’ha spiegato nessuno!-
    Per la prima volta vidi la ragazza vulnerabile, senza la protezione perenne del padre, spaesata e imbarazzata per aver cominciato un discorso che forse non voleva realmente continuare.
    In quel memento Michael bussò alla porta per richiamare sua figlia.
    -Ciao ragazze, che fate?-
    Paris mi guardò con aria supplichevole, mi stava dicendo di non raccontare niente al suo papà. Non mi piaceva mentire a Michael, ma non sarebbe stato per molto e poi mi fidavo della ragazzina, sapevo che una volta affrontato l’argomento e chiarito tutte le sue curiosità, avrebbe informato anche suo padre.
    -Ma niente..chiacchieriamo...-
    -Non vieni a letto Paris che è tardi e Marta vorrà dormire?-
    -Non ti preoccupare Michael, sono bella sveglia!-
    -Ok...però non fate tardi!- disse sorridendo e aggiunse guardando sua figlia –Allora ti aspetto sù.-
    Michael se ne andò e Paris tirò un respiro di sollievo.
    -Grazie per non avergli detto niente.-
    -Figurati. Comunque guarda che non c’è niente da vergognarsi, è naturale.-
    È stato in quel momento che ho realizzato quanto fosse importante la figura materna, quella che è mancata ai figli di Michael.
    Ricordo quando successe a me, non saprei proprio come avrei fatto senza l’aiuto di mia madre, una madre con la quale puoi anche litigare giorno sì e giorno no, ma che comunque c’è sempre e sa come affrontare certi argomenti.
    I bambini finché sono piccoli, non hanno problemi a fare affidamento soltanto su un genitore, ma quando stanno crescendo, soprattutto per le femmine, una figura femminile stabile importante è necessaria.
    La nonna Kathrine e la zia Janet avevano cercato di riempire quel vuoto, ma probabilmente non erano mai riuscite a “prendere il posto” di una madre mancante; e il gesto di Paris, quello di confidarsi proprio con me, mi aveva fatto sentir per la prima volta veramente importante, mi aveva fatto piacere e mi aveva lusingata.
    Cercando di essere il più chiara possibile le spiegai tutto ciò che c’era da sapere, tralasciando però il discorso sesso, quello spettava a Michael.
    Paris aveva mille domande e tra i vari discorsi arrivarono presto le 4.00 del mattino, al che, stanche e con gli occhi pensanti ci lasciammo dandoci la buonanotte.

    ***



    -Vado a chiamarla così viene giù con noi?-
    -No! Blanket...-
    Michael non fece in tempo a finire la frase che il bambino era già nella mia stanza, e correndo verso di me mi chiava per nome.
    -Scusami...Blanket perché non mi hai ascoltato?!-
    Ancora con gli occhi pesanti lo rassicurai un’altra volta.
    -Michael, tu non ti preoccupare! E poi sono le 10.00! Non è mattina presto! Anzi, meglio che mi abbiate svegliata, se non sarei stata rintontita tutto il giorno perché più dormo e più dormirei!-
    -Marta, non devi sempre scusarlo, deve imparare prima o poi.-
    Michael guardò il piccolo con aria severa.
    -Sì, sì...- dissi un po’ canzonandolo –Dai, le prediche le farai la prossima volta! Adesso andiamo a fare colazione?-
    Mi seguirono giù per le scale e quando arrivammo in cucina i miei erano già lì, con il caffè e i biscotti.
    -Ciao! Anche voi in piedi? Volete che vi prepari la colazione?-
    -Sì, dai mamma ti aiuto.-
    Mentre preparammo tutto il necessario Michael e i ragazzi si accomodarono in salotto con mio padre.

    -Marta, sono contenta che tu l’abbia invitato. Avevo voglia di vederlo; anche se da quando l’ho conosciuto è cambiato parecchio, è stato capace di mantenere tutti i pregi che aveva prima. Al posto suo probabilmente avrei perso completamente fiducia nell’uomo e non so come avrei reagito.-
    -Mamma, ma come è possibile fare una cosa del genere...intento per le accuse...come si può essere capaci di un’infamia tanto grande e grave?-
    -Non lo so, non lo so davvero...Ne ha passate tante quell’uomo...tra tribunali, persone del suo staff che se ne fregavano della sua persona interessandosi solamente alla star...-
    -La gente può essere veramente cattiva...ma non riesco a capacitarmi di come possano farlo...-
    Spesso i nostri erano discorsi diversi, che correvano su due treni differenti però dai binari paralleli, ma ci ascoltavamo e alla fine ci ritrovavamo col filo del discorso alla stazione comune per tirare le nostre conclusioni
    -Ricordo quando era in clinica per disintossicarsi dai farmaci, non ha mai fumato, non si è mai drogato, la sua rovina sono stati i dottori che per i soldi gli procurerebbero anche il cianuro! Io non riesco proprio a capirli, ma che morale hanno?!-
    Stetti in silenzio, riflettevo su ciò che diceva e per la prima volta stavo iniziando a capire veramente quell’uomo, non doveva essere stato facile per lui tutto ciò che aveva passato, iniziavo a capire il motivo per il quale si circondasse di bambini, loro sono il sole della vita, l’arcobaleno dopo una giornata di pioggia, un scialuppa di salvataggio di una nave che affonda. E proprio non riuscivo a comprendere come faceva la gente a non vedere che il suo affetto verso i bambini era un grido disperato di aiuto. Come potevano non accorgersi della sua infelicità legata alla sua infanzia? Perché non volevano capire che tutto ciò che faceva lui era per riprendersi quel briciolo di spensieratezza che gli era stata negata e che voleva disperatamente donare a chi, come lui, ne era privo? Come potevano credere alle accuse di pedofilia? Se solo quella gente ci avesse parlato insieme cinque minuti avrebbe subito capito che era sempre stato innocente.
    -Bisogna imparare tanto da Michael, la sua volontà, la sua generosità, la sua perseveranza...
    Mi fa piacere che tu lo voglia conoscere meglio, infondo eri piccola quando eravamo in America e non puoi ricordartelo e dopo tutto quello che hai sentito su di lui mi fa piacere che anche tu non ti sia lasciata trasportare dalla corrente di caproni che non sa vedere oltre il proprio naso...Dai, tutto sommato non ti ho cresciuta male!-
    Rise dicendo quest’ultima farse e mi guardò con occhi dolci. Ricambiai l’espressione e tornai ad aiutarla continuando gli scherzi a cui lei aveva dato il VIA.

    -Eccoci pronti! La colazione...-
    Appoggiamo due vassoi con ogni ben di dio, visto che era domenica e che avevamo ospiti mia mamma aveva voluto fare le cose in grande, come al solito.
    -Mmmm...mi piace l’Italia!-
    -Anche a me piace, Prince, ma non solo per il cibo!-
    Michael sorrise guardando divertito il figlio con l’acquolina in bocca.
    -Prendete pure!-
    Il mio “ordine” fu accolto di buon grado da Prince e Blanket, loro adoravano i dolci e i biscotti, le fette biscottate con la marmellata o burro e zucchero, erano il loro paradiso.
    La mattina passò in fretta e il pomeriggio arrivò in un baleno, fu interrotto soltanto da una chiamata a Michael, la prima chiamata da quando era arrivato.
    -Indovinante un po’?! Hanno sbancato tutti i botteghini, i biglietti sono andati a ruba!-
    -Bene! Siamo contenti per te!-
    Michael era veramente entusiasta della cosa! Aveva avuto finalmente la conferma che la gente continuava ad amarlo.
    -Ovviamente ho da parte i pass per le quinte per voi, appena posso ve li spedisco!-
    Un concerto visto dietro le quinte, fino a quel momento l’unico concerto a cui ero stata era quello di Laura Pausini; veramente brava a cantare dal vivo, niente da dire; ma sentivo che assistere a un vero proprio show di Michael era qualcosa di diverso, sapevo che per quel pass certi avrebbero pagato oro e, anche se non vedevo Michael come il l’eccentrico Jackson del quale tutti parlavano perché per me era solo Michael, ne ero lusingata.
    -Avevo intenzione di portavi fuori a cena stasera e adesso c’è anche un motivo per festeggiare...Vi andrebbe?-
    -Michael non devi sentirti obbligato, infondo cosa sono due giorni, domani parti di già! E poi sai che non ho ancora messo il naso fuori casa?! C’è qualcuno fuori che è alla tua ricerca?- disse mia mamma e Nick si apprestò a controllare.
    -No, stranamente non c’è gente-
    -Bhe, questo paese non è poi grande-
    -Sì, ma la gente è pettegola!- risposi in tono alla mia mamma che non poté fare a meno di darmi ragione e di farsi una bella risata.
    -Allora nessun problema! Conoscete un posto tranquillo che mi libera il locale per stasera?-
    -Beh, un posto ci sarebbe...-intervenne mio padre –...e non c’è neanche bisogno di riservalo. Non ci crederai ma è un posto frequentato da VIPs e la tranquillità è assicurata, poi magari andremo anche sul tardi...-
    Michael lo guardò perplesso, un posto dove la gente no lo avrebbe assalito? Non poteva crederci, aveva passato tutta la sua vita a fuggire da paparazzi e fans impazziti che gli avrebbero strappato i capelli e i vestiti se lo avessero avuto sottomano.
    -Fidati Michael, conosco anche il proprietario, gli dirò di prenotarci un bel tavolo!-
    Non era del tutto convinto, ma accettò.
    Iniziammo a prepararci tutti verso le 20.00, Michael e i ragazzi tennero colori scuri, così da confondersi nel buio, e quando fummo tutti pronti, uscimmo di casa.
    Nick si apprestò davanti a tutti, ma la strada era deserta, non vi era l’ombra di nessuno, Mike era incredulo, non gli era mai capitata una cosa del genere e fu ancora più sorpreso quando entrammo nel locale.
    L’entrata non si può assolutamente dire che rispecchiasse il suo interno, una porticina stretta, in una parete a pietre a vista, era sovrastata da una quasi sgangherata insegna con scritto “Vino” che per un estraneo avrebbe suonato tanto come quei locali dove si trovano i vecchi soli per bere un bicchiere di bianco. Ma all’interno era completamente diverso, tutto rifinito nei minimi dettagli, mantenendo però uno stile sobrio, alla destra vi era il bancone degli alcolici con la parete dietro tappezzata di foto del proprietario con personaggi famosi (Schumacher, Pippo Baudo, e molti altri), mentre sulla sinistra si allargavano le due salette con i tavoli.
    -Ecco il vostro tavolo.-
    Ci accompagnò in un angolo della sala, dove eri protetto dagli sguardi di quelli che entravano, ma allo stesso tempo potevi controllare tutto intorno a te.
    Michael passò per i tavoli, alcuni erano occupati, ma nessuno lo fermò per l’autografo o qualsiasi altra cosa; si sedette, si tolse finalmente gli occhiali a specchio che ormai lo accompagnavano in tutte le occasioni e si fece più tranquillo.
    -Bello! Davvero bello questo posto! E la gente non si è messa gridare il mio nome! Non mi sembra vero!-
    Il locale era rinomato per la sua indiscrezione, tranquillo e quasi sconosciuto, se non fosse stato per i passaparola tra i personaggi dello spettacolo; con un proprietario, nonché cuoco e mago per passione, cortese e ospitale.
    La cena fu deliziosa e il tutto si concluse con alcuni numeri di magia del proprietario. Michael ne rimase estasiato, non si potrebbe dire con certezza chi tra lui e Blancket fosse più incantato da quei numeri, basilari, ma comunque intriganti, da prestigiatore.

    Tornammo a casa tutti stanchi, i ragazzi si precipitarono a letto, e quando stavo per fare altrettanto, Michael mi fermò sulla soglia della porta.
    -Comunque volevo ringraziarti...Paris mi ha detto che le hai parlato. Io non avrei saputo proprio da dove iniziare.-
    -Figurati. Però devi parlare ai ragazzi di...-
    Michael abbasso di scatto gli occhi tenendoli fissi a terra. Il sesso per lui era un tabù, certamente la sua esperienza da ragazzo non gli aveva giovato, in casa era cresciuto con gli ideali ferrei del testimone di Geova, ma durante i suoi primi lavori era stato costretto a vedere le donne vendere il proprio corpo come merce. Non aveva dimestichezza nel parlare di amore carnale, per lui era, spesso, solo sentimento. Non che non avesse fatto anche lui le sue esperienze, solamente che per parlare di certe cose Michael doveva trovarsi a proprio agio al 100% e in più considerava i suoi bambini ancora come delle creature innocenti, angeliche che non avevano niente a che fare con il mondo degli adulti; anche se in cuor suo sapeva che non era vero, non voleva pensarci, almeno non ancora.
    -Michael, non hai ancora detto niente ai ragazzi?! Lo devi fare...gli devi parlare.-
    Sempre con gli occhi bassi mi promise che lo avrebbe fatto. Intanto Blancket aveva sentito le nostre voci, e la sua incontrollabile curiosità lo condusse in corridoio.
    -Di cosa state parlando?-
    -Niente amore, adesso arrivo...ma promettimi una cosa, promettimi che non crescerai mai!-
    -Te lo prometto papà! Farò come Peter Pan-
    Michael si abbassò e diede un bacio in fronte al piccolo che, tutto soddisfatto, tornò a letto.
    -Perché devono crescere...sono così belli i bambini...L’hai sentito? Peter pan...- disse con tono amareggiato, il protagonista del suo cartone preferito gli ricordava Neverland, e con esso i periodi buoni, ma anche quelli dei tribunali e delle accuse che ancora non riusciva a digerire.
    -Sì...-dissi con un sorriso dolce – e pensa che io da bambina ripetevo ai miei che quando io fossi diventata grande e loro tornati piccoli gli avrei letto le favole.-
    -Che dolce! Dico davvero! Era un pensiero davvero carino! Magari tutti potessimo tornare bambini...-
    -Già, può sembrare assurdo, infondo ho solo 17 anni, ma tante volte ci penso e rifletto sul fatto di quanto era bello essere bambini, almeno per me. Niente preoccupazioni, o meglio, niente preoccupazioni di grande spessore come invece si possono avere adesso. Mi piaceva essere bambina.-
    -Ti capisco, anche a me sarebbe piaciuto esserlo come te.-
    Un velo di amarezza gli ricoprì il viso, era insopportabile vedere i suoi occhi così tristi. Non parlai, sapevo che non era un argomento facile per lui, quindi preferii rimanere in silenzio.
    -Le uniche volte che ho provato a cercare quell’infanzia che non ho avuto, tutto mi si è ritorno contro. Probabilmente ho sbagliato qualcosa, per le altre persone di sicuro o sbagliato qualcosa, ma se dovessi tornare indietro rifarei tutto! Io non ho rimorsi...-
    Lo guardai cercando di trasmettergli più comprensione possibile, ero rimasta senza parole, era la prima volta che mi parlava del suo passato; non amava ricordare, nemmeno i periodi belli, diceva che non bisognava mai guardassi alle spalle, bisogna sempre pensare al futuro, a ciò che si può migliorare e se proprio bisogna guardarsi dietro, allora doveva essere solo per imparare dai propri errori.
    Un po’ incerta, lo abbracciai, sentii le sue mani così grandi su tutta la schiena, il ritmo del suo cuore era un po’ accelerato per la rabbia che ancora gli ribolliva nelle vene per ciò che aveva da poco ricordato, e dopo aver fatto un lungo respiro si staccò.
    -Dai, ora ti lascio, domani io devo partire e tu devi andare a scuola, meglio che andiamo a letto.-
    Ci demmo la buona notte tornando ognuno nella propria stanza.

    La mattina seguente ci svegliammo di buon ora e dopo i dovuti saluto uscii in contemporanea alla famiglia Jackson, loro diretti a casa e io ai miei studi.
     
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  6. Francina_84
     
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    Che carina Marta.. Troppo dolce questo racconto! :love:
     
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  7. 0marta0
     
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    CITAZIONE
    Che carina Marta.. Troppo dolce questo racconto!

    grazie! :) in teoria va avanti ancora..è già scritto ma devo rivederlo...:D
     
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  8. Triccheballacche2
     
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    Mamma mia Marta, non ho mai un momento libero, ma ti giuro che non appena potrò mi metterò in pari con questa tua storia... Ho letto solo l'inizio, ma mi piace davvero tanto!
    Complimenti! :kissing:
     
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  9. 0marta0
     
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    ehehe credevate che vi foste liberate di me! :D invece sono ancora qui con il seguito!:D
    spero che vi piaccia :)



    Capitolo 5

    Il rientro a casa Jackson non si può dire che sia stato dei migliori, il manager di Michael aveva preso la libertà di cambiare parte del suo staff; -Non mi piacevano alcuni, quindi li ho sotituiti.- aveva tagliato corto e aveva già organizzato tutto per le prove sul palco.
    I primi giorni passarono intensi tra selezioni e disposizione dei vari macchinari, Michael sentì di nuovo il peso sulle sue spalle, le 6-8, a volte anche 10 ore di lavoro non erano certo leggere come quelle 4 o 5 passate a ballare a casa nella sua sala; sentiva di nuovo il corpo implorare pietà e riposo, ma alla stesso tempo l’adrenalina gli gridava: “Non fermarti! Continua!”. Spesso era obbligato a mostrare lui stesso i passi di danza che voleva vedere eseguiti dal corpo di ballo, e se non doveva muoversi, era obbligato a stare seduto ore ad osservare ballerini, cantati, chitarristi, ecc. insomma, la vita non gli venne certo più facile.

    -Michael, sold out! Sai cosa vuol dire?! Che tutti i biglietti in prevendita sono stati compranti! È eccezionale!-
    -Già, stupendo...-
    -Non sei contento?-
    -Sì, sì...sono solo un po’ stanco-
    Michel si nascose dietro questa banale scusa perché sapeva già dove il suo manager voleva andare a parare.
    -Sai, ci vorrebbero proprio altre date, solo queste 10 non bastano per soddisfare le esigenze dei tuoi fan.-
    -Ne avevamo già parlato prima di intraprende tutto questo! 10, non di più, non di meno. È anni che non prendo in mano un microfono, non me la sento proprio...-
    Michael era stato schietto, impeccabile nella sua esposizione, infondo quelle parole le aveva già preparate in caso che qualcuno gli avesse fatto proprio quella proposta; per quanto ci si possa fidare in un manager, bisogna sempre stare in guarda perché appena intravedono la montagna di quattrini che potrebbero guadagnare non guardano più in faccia nessuno e si tuffano a capofitto del mare d’oro a qualsiasi compromesso.
    C’era una cosa però che gli dava molto fastidio nel discorso del suo manager: “Non bastano per soddisfare le esigenze dei tuoi fan”.
    ‘E se avesse ragione? Se davvero la gente si aspetta di più da me?’ Erano pensieri che lo tormentavano giorno e notte, e insieme alle continue e assillanti insistenze del manager Michael cedette.
    -OK, va bene, va bene. Ma massimo altri 10! Non di più!-
    E così iniziò il lento e inesorabile aumento di concerti che presto gli sarebbe sfuggito di mano.
    Spesso avrebbe voluto scappare, nascondersi e, finalmente, stare in pace; ma come avrebbe potuto fare? Lo avrebbero trovato ovunque e poi avrebbe dovuto vivere ancora più recluso di come lo fosse già e, quindi, avrebbe dovuto obbligare i suoi figli ad una vita più isolata di quella che già gli stava imponendo. Ma Dio, quanto gli sarebbe piaciuto scappare lontano.
    Non dormiva più, non mangiava più; le prove si erano intensificate a causa delle date dei concerti che lievitavano a vista d’occhio

    Intanto io ero a casa che non mi preoccupavo, avevo tentato di chiamarlo qualche volta ma al telefono non rispondeva e avevo pensato che fosse troppo impegnato, infondo mi aveva avvisata che una volta tornato a Los Angeles la sua vita si sarebbe fatto più caotica, poi mi aveva mandato i pass per la prima e mi sembrava un buon segno.
    Così i gironi passarono senza che Michael rispondesse ad una mia chiamata; finché un giorno non lessi sul giornale: “50 concerti per Michael Jackson”.
    ‘Come è possibile? Aveva detto 10...’ mi dissi, così le miei chiamate divennero più insistenti, stavo alzata fino a tardi per poterlo chiamare quando da lui era primo pomeriggio, mi alzavo di notte nella speranza che il telefono non suonasse a vuoto. Ma niente da fare, Michael era irraggiungibile.
    Un giorno però, verso la fine di maggio, il mio telefono squillò; sul mio schermo apparve “numero sconosciuto”, era sera tarda quindi mi apprestai a rispondere.
    -Marta! Ciao!-
    -Paris! Non sai quanto a provato a chiamarvi!-
    -E sì, ma papà ha cambiato telefono, ora ne ha uno nuovo e il numero lo abbiamo solo noi e il suo staff. Dicono che è meglio così perché se no verrebbe troppo disturbato...-
    -Ah...comunque come state?-
    -Non male dai, papà è sempre molto stanco però è felice quando torna a casa.-
    -Ci credo, poi per quanto è perfezionista! Comunque volevo chiedervi, ma tutti quei concerti da dove sono saltati fuori? Aveva detto 10!-
    -Sì, l’ha fatto per i fan...gli hanno mostrato così tanto affetto che ha deciso di regalargli altri concerti. Comunque aspetta che ti passo Blancket, ti vuole salutare...-
    -Aspe...-
    -Ciao!-
    -Ciao Blancket! Allora come va?-
    -Male! Papà è quasi sempre via...ma tu quando è che ci vieni a trovare?-
    -Verrei volentieri, ma c’è ancora scuola e poi dovrei parlare con il tuo papà...-
    -Ahm...uffa però, adesso non mi lasciano più andare nella sua stanza e Paris e Parince non si svegliano la mattina presto per giocare con me...-
    -Ma chi è che non ti lascia entrare nella camera di Michael?-
    -Il suo dottore...dice che sta riposando e non dobbiamo disturbarlo...-
    La cosa cominciava a puzzarmi, dottore e divieti vari, e proprio mentre stavo per fare un’altra domanda a Blancket, Paris prese il telefono.
    -Scusa, ma ti dobbiamo salutare, non ci è stare tanto la telefono...abbiamo trovato un moneto per chiamarti, ma adesso dobbiamo andare...ti saluta Prince!-
    Un “ciao” del ragazzo in lontananza chiuse quella chiamata che non mi lasciò dormire tutta notte.

    -Ho parlato con Paris e Blancket e mi puzza quello che mi hanno detto.-
    Raccontai alla mia mamma la conversazione e anche lei cominciò a preoccuparsi.
    -La parola “dottore” non mi piace...l’ultima volta che l’ho sentita l’hanno praticamente drogato...-
    -Mamma, lasciami andare da lui...sento che devo farlo!-
    -No! Hai ancora scuola...-
    -Ma ormai ci sono gli ultimi 4 giorni di giugno, praticamente non si fa niente...-
    -Va beh, comunque non ti lascio a Los Angeles per strada...se non vai a casa di Michael dove credi di stare?!-
    -Non ci avevo pensato...-
    -Dovrei venire anche io...ma non posso lasciare il lavoro...-
    A quel punto apparve mio padre, era sempre stato un po’ geloso del mio rapporto con Michael, non si spiegava come sua figlia potesse avere un simile feeling con un uomo che non era suo padre. Ma non c’è da biasimarlo, infondo tutti i padri sono gelosi delle proprie figlie femmine, contando poi che io ero pure l’unica figlia che aveva. Ma quella volta fu diverso, lasciò da parte tutte le sue fissazioni e si propose per accompagnarmi.
    -Sabato non lavoro e venerdì faccio solo la mattina, poi c’è il ponte del 2 giugno, quindi posso accompagnarti io, partiamo venerdì pomeriggio e torniamo martedì mattina...poi se sarà necessario potrai fermati da lui...sempre che tu riesca a parlarci insieme...-
    Incredula lo abbraccia. –Grazie papà! Grazie mille!-
    Mia madre lo guardò un po’ sbieco, non le piacevano queste iniziative non discusse prima.
    -Ok, va bene...ma ricordati che è solo per questa occasione! E perché so come sono i dottori in America, hanno una mentalità diversa, per loro prendere i medicinali è come bere acqua! Non dico che non bisogna mai prenderli, ma certamente non come fanno loro!-
    -Grazie mamma!-
    Anche lei questa volta rinunciò alla predica, forse tutti quanti sentivamo che dovevamo farlo, dovevamo aiutare Michael. Infondo, spesso, era accorso in nostro aiuto, o meglio, in mio aiuto; ero io quella che gli chiedeva piaceri e vacanze “a sbaffo” e lui non me ne aveva mai negata una, ero in debito, e poi non mi sarei mai perdonata se gli fosse accaduto qualcosa sapendo che io lo avrei potuto aiutare!
    Così in quattro e quattr’otto mio padre riuscì a prenotare un albergo a Los Angeles, l’unico libero era quasi dall’altra parte della città rispetto a dove abitava Michael, ma non importava, dovevo andare in America a qualunque costo!

    Venerdì andammo all’aeroporto, e quando fummo imbarcati e l’aereo aveva preso quota mio padre mi chiese:
    -Posso chiederti una cosa?-
    -Sì...-
    -Come mai ci tieni così tanto questa volta ad aiutare Michael?-
    -Sinceramente non lo so, in quest’anno che è passato ho imparato a conoscerlo, è una persona fragile e per quanto possa essere testardo è molto influenzabile. E sento che adesso c’è qualcosa che non va, lui che non lasciava mai soli i suoi figli se possibile non li fa entrare in camera perché deve riposare e il suo manager lo ha praticamente isolato, gli ha cambiato il numero di telefono e i bambini non possono stare molto la teleforno...c’è qualcosa che non mi quadra..-
    -E non pensi che lo potrebbe aiutare la sua famiglia?-
    -Ci ho pensato, ma alla fine ho concluso che non credo che alla sua famiglia interessi veramente Michael come persona, non voglio giudicare, ma con suo padre non ha mai avuto praticamente un rapporto, sua madre si lascia “comandare” da Joe, i fratelli....beh quelli proprio non riesco a capirli...e Janet, probabilmente l’unica che si salva insieme a Michael, è via per il suo di lavoro quindi Michael ora si sentirà di nuovo solo e non voglio che gli accada qualcosa...-
    Mio padre sorrise. –Crocerossina...- e poi appoggiò la testa sul sedile.
    -Non è una critica, ma è vero, mi ricordi tanto una crocerossina, devi sempre andare in aiuto degli altri...è una bella cosa, ma occhio a non tralasciare te stessa.-
    Infondo aveva ragione, io ero sempre quella che si disfava per gli altri e spesso non badava alla propria di salute; dicevano che questo comportamento lo avevo preso da mia madre e io, come lei, ne andavo fiera. Mi piaceva aiutare il prossimo e nel constatare che le altre persone stavano meglio mi sentivo bene anche io di conseguenza.

    Arrivammo a notte fonda e subito ci dirigemmo all’hotel, non era un gran ché, ma non potevo pretendere troppo, infondo avevamo prenotato con 2 giorni di anticipo ed ero talmente stanca che crollai subito in un sonno profondo.

    ***



    Il risveglio non fu dei migliori, le poche ore di sonno segnavano i miei occhi inconfondibilmente, ma mi vestii alla svelta e salutando mio padre ancora a letto chiamai un taxi diretta a Holmby Hills.
    Ero preparata a tutto, o almeno così credevo; sapevo che non sarebbe stato facile avvicinarsi a Michael e “superare” le barriere che avevano creato intorno a lui, ma ho sempre creduto che se ci si mette di impegno poi i risultati arrivano. Così, arrivata alla villa mi feci largo tra la folla di gente che urlava il nome di Jackson e mi attaccai alla cancellata come qualsiasi altra scatenata fan che aspettava in grazia di vedere il suo beniamino.
    C’era gente di tutte le età, ragazzine di 12 anni e donne fatte di 40, persone pacate che se ne stavano in silenzio nella speranza di poterlo incontrare e altre che si strappavano i capelli supplicandolo di uscire. Alla mia destra vidi una donna giovane che si era seduta sull’asfalto e le chiesi come mai vi fosse tutta questa gente, prima di allora non avevo mai visto così tanta folla davanti al suo cancello d’ingresso; prima che Michael annunciasse il suo ritorno era come se il mondo si fosse un po’ scordato di lui. Di pecoroni ce ne sono tanti al mondo, forse troppi, vanno dove tira il vento e in quell’ultimo periodo non tirava mai a favore di Michael, ma fortunatamente ci sono anche quelli che rimangono fedeli alla persona ad ogni condizione; quindi è vero, i fans che lo aspettavano fuori dalla sua residenza alcune volte vi erano, ma non erano mai più di una dozzina e così insistenti come quelli che avevo attorno. Tutto ad un tratto Michael aveva ripreso visibilità e fama, anche se i media ormai non lo seguissero più tanto, tra i suoi fidati ammiratori le voci correvano svelte e così in men che non si dica ecco che una folla scatenata faceva la posta alla superstar.

    -Tra poco dovrebbe uscire per le prove e speriamo che si fermi un istante per scattare qualche foto e magari fare qualche autografo...-
    -Ahm...capito.-
    Mi guardò un po’ stranita, come se si stesse chiedendo come fosse possibile che non lo sapessi, eppure era proprio così: non immaginavo di potermi trovare in una situazione simile.
    Rimasi lì ancora qualche minuti in piedi cercando di crearmi un angolino di spazio tanto per non soffocare tra la gente, finché non si vide una lunga macchina nera scendere dal vialetto della villa , preceduta da 4 gorilla che si apprestarono ad assicurarsi che quando i cancelli si fossero aperti per far uscire l’auto nessuno entrasse nella residenza. La limousine mi sfilò davanti a passo d’uomo, aveva i vetri oscurati sul retro in modo che nessuno potesse vedere all’interno, ma io sapevo dove guardare; sapevo dove Michael si sedeva solitamente e fissai quel punto sapendo che lui mi avrebbe potuto vedere.
    La macchina sfilò lenta, fino a quando prendendo la strada principale non acquistò velocità verso lo stadio delle prove dove Michael consumava tutte le sue energie convincendosi che non si poteva rallentare quel ritmo sfibrante.
    -Senti, tu mi sembri giovane... quanti anni hai?-
    -17...-
    -E sì, non mi sbagliavo, io ne ho 25.-
    La ragazza di prima cominciò ad attaccare bottone e a me non me dispiacque, raccontai delle mie origini e subito catturai la sua attenzione, era proprio vero che gli americani adorano l’Italia! Mi chiese ogni minimo particolare e non riuscì a nascondere la sua delusione quando non sapevo dare risposte esaurienti alle sue precise domande.
    -E come mai anche tu qui? Insomma è un bel viaggetto dall’Italia a qui...anche tu fan di Michael?-
    -Beh...diciamo che sento di conoscerlo da sempre...-
    -Anche a me fa questo effetto! È strano no? Non gli ho mai parlato insieme, ma è come se sapessi ogni cosa di lui!-
    -Già...-
    Non mi sembrava il caso di dire che io lo conoscevo veramente da sempre , comunque non mi avrebbe mai creduta, e forse era meglio così; lasciai perdere e continuai con i convenevoli che ci stavano piano, piano facendo conoscere sempre più.

    Alcuni incominciarono ad andarsene per l’ora di pranzo, stanchi dal sole che in quella penultima giornata di maggio si stava già facendo prepotente.
    -Ma se ne vanno tutti?-
    -Sì, ma non ti preoccupare, poi tornano...-
    -E se andassimo anche noi a mangiare qualcosa?-
    -Ma poi perderemmo il posto! Siamo in prima fila! Se vuoi posso andare io e tu intanto stai qui ok?-
    -Va bene!-
    Così si offrì di andare a comprare due panini per metterne finalmente qualcosa sotto i denti. Io intanto ne approfittai per chiamare mio padre.
    -Ma sei sicura che non c’è bisogno che venga?-
    -Sì, non ti preoccupare...se mai ti chiamo quando vengo via così andiamo a mangiarci qualcosa insieme e poi torniamo all’albergo!-
    -Va bene.-
    Lo convinsi che andava tutto bene e dopo pochi minuti la ragazza tornò con due hot-dog in mano.

    Per due ragazze fare passare le ore tra chiacchiericcio è facilissimo, nessuna difficoltà nel parlare di cose, spesso, inutili, ma che ti coinvolgono e in qualche modo ci distraevano dal sole sulla testa e dall’asfalto duro che ormai aveva reso il fondoschiena insensibile. E chiacchierando arrivarono le 20.00 e con esse anche la lunga auto di Michael che era di ritorno.
    La macchina attraversò nuovamente la folla che si era rinfoltita e questa volta si fermò non appena i cancelli si chiusero; la portiera posteriore si aprì e ne uscì una sagoma nera, con passo un po’ trascinato per la stanchezza ma ancora sicuro, e si diresse verso la gente.
    Tutto le urla che chiamavano per nome la star si sovrapponevano in modo che “Michael” sembrasse solo uno squittio incomprensibile, gente che piangeva e che lo pregava di farla entrare era pronta a farsi largo a gomitate, mentre Michael si fermò un istante per parlare con una sua guardia del corpo per poi arrivare a pochi metri da me. Brandiva un pennarello nero in mano e facendo passare più persone possibili firmò ogni tipo di oggetto, a volte anche una schiena nuda se la persona non aveva altro da far autografare, finché non arrivò da me e io con insistenza lo pregai di guardarmi e parlarmi, ma senza successo.
    Mi aveva ignorata, aveva fatto finta di non conoscermi e mi aveva trattata come una qualunque altra ragazzina che stravedeva per lui.
    -Vi amo! Vi amo tutti!-
    Con quella frase lasciò i cancelli e risalì sulla lunga Bentley nera diretta alla villa.

    -Non te la prendere se non ti ha ascoltata, infondo non possiamo pretendere che parli con tutti noi...-
    Eh già, aveva perfettamente ragione se non fosse che solo qualche mese prima io ero dall’altra parte della recinzione. Coma potevo fare a non prendermela? O a nascondere lo sdegno che avevo provato nel vedere che mi aveva ignorata completamente?
    Ero preoccupata per la sua situazione e quel’episodio mi aveva dato la conferma: c’era qualcosa che non andava. Ma cercai in tutti i modi di distrarmi, di pensare ad altro, così chiamai mio padre che sarebbe arrivato di lì a poco per portarmi finalmente a mangiare qualcosa di “vero”.
    Salutai Julia, si chiamava così la ragazza che mi aveva fatto compagnia tutta la giornata.
    -Ciao Marta. Ma tu domani torni qui?-
    -Sì, di sicuro-
    -Ah bene, anche io. Allora ci vediamo domani! Non è che mi daresti la tua mail o qualcosa per poterti rintracciare anche una volta che te ne sarai ritornata in Italia? Mi piacerebbe mantenere i contatti...e poi se un giorno riuscirò davvero a venire in Italia conto sul tuo aiuto.-
    Mi fece un gran sorriso e mi guardò impaziente.
    -Certamente!-
    Se ne andò soddisfatta e stanca, aveva passato un giorno intero sotto il sole, ma era riuscita a vedere il suo mito; e mentre stava raggiungendo un taxi lì vicino, dall’altra direzione ne arrivò un altro che portava mio padre.
    Salii sull’auto senza fiatare e mio padre diede l’indicazioni di una “pizzeria” locale.

    A tavola ero di poche parole e mangiai senza lamentarmi quella che si avvicinava ben poco ad una vera pizza, sembrava più che altro un panino mal riuscito, ricoperto di un conglomerato di formaggio e pomodoro che rimaneva perfettamente incollato (sì, è il termine più giusto) alla pasta.
    -Allora come è andata la giornata?-
    -Bene non direi, mi ha ignorata-
    Mio padre non aveva un vera e propria opinione su Michael, non lo conosceva bene e non si era mai posto il problema di approfondire il loro rapporto. Lo vedeva come una persona estremamente gentile, un po’ testona e, a volte, anche un po’ particolare. Michael stava sempre sulle sue e mio padre non si metteva mai in mezzo, si limitava a passare momenti divertenti in sua compagnia.
    -Ma non fa niente, domani sarò ancora lì e riproverò a parlargli. E piuttosto, tu cosa hai fatto oggi?-
    -Niente, ho riposato! Cosa che non mi capita di fare troppo spesso, quindi ho approfittato dell’occasione. Poi ho fatto un giretto per i negozi e comprerò qualcosa a tua madre da portarle come souvenir.-
    -Ma ti posso lasciare solo o finisci i soldi in due giorni?-
    Sogghignai quasi maleficamente e lui mi ricambiò uno sguardo pungente, ma divertito allo stesso tempo. Però era vero, mio padre aveva sempre avuto le mani bucate, è per questo che si completavano lui e la mia mamma; lei tirchia e lui spendaccione.
    Tornati all’hotel passammo un po’ il tempo giocando a carte e passando piacevolmente del tempo insieme come non ci capitava di fare spesso a casa perché sotterrati dai troppi impegni. Ma dopo non molto crollai in un sonno profondo che si portò via tutta la stanchezza accumulata nel viaggio e nella giornata intensa che avevo passato davanti alla villa di Michael; ero troppo stanca anche per sognare, o per lo meno per ricordarmi il sogno, mi serviva davvero una bella dormita prima di un’altra giornata che sarebbe stata sicuramente sfiancante come, se non di più, quella precedente.

    ***



    Ancora una volta aggrappata al suo cancello, ancora una volta con in parte Julia; le avevo portato un caffè che nel tragitto si era quasi completamente raffreddato, ma poco male, il calore di quella mattina del 1° giugno era insistente.
    All’albergo tutto era pronto, avevo preparato le valigie la sera prima e la mattina avevo ultimato i bagagli, per un’anticipazione del volo sarei dovuto presentarmi all’aeroporto per le 22.00 e sarei partita di notte; quindi l’ultima giornata buona per riuscire a parlare con Michael era quella.
    La giornata passò come le precedenti, ma quella volta la lunga macchina di Michael fece ritorno prima, così si fermò un po’ di più dai suoi fan.
    Lo supplicai ancora di parlarmi, di non ignorarmi; ma niente, lui continuava con i suoi autografi non prestando attenzione a ciò che dicevo.
    -Michael, smettila di ignorarmi, io resterò qui finché non mi parlerai! Se vuoi che me ne vada guardami negli occhi e dimmelo! Dimmi di andarmene e lo farò! Ti lascerò in pace! Altrimenti dovrai vedermi qui tutti i giorni!-
    Mi ero giocata il tutto per tutto: giocai la carta dell’insistenza.
    Dopo quella frase mi ero guadagnata due paia occhi puntanti addosso, quelli di Julia con un’espressione interrogativa, e quelli di Michael che se da una parte trasmettevano impazienza di abbracciarmi, dall’altra indifferenza, come se stessi parlando a vanvera.
    Stetti lì, in attesa di una sua mossa e dovetti aspettare 20 minuti buoni che finisse il giro di firme; 20 minuti in silenzio, puntando gli occhi su di lui; stavo pregando, sì, stavo pregando perché mi facesse entrare, oppure sarei dovuta ripartire senza aver avuto la possibilità di parlargli.
    Michael si diresse verso la macchina e quando arrivò davanti ad una guardia del corpo che sorvegliava i cancelli si fermò a parlargli negli orecchi per poi continuare verso l’auto.
    Quando salì sulla limousine, il bodyguard si avvicinò ai cancelli e con una mano mi fece segno di avvicinarmi, e stando sempre attento che nessuno si intrufolasse fece largo tra la folla e mi condusse all’interno della proprietà.
    Mi voltai per guardare Julia, la sua espressione era sempre più stupita, e sotto un certo aspetto mi sentivo un po’ in colpa per non averle raccontato la verità, ma come avrei potuto?
    Percorsi veloce il viale d’ingresso e quando entrai in casa sentì un’atmosfera gelida pervadere nelle mie vene. Quel posto che solo poco tempo prima trasudava vita e calore, era adesso freddo; il personale si parlava a malapena e qualche volta si scambiava occhiate di disappunto, il salotto una volta sempre abitato, ora era perfettamente in ordine: non un gioco, non un oggetto fuori posto, come se fosse racchiuso in una bolla di vetro.
    In quella accoglienza così fredda, con poche persone che mi diedero il benvenuto, fui molto felice di vedere i ragazzi provenire dal piano superiore.
    -Ciao Marta! Come sono felice di vederti!-
    Paris corse ad abbracciarmi, mentre Prince si teneva a debita distanza. Era fatto così, so che mi voleva bene, ma era restio a dimostrarmelo.
    Blancket invece mi venne incontro e aspettò che la prima mossa la feci io. Mi abbassai e lo strinsi fra le braccia, lui si attaccò al collo senza mollare la presa, così lo presi in braccio non senza fatica; aveva solo sette anni, ma era grande per la sua età.
    Dopo essermi accertata che stettero bene chiesi di Michael.
    -È al pianoforte- rispose Paris.
    Lasciai Blancket e mi diressi nel salone accanto alla cucina da dove proveniva una melodia celestiale, era un pezzo classico.
    Mi avvicinai alla porta ed esitai un istante ad entrare, ma alla fine presi coraggio e interruppi quella musica così rilassante.
    -Ciao Michael, come va?-
    Le mani si fermarono sui tasti bianchi dello strumento mentre le note echeggiavano ancora nella stanza. Ci fu una pausa nella quale pensai di svenire per quel silenzio che non riuscivo a sopportare.
    -Bene.-
    -Che succede Michael, non mi saluti neanche...-
    -Va tutto bene. È solo che sono molto impegnato ora, non posso distrarmi.-
    Non un abbraccio, solo uno sguardo sfuggevole e un cenno con la testa, probabilmente aveva paura che gli chiedessi perché mi aveva ignorata, ma non mi sembrava veramente il momento opportuno di sviscerare l’argomento.
    Fortunatamente in quel momento entrarono i ragazzi nella stanza, con a capo Paris.
    -Allora Marta resti con noi?-
    -Non so Paris, dovresti chiederlo prima al tuo papà.-
    Guardai Michael con aria supplichevole e lui ricambiò soltanto uno sguardo freddo.
    -Non so, io sono impegnato e...-
    -Michael, guarda, non importa, ero solo passata a salutare. Certo, mi piacerebbe restare con i ragazzi, ma se per te è meglio che torni a casa non fa niente.-
    Mi pervase un senso di rassegnazione, come quelli che ti fanno rinunciare a provare a riaddormentarti dopo un bel sogno del quale però non hai potuto vedere la fine. Gli dissi che ero disposta a tornare a casa, ma speravo con tutto il cuore che mi fermasse, che mi contraddicesse chiedendomi di restare.
    -Ti prego papà, falla restare.-
    Blanckt guardò il padre con gli occhi che solo lui era in grado di fare: due occhi talmente dolci davanti ai quali chiunque si fosse sciolto, che avrebbero fatto cedere persino una di quelle guardie svizzere fuori dal vaticano.
    Prese il bambino sulle ginocchia e disse:
    -Ok, se ha piacere può restare. Però a patto che voi mi lasciate lavorare e che non la stanchiate troppo.-
    Un cenno di assenso unanime fece intendere a Michael che accettavano di buon grado la sua proposta.
    -Allora Marta ci stai?-
    -Certo Michael! Mi fa sempre piacere passare il tempo qui.-
    Vedendo che non feci cenno a ciò che era successo nei giorni precedenti davanti al cancello, Michael si interessò a me.
    -Sei qui sola?- disse un una nota di preoccupazione.
    -No. Mi ha accompagnato mio padre.-
    -Allora sarà meglio che lo chiami per dirgli che rimani qui e per farti portare la roba. Ma lui rimane qui a Los Angeles?-
    -No. Stasera va in aeroporto e torna a casa.-
    In quel momento capì che non avrei potuto restare a lungo davanti a quel cancello, capì che lo avevo ingannato per ottenere ciò che volevo. Ma non ne sembrò tanto dispiaciuto, infondo aveva piacere ad avermi lì.
    Chiamai mio padre che arrivò dopo un’oretta con i bagagli e il biglietto.

    -Ti fermi a cena?-
    Michael fece capolino dal corridoio.
    -Beh veramente entro sera devo essere in aeroporto e non vorrei disturbare-
    -Marta mi ha detto tutto. Non disturbi. Fermati.-
    Il mio papà accettò e così facendo ebbe occasione di parlare con Michael, come al solito si preoccupò che io non disturbassi troppo e si apprestò a dirgli che quando avrebbe voluto che tornassi a casa di non crearsi nessun problema nel mettermi sul primo aereo per Milano.
    -Non ti preoccupare. Non disturba e poi i ragazzi hanno piacere che stia qui, anche perché in questo periodo sono un po’ assente per le molte prove che ho. Se hanno compagnia e Marta si trova bene, per me può restare. Ora però scusate, sono stanco e vorrei andare a riposare.-
    -È meglio che vada anche io.-
    Michael e mio padre si alzarono da tavola, il primo si diresse verso le camera, mentre l’altro verso l’uscita.
    Salutai il mio papà ringraziandolo per l’occasione che mi aveva offerto e aspettai di vedere la macchina nera con la quale lo avrebbero accompagnato all’aeroporto andarsene dai cancelli; poi mi voltai verso il salotto.
    Ce l’avevo fatta, avevo espugnato la fortezza che gli avevano creato intorno; il più era fatto.
    Tirai un sospiro di sollievo e restai a guardare i bambini che distrattamente cercavano un canale di cartoni animati sulla TV.
    Ero carica, pronta a combattere una guerra ben poco facile, ma che volevo vincere a tutti i costi.
     
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  10. stefymj
     
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    mamma miaaaaa bellissima questa storiaaaa davvero l'ho letta tutta d'un soffio!!! BRAVISSIMAAA:clapping: :clapping: :clapping: :vibrate: :vibrate: :vibrate: :vibrate: :vibrate: :sbav.gif: :sbav.gif: Ti prego posta la continuazioneeee :love: :love: :love: :love: :love: :love: :love: :love: :love: :love: :love:
     
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  11. 0marta0
     
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    grazie stefy!!! visto che ti è piaciuta la posto...ormai l'ho finita e adesso puoi leggere il seguito fino alla fine! :)
    Capitolo 6
    SPOILER (click to view)
    Capitolo 6

    I giorni passarono lenti dentro la noia di quella casa vuota, Michael si alzava la mattina presto per andare a provare e i bambini avevano lezione; se non fosse stato per Blancket che la mattina passava puntualmente alle 7.00 a salutarmi e la cuoca che pazientemente, ogni tanto, mi insegnava qualche piatto nuovo, sarei forse potuta cadere in depressione.

    -Marta sei sveglia?-
    La porta si dischiuse piano e il piccolo si fece avanti con un adorabile pigiama azzurro con gli orsetti.
    -Blancket, ma è sabato. Non hai sonno?-
    -No! È il primo giorno di vacanza!-
    E sì, era già passata una settimana e avevano ufficialmente finito le lezioni, adesso avevano solo poche ore di compiti che potevano gestire come preferivano.
    Alzai le coperte per fargli posto nel letto e subito vi si intrufolò accoccolandosi dietro la mia schiena. Restammo lì per qualche minuto mentre Blancket continuava a fare piccole mosse per farmi notare che lui, comunque, non stava dormendo; così mi voltai.
    -Vuoi scendere?-
    -Ok-
    Lo disse come se fosse stata una mia volontà; lo seguii sorridendo, era proprio un bel tipetto!
    Arrivammo in cucina, fredda come sempre, ma c’era Carmen, la cameriera, che stava sparecchiando la tavola.
    -Michael non c’è?-
    -Il signor Jackson è già andato.-
    Michael ancora una volta era riuscito a battermi sul tempo, mi aveva evitato tutta settimana, schivando con abilità ogni argomento troppo impegnativo.
    -Posso preparare la colazione?-
    -Non c’è bisogno signorina...-
    -Marta, sono solo Marta.-
    -Sì, comunque gliela preparo io.-
    -Non si preoccupi, veramente, non c’è bisogno. Faccio da me.-
    -Come vuole.- e con un cenno del capo se ne andò.
    Proprio non ero abituata a tutto questo, infondo preferivo fare da me.
    Poco dopo arrivarono Prince e Paris, giravamo praticamente sempre in coppia, avevano un bellissimo rapporto stranamente, non succede spesso che fratello e sorella siano tanto affiatati; ma loro erano così, forse aiutati anche dal fatto che avevano soltanto un anno di differenza.

    La sera arrivò abbastanza presto, dopo un pomeriggio pieno, finalmente animato da quei tre ragazzini che sapevano farmi dimenticare tutto per far posto a ciò che stavo vivendo insieme a loro. Un potere che avevano preso dal loro padre.
    Stavo distrattamente facendo girare i canali della TV via cavo quando sentii la porta di ingresso aprirsi; mi voltai e scorsi la sagoma di Mike entrare nella penombra.
    -Sera Michael!-
    -Ciao! Ancora sveglia?-
    -È già...non ho ancora sonno...stai qui un po’ a farmi compagnia?-
    -A dire il v...- stava per dirmi un’altra volta che non sarebbe potuto restare, così giocai la carta degli occhioni dolci.
    -Ok, però non so quanto resisterò.- Non era vero, andava sì a letto sempre abbastanza presto, però si vedeva uscire il medico solo a notte fonda, quando la camera si faceva completamente silenziosa. Come facevo a sapere queste cose? Stavo sveglia fino a tardi per vedere se riuscivo ad incontrarlo, se mai fosse uscito da quella camera.
    -Michael, oggi era il primo girono di vacanza dei ragazzi e stando un po’ insieme si è parlato che domani sarebbe bello passare del tempo tutti insieme.-
    -Sarebbe bello. Però forse sarebbe altrettanto importante che continuassi a lavorare.-
    -Dai Michael, è domenica, sei stato via praticamente tutta settimana...-
    Buttò la testa indietro toccando con la nuca lo schienale del divano e quasi come un detenuto dopo dieci ore di interrogatorio, arrendendosi, accettò la proposta.
    -Michael ma va tutto bene?-
    -Sì, sono solo un po’ stanco.-
    -Michael e allora perché c’è sempre quel medico che gira per casa?-
    -Perché ogni tanto ho dei dolori...e mi aiuta.-
    -Ok...-
    Avevo rinunciato anche questa volta, non approfondii un argomento che evidentemente non aveva alcuna voglia di affrontare; così mi limitai a guardarlo e raccontargli ciò che avevo fatto con i ragazzi e mi si scaldò il cuore quando vidi un sorriso prendere forma sulle sue labbra per il semplice motivo che stavo parlando dei suoi bambini. Avevo finalmente trovato un argomento per quale non mi avrebbe lasciata con una banale scusa e in fondo mi faceva piacere distoglierlo per un attimo da tutte quelle preoccupazioni che lo assalivano giorno dopo giorno.
    Continuai a parlargli di quanto Balcket fosse dolce, Paris educata e gentile e Prince sveglio come nessun’altro, finché non arrivò il dottore sulla soglia della porta.
    -Michael, quando vuole la aspetto in camera.-
    Michael perse quel sorriso che avevo tanto faticato a fargli venire e chinandosi verso di me mi diede la buona notte e un bacio sulla fronte, per poi alzarsi dal divano e dirigersi verso la camera da letto.
    -Marta, comunque pensavo che era una buona idea. Allora domani svegli tu i ragazzi...non so..per le 8.00? e poi decidiamo cosa fare ok?.-
    -Certo Michael!-
    Finalmente ero riuscita a ottenere, per una volta, ciò che desideravo; rimasi ancora un po’ alzata, quella sera davvero non riuscivo a dormire.

    Per l’una di notte mi diressi verso la mia stanza da letto quando, mentre ero sull’ultimo gradino delle scalinata che collega il piano terra a quello superiore, vedi il dottore di Michael uscire dalla stanza con un sacco nero dell’immondizia; lo posò a terra e tirando fuori il telefono dalla tasca si chiuse in bagno per avere un po’ di privacy. Fu in quel momento che spinta dalla troppa e insistente curiosità aprì il sacco scoprendo quello che Michael prendeva per “stare meglio”.
    Vidi siringhe, pillole e un contenitore con l’indicazione “per uso ospedaliero”. Non sapevo cosa curassero di preciso quei farmaci, ma immaginavo che non erano di certo cosa da poco.
    Sentii la chiave scattare una volta e in un istante richiusi il sacchetto nero e mentre la serratura scattava per la seconda volta permettendo l’apertura della porta ripresi frettolosa il cammino per la mia stanza; prima di varcare la soglia d’ingresso, però, mi voltai verso la porta della camera di Michael, dove il dottore stava ancora trafficando con l’immondizia guardandomi con uno sguardo di rimprovero.
    Scivolai subito nel letto e sentii il cuore battermi in gola; mi prese un’agitazione che non avevo mai provato prima e la respirazione si fece più affannata e veloce. Presi un gran respiro per fermare l’iperventilazione che mi stava facendo sudare freddo, ma perché il cuore arrivasse ad un ritmo cardiaco normale ci vollero ancora alcuni minuti.
    Inutile dire che feci molta fatica a prendere sonno quella notte.

    La sveglia suonò costringendo i miei occhi ad aprirsi ancora appannati da quella nebbia fine del sonno leggero che non mi aveva fatto riposare veramente tutta notte. Distrattamente scesi dal letto ed andai a chiamare i ragazzi, invitandoli a scendere per colazione.
    Andando in cucina vidi Michael seduto al tavolo, mi rivolgeva la schiena e teneva lo sguardo fisso sul muro dietro il piano cottura. La stessa espressione vuota sul suo volto, la stessa stanchezza quasi impercettibile agli occhi di un estraneo, ma comunque sempre presente, lo stesso sguardo perso che lo avevano accompagnato per tutta settimana erano segni ancora evidenti in quel week-end.
    Poco dopo però arrivarono anche i suoi figli, allora cambiò espressione, mise la maschera del buon padre e si tolse quella dell’uomo al quale avevano chiesto troppo. Lo faceva sempre: davanti ai suoi bambini non si mostrava mai stanco o giù di morale, si dedicava a loro completamente, dimenticando se stesso. E se da un lato questo era un bene, dall’altro non faceva altro che farlo cadere ancora di più in quel baratro che si era creato da solo.
    Consumammo la colazione discutendo sul da farsi per la giornata mentre io non riuscivo a non fissare Michael , lo stavo guardando con un’espressione di rimprovero mista a un pizzico di delusione e lui, accortosi di ciò che gli stavo dicendo con lo sguardo, cercò accuratamente di evitare l’incontro dei suoi occhi con i miei. Ma era più forte di me, lui stava buttando via tutta la vita in quei medicinali che servivano realmente a poco; Michael non aveva bisogno di stare meglio, o più precisamente, Michael aveva bisogno di sentirsi meglio con gli altri, di sentirsi accettato e compreso per una volta nella sua vita.

    -Ragazzi, è una bella giornata, vi va di fare qualcosa all’aperto?-
    L’idea era buona, infondo perché sprecare una bella giornata di sole a giugno?
    Così uscimmo in giardino e approfittammo della ancora non troppo calda mattinata per fare qualche gioco movimentato con la palla; spesso rincorrendo l’ombra di qualche albero per trovare più frescura. Rientrammo giusti per il pranzo e poi Michael tirò fuori le pistole d’acqua lanciandoci una sfida alla quale non ci si poteva sottrarre.
    -Io direi che visto che siamo dispari e un gruppo viene da tre, io e te stiamo insieme e ci battiamo contro di loro!-
    -A si? Certo è solo una scusa Marta, lo so...sei a conoscenza della mia fama da super pistolero e vuoi vincere!-
    -Io ci sto!- Prince accettò la mia proposta con due occhi furbi e tono di sfida.
    -Ok! Allora che guerra sia!-
    Così iniziammo a correre cercando di schivare i proiettili bagnati e quando avevamo ridotto i suoi bambini come se si fossero buttati in piscina vestiti Blancket saltò davanti al suo papà che si buttò a terra fingendo di essere stremato. Il bambino si mise a cavalcioni sulla pancia di Michael e minacciandolo con la pistola in faccia lo intimava di non muoversi finché non cedette alla voglia di inzupparlo, allora iniziò a sparargli.
    -Ora è meglio che rientriamo e ci mettiamo dei vestiti asciutti.-
    Rientrammo nella casa, presi l’occasione al volo per farmi una bella doccia calda, dopo averne subito una fredda per tutto il pomeriggio era davvero una goduria; poi arrivò l’ora di cena e infine ci ritrovammo come al solito davanti alla TV.
    -Michael, scusami ma ci sarebbero due cosette da sistemare per il This is it.-
    -Scusatemi, torno appena posso ok?.-
    -Ok Michael, vai pure.- gli dissi accarezzando i lunghi capelli di Blancket che ancora una volta si era addormentato con la testa sul mio grembo.
    Ormai era trascorsa un’ora e di Michael neanche una traccia; i ragazzi decisero di andare a letto e io portai Blancket nella sua cameretta, sistemandolo tra le lenzuola.
    Nel scendere dalle scale vidi Michael che stava per intraprende il percorso inverso.
    -Vi stavo venendo a salutare perché avevo visto che non c’eravate più in sala.-
    -Avevano sonno e ho messo Blancket a letto. Ma io sto tornando giù....non sono abituata ad andare a letto presto.-
    -Però ogni tanto farebbe bene.-
    -Lo so, ma non ci sono mai riuscita; nemmeno da piccola.-
    -Servirebbe anche a me una bella dormita!-
    Lo stava rifacendo, stava cercando di evitare un confronto con me; ma presi fiato e gli dissi ciò che avevo dentro da ormai troppo tempo.
    -Michael, posso parlarti?-
    -Ok.- la sua bocca mi diceva di sì, ma i suoi occhi mi stavano chiedendo:
    “devi proprio?”.
    -Michael, che stai facendo?-
    -Cosa?-
    -Sai di cosa parlo, il fatto che mi hai lasciata 3 giorni fuori dai cancelli, poi il medico che gira e...Michael...i medicinali che prendi. Ho visto la tua spazzatura e...-
    -Che fai ora ti metti a spiarmi? Ricordati che sei un’ospite! Non ti è permesso ficcanasare nel mio privato!-
    -Visto? Prima non avresti reagito così...Michael veramente, che sati facendo?-
    -Tu non puoi capire...-
    -È vero, non posso capire, non voglio capire! Perché capire vuol dire comprendere e non riuscirei davvero a comprendere il motivo per il quale ti fai iniettare un medicinale ad uso ospedaliero quando hai tre splendidi figli che pendono dalle tue labbra.-
    Michael guardò in terra, si morse un labbro per la rabbia e l’agitazione che gli ribolliva dentro senza poterla esternare perché infondo sapeva che non era nel pieno della ragione.
    -Mike davvero...so cosa vuol dire mettere tutto se stesso in una cosa che credi possa alleviare le tue sofferenze. So cosa vuol dire star male fisicamente perché così ci si illude mentendo a se stessi, convincendosi che il vero dolore viene dalla gamba che si ha sforzato troppo, senza conoscerne neanche il vero motivo, e non quello dovuto ai sentimenti contrastanti che provi. Conosco i trucchi per convincersi che non si sta soffrendo, quando in realtà si sa benissimo che invece si sta crollando a pezzi. Quindi ti prego, non dirmi bugie...-
    -Marta...-
    -No, aspetta...- finalmente avevo iniziato a parlare e se mi avesse interrotto probabilmente non avrei più trovato il coraggio di continuare. -...so di avere solo 17 anni e che tu invece sei ormai un uomo...-
    -Lo sai che credo che anche un bambino...-
    -Lo so, Michael lo so, ma la sciami finire. So di avere solo 17 anni, ma ne ho già passate parecchie, la mia vita non è stata una passeggiata e tu lo sai. Non metto in parte la mia infanzia alla tua, ma anche io ho avuto i miei problemi che ho affrontato nelle peggiori delle maniere; ma non sono mai arrivata a quei medicinali o qualsiasi altra cosa così forte e ti prego, ti prego non caderci neanche tu.-
    -Ma non sai cosa vuol dire arrivare a sera e sentirsi talmente stanchi da non reggersi in piedi eppure non riuscire a dormire. Non sai quanto possano fare male le ossa dopo 10 ore di prove...-
    Una lacrima gli scivolò sulla guancia sinistra e una seconda gli fece compagnia raggiungendola sul mento dalla destra.
    -Tu non lo sai...voglio solo dormire...non mi sembra di chiedere tanto e c’è un medico con me...-
    -Michael quel medico probabilmente ti procurerebbe anche il cianuro se tu lo pagassi abbastanza.-
    Ancora una volta Michael fissò il pavimento, non trovando una risposta per smentire quello che avevo appena detto.
    -Oh Michael...-
    -Lo devo fare per i miei fan, non posso deluderli, lo devo fare perché devo fare quei concerti...-
    -Lo devo, lo devo...Michael per una volta pensa a te...e se proprio non cela fai, fallo per i tuoi figli che, oddio...odio dirlo, ma se per caso ti succedesse qualcosa sarebbero davvero persi senza te; e io ti posso dare una mano....per quanto possa esserti utile.-
    Michael non trattene più le lacrime che ormai scesero copiose sul suo volto e strinse le braccia attorno al mio collo liberandosi finalmente di tutta quella tensione che aveva accumulato in mesi.
    Lo strinsi forte in vita e gli accarezzai la schiena, non avevo mai visto Michael così e fu veramente dura. Infondo rimaneva un uomo di 50 anni, ma aveva il cuore ancora di un ragazzino, fragile come quello di un bimbo.
    Si staccò piano sussultando un attimo se fosse davvero arrivato il momento di lasciarmi, ma quando mise il suo sguardo nel mio notò che anch’io avevo ceduto alle troppe emozioni contrastanti che avevo provato e che avevo dato sfogo attraverso le lacrime.
    -Sch...non piangere...non posso vederti così.-
    -Non mi vedrai più così se tu smetterai con quella roba e torneai il Michael di sempre, quello che conosco e al quale voglio un mondo di bene.-
    Con i pollici mi asciugò le lacrime continuando a fissare i miei occhi lucidi.
    -È dura sai? Davvero dura...ma ora lasciami andare a riposare che domani devo ricominciare il tour de force.-
    -Michael...-
    -Ti prego, non aggiungere altro...non farmi sentire di più in colpa di quanto non faccia da solo...almeno per stasera....-
    -Michael.-
    -Sì?-
    -È stata davvero un bella giornata! Mi sono proprio divertita! E comunque lo sai? È vero! Volevo vincere e ho scelto il migliore!-
    Mi sorrise e si girò verso di me, gli andai incontro e gli diedi un bacio sulla guancia.
    -Buona notte Michael.-
    -Sogni d’oro Marta.-
    Ci dirigemmo entrambi alle nostre camere e quando mi misi nel letto non potei non fare il resoconto della giornata. Il giorno era passato magnificamente e la sera, beh, la sera un po’ meno; ma avevo finalmente parlato schiettamente a Michael e anche se non mi aveva promesso niente sapevo che avrebbe riflettuto su ciò che gli avevo detto. Era un uomo intelligente, ogni tanto si lasciava trasportare dalla gente che gli stava intorno e che non era del tutto affidabile come lui credeva, ma alla fine ragionava sempre con la sua testa e in quel moneto più che mai sapevo che lo avrebbe fatto.


    Capitolo 7
    SPOILER (click to view)
    Capitolo 7

    I giorni più lunghi della mia vita furono quei due nei quali non vidi mai Michael. Essere nella sua casa e non incontrarlo per 48 ore mi aveva messo l’ansia e un senso di abbandono mai provato prima; ero sola, in quella villa enorme nella quale mi sarei potuta perdere tra una stanza e l’altra se non l’avessi conosciuta bene e in quei momenti provai a capire come Michael si era potuto sentire a Neverland o anche in quella casa in un momento in cui credeva che tutto fosse distante da lui, talmente distante da non riuscire e prenderlo neanche sforzandosi allo stremo.
    Ma la sera di tre giorni dopo la nostra “chiacchierata” arrivò a casa prima delle altre volte e quando i bambini se ne andarono a letto si avvicinò a me con aria seria e cominciò a parlare.
    -Sai, ci ho pensato in questi giorni, ci ho pensato talmente tanto che devo prendere una decisione ora, altrimenti non riuscirò più ad andare avanti riflettendo continuamente su quel nostro discorso. Ho pensato...e ho concluso che hai ragione, è sbagliato. Ho visto quanto stavi male per me, te che, non prendertela a male, non vivi con me 365 giorni l’anno, te che non ti ho cresciuto e ho immaginato quanto allora potessero stare male i miei figli e mi sono detto che non ho il diritto di fargli provare tanta sofferenza. Quindi basta, sarà dura sì, ma smetto con tutto questo.-
    -Oh Michael...-
    -Però mi hai promesso una cosa; che mi aiuterai e io conto su questo. Dovrai davvero aiutarmi Marta.-
    -Certo, ti starò vicino!-
    -Ecco, tieni...- Mi porse un sacco con dentro siringhe e medicinali. -...buttali per piacere, non li voglio sotto gli occhi se ho deciso di non prenderli più. Ah, e poi un’altra cosa, ho licenziato il medico. L’ho liquidato e non potrà lamentarsi; ci saranno però ancora alcuni esperti che dovranno pensare alla mia salute...infondo è sempre bene avere un’opinione di uno specialista quando si affrontano certe cose.-
    Se da una parte potevo capire che si preoccupasse della sua salute, dall’altra ero un po’ titubante e speravo con tutto il cuore che non fossero capaci anche loro di dare “veleno” a Michael.
    Un sorriso nervoso gli apparve in viso, aveva paura, sì, paura di non farcela e così di deludere il suo pubblico. Però ci era passato già altre volte per quella strada e ormai sapeva le conseguenze e la difficoltà di affrontare un problema troppo tardi, così accettò con piacere il mio aiuto perché sapeva che probabilmente da solo non ce l’avrebbe fatta, oppure sarebbe stato ancora più duro.
    -Michael, tu non immagini neanche quanto questo mi faccia felice!-
    Lo abbracciai e dopo corsi a buttare tutta quella spazzatura che mi aveva affidato, poi tornai da lui per godermi quel momento.

    Vorrei davvero poter dire che passai dei giorni meravigliosi, o almeno nella norma, nelle successive due settimane di giugno, ma direi una bugia.
    Non avevo immaginato quanto potesse essere dura disintossicarsi da dei farmaci; c’erano delle volte in cui Michael cedeva e chiedeva i sonniferi o gli antidolorifici, ma non c’erano persone che potevano aiutarlo nell’immediato, così io avevo il tempo di dissuaderlo e farlo ragionare.
    Spesso stentava a reggersi in piedi, ma alla sera non riusciva lo stesso a prendere sonno.
    -Vedrai che prima o poi crollerai! Il tuo corpo prima o poi vorrà dormire!- gli ripetevo in continuazione; ma le prove si fecero sempre più faticose e la sera cercava in vano di recuperare un po’ le forze che ultimamente erano ad un livello davvero basso.
    Anche per me, comunque, non fu semplice; spesso la notte stavo alzata con lui perché gli avevo promesso che gli sarei stata vicino, cercavo di recupera le ore di sonno perduto prima che Blancket arrivasse a svegliarmi e pretendere la sua dose di divertimento con me quotidiana.
    Ciò che era peggio e che non potevo parlarne con nessuno e tanto meno con i suoi figli perché non voleva farli preoccupare, così non potevo dire : “No, oggi lasciatemi dormire” o sfogare le mie preoccupazioni parlando con qualcuno.
    Spesso dormivo dopo pranzo e dopo cena, e quando arrivava Michael a casa facevo di tutto per non sembrare stanca, non volevo farlo sentire in colpa, ma probabilmente le mie occhiaie dicevano esattamente il contrario.
    Furono delle giornate davvero di inferno, ma come si suol dire, non tutto il male vien per nuocere. Infatti, con piacevole sorpresa trovai un enorme appoggio con Prince che, essendo un ragazzo intelligente, aveva intuito che c’era qualcosa che non andava in me e quando eravamo soli mi veniva accanto e anche senza dirmi niente mi faceva sentire che lui era lì, per qualsiasi cosa di cui avrei avuto bisogno. Era un ottimo ascoltatore, paziente e comprensivo; a volte parlavamo tanto e a lungo, le nostre chiacchierate mi sollevavano e mi facevano dimenticare quanto fossi stanca o stressata da quella situazione che era più grande di me, ma dalla quale non mi sarei potuta, e nemmeno avrei voluto, togliermi.

    C’erano delle volte che, però, si faceva più dura. Ricordo che una sera sul divano cercavamo di trovare un buon argomento noioso a tal punto da farlo addormentare, ma ogni tentativo era vano.
    -Non sarebbe meglio se per provare a dormire ti sdraiassi?-
    -Beh, provare non costa nulla.-
    Ci dirigemmo verso la sua camera da letto e mi fermai davanti alla porta; ero incerta sul da farsi perché non sapevo se la sua intenzione era quella di provare a stare solo.
    -Entri?.-
    Con quella domanda fece crollare tutti i miei dubbi e mentre lui si sistemava tra le lenzuola, io mi sedetti sul bordo del letto. Michael cominciò a parlare con una voce leggera che al mio cervello, ormai stanco per le troppo poche ore di riposo, arrivavano come una ninna-nanna. Gli occhi iniziarono a farsi pesanti e, dopo aver combattuto contro l’equilibrio, cedetti alla prima richiesta del mio corpo: mi sdraiai appoggiando la testa sul cuscino.
    Mike continuò con il suo discorso che ormai capivo ad intermittenza; feci di tutto per resistere, ma alla fine il sonno mi portò insistentemente nel mondo dei sogni.
    Mi svegliai poco dopo e notai con sorpresa che Michael non era più accanto a me. Andai in salotto, ma anche lì non c’era, quindi mi diressi verso la cucina dove lo trovai con una tazza di camomilla in mano.
    -Che fai qui?-
    -Ti sei addormentata e non sapevo che fare.- disse con un tono quasi scocciato, non saprei spiegare di preciso che sentimento era, ma di sicuro non gioia; quell’uomo per me continuava ed essere un mistero e lo scoprii quando credevo di averlo finalmente capito veramente.
    -Vuoi anche tu la camomilla?-
    -Sì, ma la preparo io Michael, tranquillo.-
    Stavo armeggiando con pentolini e tazze, quando Mike cominciò a parlare seriamente.
    -Marta, stavo pensando che ti sto chiedendo troppo. Tu sei giovane e non dovresti pensare a queste cose. Forse è meglio che riprendi i tuoi ritmi normali; sei stanca, sempre, e si vede...io cercherò di arrangiarmi.-
    E ancora una volta ecco il Michael che mi stupiva in continuazione; prima sembrava scocciato perché lo avevo lasciato solo, e poi mi dice che è meglio se lascio perdere.
    -Michael ma che stai dicendo? Se mi pesasse, giuro, non mi sforzerei!-
    -Ti credo, ma tu ora non dormi più, non parli più. Ricordo benissimo tutte le volte che mi dicevi delle tue preoccupazioni e dei tuoi problemi; mentre adesso non racconti più niente.-
    -Non ho niente da dire. Va tutto bene.-
    Mi guardò insistentemente e per una volta io riuscii a reggere il suo sguardo. Forse era davvero così, forse non avevo alcun problema; o forse mi ero semplicemente auto convinta che non ce ne fossero, relegandoli in un angolo della mia mente, ben sigillati, come avevo fatto molte altre volte. Ancora oggi non si dirvi di preciso cose fosse stata la realtà.
    -Ok, se ne sei convinta...comunque credo ancora che forse sarebbe meglio che tornassi alla tua vita.-
    -Michael, se vuoi i tuoi spazi ti capisco, e te li lascerò. Se vorrai posso partire domani o dopodomani; ma se lo dici solo per me, allora ti rispondo che voglio restare perché voglio starti vicino.-
    Michael sussultò un instante, ma alla fine restò chino sulla sua tazza, con lo sguardo su quella superficie liscia che evaporava piano con un leggero filo di vapore.
    -Ok, ho capito.- dopo aver detto questo lasciai ciò che stavo facendo e mi diressi in camera dove di primo impulso presi le valigie e le aprii in terra pronte per essere riempite; ma rimasi in piedi, davanti ad esse senza riuscire a trasferire i miei abiti dal guardaroba ai bagagli. Restai così per circa dieci minuti e poi decisi di mettermi a letto, ma come era prevedibile non mi addormentai.

    -Permesso?-
    Era un bisbiglio che proveniva dal di là della porta e riconobbi subito il timbro di voce di Michael.
    -Avanti.-
    Entrò nella penombra e vide subito i bagagli in terra alla sua sinistra.
    -Te ne vai? Hai già fatto le valigie?-
    Il tono della sua voce si fece più incerto di quando era entrato e il suo sguardo come al solito era fisso a terra.
    -No Michael, non ho fatto le valigie...ma la mia intenzione era quella di andarmene. Ma alla fine non sono riuscita a mettere via le mie cose...-
    Fece un gran respiro e con passo delicato si avvicinò al letto e si sedette sul bordo del materasso.
    -Resta...-
    Lo guardai dritto negli occhi che nell’oscurità erano ancora più neri e profondi delle altre volte e senza dire una parola presi la sua mano appoggiata sulle lenzuola e sentii le sue dita stringersi attorno al mio palmo con insistenza, posticipando in continuazione il rilascio.
    Rimasi così, senza fare nit’altro finché non fu lui il primo a muoversi rompendo quel momento congelato dentro uno sguardo di intesa.
    -Allora ok...però mi devi promettere che stanotte dormirai e domani si ricomincia da capo. Io intanto cercherò di fare lo stesso-
    -Va bene.-
    Detto questo se ne andò chiudendo la porta alle spalle.
    Mi rigirai un paio di volte nel letto, ma il sonno non si fece attendere molto; avevo proprio bisogno di una bella dormita! Oddio, dormita è una parola grossa, visto che erano quasi le quattro del mattino e che verso le 7.00/8.00 Blancket sarebbe arrivato a svegliarmi, ma comunque avrei avuto finalmente la possibilità di riposarmi quasi seriamente per una volta.

    ***



    Avevo sognato, sì, ora che ci pensavo non succedeva da molto, probabilmente perché non mi ero mai addormentata veramente in quelle due ultime settimane, ma quella notte avevo sognato. Anche se era solo un vago ricordo di immagini dei miei genitori e dei miei amici, mi sembrava qualcosa di meraviglioso e ripensando a quelle immagini mi venne subito il buon umore.
    Scesi in cucina e tra me e me mi domandai subito che fine avesse fatto Blanket, erano le nove del mattino e ancora non mi aveva svegliata; ma arrivata in sala lo vidi sul tappeto a giocare con le macchinine con un cenno di broncio sul viso.
    -Ehi Blanket!-
    -Ciao...-
    -Ohi, come siamo permalosi stamattina...come mai non mi hai svegliata?-
    -No, io ho cercato di svegliarti, ma non rispondevi...-
    Mi scappò una sonora risata che mi fece guadagnare uno sguardo stupito e un po’ offeso del bambino.
    -Scusami Blancket, mi potrai perdonare?-
    -OK...-
    -Dai, vieni qui, dammi un bacio e poi giochiamo a quello che vuoi tu!-
    Il bambino mi corse incontro soddisfatto della mia proposta e io mantenni la mia parola. Poverino, mi dispiaceva di non essermi svegliata e indirettamente di averlo obbligato a giocare da solo, ma la stanchezza accumulata si era ripresa ciò che io gli avevo negato ormai da troppo tempo.
    Blanket si stava inventando di tutto pur di coinvolgermi nei suoi giochi e io passai la mia più strana, insolita, confusionata, ma divertente mezzora della mia vita; finché non vidi Michael sulla soglia della porta che stava guardando divertito la scenetta.
    -Buongiorno Michael! Pensavo fossi già a provare...non dirmi che sei riuscito a dormire?!-
    Speravo con tutto il cuore che lo avesse fatto veramente.
    -Buongiorno anche a voi, comunque...dormire..non esageriamo...- sorrise da solo della sua ironia e poi continuò -..Beh, dai mezzoretta prima e mezzoretta poco fa sono riuscito ad addormentarmi, ma il riposo mi ha fatto bene comunque. Invece vedo che tu ci sei riuscita! Si vede sai?! Stai meglio, sei....più bella.-
    In quel momento le mie guance si fecero più rosee del solito e lui mi volse un sorriso malizioso.
    -Non mi dire che arrossisci dopo questo?!-
    Gli angoli della bocca ormai gli raggiungevano quasi le orecchie e mi vene incontro per abbracciarmi.
    -Certo che se poi dici così Michael...-
    -Quando è che ti abituerai ai complimenti?-
    -Credo mai...-
    Gli sorrisi di ritorno e dopo averci salutato se ne andò verso il suo lavoro.

    Michael aveva realmente “ricominciato”; la sera prima mi aveva detto che si ripartiva quasi da zero e lo aveva fatto. Era cambiato, in una sola notte; a volte era davvero difficile stargli dietro. Però in fondo mi piaceva quel cambiamento, era più sereno e più tranquillo, dava l’impressione di una persona che stesse vivendo i suoi problemi più serenamente e con maggior voglia di superarli.
    Non dico che diventò tutto più facile e di poco conto, ma sicuramente un atteggiamento simile era più utile per entrambi; sia per me che potevo restare più tranquilla, sia per lui che poteva rilassarsi un attimo di più.
    Il giorno passò più tranquillo degli ultimi; sia il sonno un po’ recuperato, sia la nuova situazione che mi aveva messo decisamente di buon umore, avevano contributo a rendere quella giornata migliore
    Michael la sera fece un po’ più tardi del solito e mentre lo stavo aspettando distratta dalla TV arrivò con passo felino alle mie spalle e stette in silenzio finché non notai la sua ombra lunga proiettarsi di fianco al divano.
    Non ne ho mai capito bene il perché, ma a lui piaceva un sacco avvicinarsi furtivamente e starti a guardare nei tuoi gesti più consueti e, in un certo senso dolci, del tuo quotidiano. Forse amava semplicemente contemplare quanto la persona alla quale voleva bene fosse dolce e interessante.
    -Ciao! Tutto bene Michael?-
    -Sì...- non lo dessi con convinzione, ma si venne a sedere accanto a me iniziò a fissarmi insistentemente.
    -Che c’è? Non va qualche cosa? Lo sai che puoi dirmelo...sono andate male le prove?-
    -No...no...le prove sono andate anche bene...per lo meno meglio delle altre volte. Però stavo pensando alla possibilità di rimandare di qualche data l’inizio del “This is it”. Non so...-
    -Beh, Michael, devi fare quello che ti senti. Nessuno può dirti cosa è meglio per te se non tu stesso. Deve essere una tua scelta e non devi dispiacerti per questo.-
    -Ci ho pensato...però ho anche parlato con il mio staff e giustamente mi ha fatto notare che sarebbe un bel problema; l’arena resterebbe vuota e i soldi li vogliono lo stesso e poi le persone che avevano i biglietti per quelle date cancellate bisogna rimborsarle o darle la passibilità di venire ad un altro spettacolo...per non parlare poi della delusione che provocherei ai fan e gli articoli che comparirebbero sui giornali.-
    -Delusione o non delusione, se tu non sei in forma al 98%, non dico il 100%, è meglio che rimandi e li fai quando sai di essere completamente a posto.-
    -Tu la fai facile...ma non è così semplice.-
    -E cosa vuoi fare? Che alternative hai? Vuoi per caso ricominciare quello che hai faticosamente abbandonato?-
    -No! Certo che no! Che domande...-
    -Beh Michael, alla tu affermazione che dovevo pensare?-
    -Forse mi sarò fatto poco intendere, però non era certo quella la mia intenzione!-
    Lo guardai sbieco per poi trasformare lo sguardo in comprensione. Certo, la fiducia è una cosa precaria, è difficile da guadagnare e tanto facile da perdere, ma in fondo di Michael mi ero sempre fidata, solamente che a volte mi sembrava ancora un po’ quel bambino che non aveva potuto provare sulla sua pelle tutte quelle esperienze che ti trasformano da ragazzo in uomo; o per lo meno lui ne aveva avuto di diverse e io non sapevo bene decifrarle perché troppo distanti dal mio mondo.
    -Io comunque sono ancora dell’idea che se non te la senti non devi farlo per forza...-
    -Facciamo un compromesso; tanto se accade è un casotto sia prima che dopo, vediamo a luglio: se il primo luglio sono ancora in questa identica situazione rimando le date, se invece miglioro le tengo!-
    Mi sembrava una proposta ragionevole e gli diedi ancora una volta il mio appoggio.

    Restammo alzati ancora a lungo e io ricominciai a parlare, forse anche troppo. Quando mi ci mettevo potevo diventare veramente logorroica, ma Michael mi ascoltava con interesse e forse anche lui era contento nel vedere che avevo ripreso il mio sport preferito: chiacchierare.
    Per una volta mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo, quando lui era ancora entusiasta della sua nuova idea e io cercavo continuamente il suo appoggio e probabilmente anche la sua approvazione.
    Le sere seguenti passarono sempre più o meno nello stesso modo: chiacchiere, stavamo alzati a parlare e cercavamo in un modo o nell’altro di addormentarci. Spesso capitava, però, che mi addormentassi sul divano o nel letto con Michael in uno dei nostri tanti discorsi; poi quando mi svegliavo continuavo il sonno nella mia stanza.
    Michael ormai ci aveva fatto l’abitudine e anche lui prendeva l’occasione al balzo per riposare un poco; certo, di una notte di sonno non se ne poteva ancora parlare, però ogni notte riposava un po’ di più e questo lo si poteva piacevolmente notare il giorno successivo. Insomma, le cose si stavano mettevano meglio, molto meglio.


    Capitolo 8
    SPOILER (click to view)
    Capitolo 8
    I giorni passarono e non cambiò molto dall’ultima volta, almeno non fino al 24 giugno 2009.
    Non potrò mai scordare quel giorno, o meglio quella sera; quella sera fui io a non addormentarmi per la troppa emozione, per l’agitazione...o non so che altro.
    Quella sera tornò a casa più tardi delle altre volte; il viso era visibilmente stanco, gli occhi socchiusi marcavano maggiormente le occhiaie che gli solcavano il volto e la camminata era trascinata, lenta e traballante più di quando io abbia mai potuto immaginare.
    Ero in cucina che riempivo un bicchiere d’acqua fresca, quando dietro le mie spalle sentii una presenza; Michael si stava avvicinando piano e silenziosamente.
    -Michael stai bene? Non hai una bella cera...anzi...-
    -Sono esausto...come faccio a continuare così? Me lo spieghi? Non ce la faccio più!-
    -Eih calmati, siediti...- presi un altro bicchiere e riempii anche quello d’acqua e glielo porsi facendolo scivolare dolcemente sul ripiano della cucina. Lo prese tra le mani tremanti per la stanchezza e rimase immobile per qualche secondo.
    -Bevi...-
    Quasi succube di quel mio comando si portò il bicchiere alle labbra e iniziò a deglutire lentamente.
    Rimasi in piedi, incapace di fare un qualsiasi movimento, stavo guardando quando un uomo possa essere distrutto, quando si possa essere oppressi da un mondo che non vuole capire...che non prova nemmeno a guardare, che non fa lo sforzo di fermasi un istante e riflettere.
    -Michael, va meglio?- chiesi nell’assurda speranza che quel bicchiere d’acqua lo avesse fatto “rinascere” improvvisamente.
    -No non va meglio...non va bene niente...io sono stanco e non so più che fare...Marta...-
    Cosa avrei potuto dire? Cosa avrei potuto fare per farlo stare meglio?
    Continuavo a chiedermelo, ma non trovavo una risposta. Cosa avrei potuto consigliarli? Avevo fatto tutto ciò che ero in grado, avevo dato tutto ciò che possedevo e ora incominciavo ad avere paura perché sapevo di non avere più alcun potere, ero inutile.
    Devo confessare che mi sfiorò l’idea di riproporgli i medicinali e, al diavolo tutto! Se era ciò che lo facevano stare bene...se erano l’unica cosa che davvero non lo faceva soffrire, perché tenerli tanto lontani?! Ma non glielo dissi, trattenni il fiato, sentii le gambe tremarmi appena e lo guardai ancora, immobile, cercando di dare un ordine ai pensieri che si affollavano nella mia mente, cercando forse una spiegazione; perché è così che ci si sente quando si realizza che ti sei illusa, che hai visto le cose molto più facili di come erano in realtà. In quel momento conclusi che forse in tutte quelle settimane non si era fatto altro che perder tempo, che in realtà non avevo risolto niente, che io non era stata per niente di aiuto, o per lo meno che non ero stata in grado di dargli ciò di cui lui aveva bisogno.
    Si stava reggendo la testa con la fronte appoggiata ai palmi delle mani, le dita affondavano in quei capelli neri, lunghi e ricci, gli occhi erano chiusi in una preghiera nella quale chiedeva per una volta il sonno completo, quello con i sogni, quello che quando ti svegli alla mattina ti manca e vorresti soltanto riaddormentarti per restare di più nel tuo comodo letto che ormai ha preso il tuo profumo, il tuo calore. Quel sonno che da poco mi ero concessa e per il quale in quel momento mi sentivo tanto in colpa; sì, mi sentivo in colpa perché io riuscivo ad addormentarmi, quando lui lottava contro le lunghe notti di insonnia e di solitudine mentre io ero nel mio letto a sognare e rare volte accanto a lui a rimarcare la sua incapacità di prendere sonno. Perché quando vedi una persona che ami soffrire vorresti prendere il suo male e trasportarlo su di te, o almeno una parte, per potergli alleviare il suo fardello; ma purtroppo o grazie a Dio, non so ancora, non si può e non resta che attendere nella speranza che il tempo riesca ancora una volta a guarire quelle ferite che non vogliono andarsene.
    Così rimasi ferma, in piedi davanti lui finché lo straziante silenzio non fu rotto dalla voce acuta di Blanket.
    -Marta ma che fine hai fatto? Devi finire la storia!-
    Mi voltai di scatto e vidi il ragazzino tutto agitato e impaziente
    -Ciao papà!-
    Blancket gli corse incontro e Michael si girò; ma questa volta nonostante gli sforzi non riuscì proprio ad indossare la maschera del bravo padre, sulla quale non erano visibili segni di stanchezza o debolezza, quella che indossava puntualmente tutte le sere davanti ai suoi bambini.
    -Papà?-
    -Ciao amore...sono un po’ stanco...ma vieni qui dai.-
    Mike prese la testa del bambino tra le mani e gli baciò dolcemente la fronte, al che Blancket si volto di nuovo verso di me e mi chiese ancora di tornare in camera per finire di leggere la favola.
    -Ok, ok, adesso arrivo! Anzi bevi ora l’acqua e poi ritorniamo su...Michael vieni anche tu con noi?-
    -Sì, certo!- sorrise in direzione del bambino, perché in fondo non riusciva proprio a mettere in secondo piano i propri figli; però alzandosi bisbigliò: -Tanto che ho di meglio da fare o da perdere?-

    Quando arrivammo in camera del piccolo, Blancket si infilò immediatamente sotto le lenzuola e io mi accomodai sulla sedia che mi ero presa prima per leggere la favola.
    -Come mai stasera leggi le favole?-
    Michael era dietro di me e sorrise al pensiero che io raccontassi le storie al suo bambino.
    -E sì...oggi Blanket mi ha chiesto di leggergli la carica dei 101 e così...-
    Mike sorrise di nuovo e si distese accanto al piccolo; era un letto singolo ma ci stavano comodi, anche perché Michael non occupava tanto spazio. Era magro, certo, non come dicevano i tabloid nei quali veniva scritto che non riusciva a reggersi in piedi, però devo ammettere che era dimagrito, forse per lo stress.
    Michael appoggiò la testa sul cuscino e abbracciò il figlio da dietro, accarezzando il braccio del bambino. Stetti a guardare incantata quel quadretto che per la sua dolcezza mi aveva catturata; ma devo ammettere che la testa era ancora indaffarata dai pensieri che mi avevano scaturito le immagini di Michael nella cucina.
    -Allora che fai? Non vai avanti?-
    Mike mi svegliò dall’incanto e presi subito il libro della Walt Disney che mi dava la possibilità di finirlo in una sera.
    -Sì! Sì...certo...-
    Aprii il libro con la copertina rigida di cartone esattamente nella metà e ricominciai a leggere.
    Ma nemmeno la lettura mi permise di distrarmi dai miei pensieri, continuavo a guardare di sottecchi Michael che era sempre sveglio, con gli occhi che fissavano prima Blancket e poi me, osservando la reazione del suo bambino alle mie parole. Dopo qualche istante però notai che il piccolo non era pienamente soddisfatto della storia.
    -Perché non la racconti come prima?-
    Se ne era accorto anche lui, stavo leggendo malissimo! Senza un tono, con le pause sbagliate...insomma, sembrava più che stessi recitando il rosario che una storia per bambini.
    -Oh...si scusa...-
    Questa volta mi ripresi veramente e incominciai a leggere con più enfasi, ora la favola aveva più significato e Blancket, soddisfatto, si sistemò meglio nel cuscino e stirò un bel sorriso.
    Michael intanto stette in silenzio anch’egli intento nell’ascolto e piano ritrasse il braccio che cingeva suo figlio per mettere la mano sotto la sua testa; anche lui si stava mettendo più comodo.
    Continuai nella mia lettura finché non scorsi il piccolo Blancket che lottava con tutte le sue forze per stare sveglio.
    -Dai...ora dormi che sei stanco...-
    -No...no...per favore continua!-
    Gli sorrisi e non riuscii a dir di no alla sua richiesta; ma proprio nel mentre che i cani riescono a fuggire e stano per tornare a casa il bambino crollò nel mondo dei sogni, me ne accorsi subito e stessi ad osservarlo con dolcezza, con apprensione. Nello stesso momento però notai un particolare in Michael, gli si stavano chiudendo anche a lui gli occhi, sorpresa e alla stesso tempo euforica decisi di continuare la lettura e anche lui alla fine dovette cedere al suono cullante delle mie parole, che soavi raccontavano la storia a lieto fine di cuccioli che fuggivano dal malvagio; un’altra volta il bene trionfava sul male.

    Ebbene sì, Michael si era addormentato e io ne ero talmente felice che per un istante dubitai sul da farsi, come se fossi spaesata. Sì, perché dopo quello che avevo pesato in cucina la possibilità che lui si riprendesse mi sembrava talmente rara come trovare un ago nel pagliaio; invece ecco che dormiva, accanto al suo bambino. Mio Dio, quanto gli somigliava, stesso taglio degli occhi, stessi capelli, stesse espressioni anche nel sonno.
    Rimasi qualche istante a contemplare la scena, come fa un pittore di fronte al suo dipinto del quale ne è orgoglioso, per poi andarmene piano nella mia stanza e provare invano di addormentami a mia volta.

    ***



    Mi ero appena addormentata, o almeno così mi sembrava, quando verso le sei del mattino mi svegliai e decisi di andare a “controllare” come stesse andando nella stanza di Blancket.
    Li ritrovai esattamente come li avevo lasciati, entrambi addormentati; presa da un istinto protettrice presi il piccolo in braccio e mentre gli stavo mettendo le sue braccia intorno al collo si svegliò appena.
    -È ora di alzarsi?- disse biascicando le ultime sillabe.
    -No...no...però ti va di venire a dormire con me? Eh? Che ne dici?-
    Il piccolo non rispose, ma strinse le sue braccia intorno al mio collo e si aiutò nell’alzarlo dal letto.
    Preso Blancket in braccio mi diressi verso la porta della camera e nel chiuderla all’uscita rimasi ancora un momento a guardare quanto fosse bello Michael mentre dormiva; prima non ci avevo mai fatto caso, sì, avevo sempre pensato che fosse un bell’uomo appetibile per le donne, ma mai mi ero soffermata ad osservare quanto fosse piacevole guardarlo nella sua naturalezza.
    Ancora assuefatta da quella gioia che mi pervase quando notai che infondo ero stata utile, distesi il bambino sul letto e mi sdraiai accanto a lui per poi riaddormentarmi.

    -Marta? Marta sei sveglia?-
    -Ehm...sì...-
    Erano le nove e mezza e probabilmente anche fin troppo tardi per Blancket; ci alzammo entrambi e lo aiutai a prepararsi, poi uscimmo dalla stanza diretti in cucina per la colazione.
    -Scusate avete visto Michael? Sono già le dieci e in camera non c’è e nessuno lo ha visto...-
    Alcuni del personale erano preoccupati nel non vederlo scorrazzare per la casa e probabilmente per il trambusto che facevano, Paris e Prince uscirono dalle loro stanze con aria preoccupata.
    -Michael è in camera di Blancket che dorme...vado a chiamarlo-
    Alla parole “dorme” le facce si fecero un po’ stupite, ma non ci feci caso e mi diressi da Mike.
    -Michael...Michael, sveglia! È ora di alzarsi!- bisbigliai piano
    Mike aprì appena gli occhi e ancora rintronato dal sonno si mise seduto.
    -Ehi hai visto? Sei riuscito a dormire!-
    -Sì....sì! ho dormito e non mi sembra vero.-
    Mi abbracciò stringendomi tanto da affaticarmi nel respiro, poi staccandosi aggiunse:
    -Per me è stata la storia di ieri sera!-
    -Ehi! Sono così noiosa?-
    Una risata riempì la stanza, la sua risata, quella pura e sincera che proveniva dritta dal cuore; quella risata che mi mancava tremendamente.
    -No! Ma dai...sai che non intendevo questo! Però devo dire che hai davvero una voce dolce e rilassante...quando non ti metti a parlare a vanvera!- sorrise ancora.
    -Certo! Adesso mi dai pure della logorroica! Ma bravo!-
    Rise ancora di gusto –Ma no dai..sai cosa intendo-
    Certo che lo sapevo, ma mi piaceva tremendamente scherzare con lui e poi sembrava accettare di buon grado qualche risata, quindi resistetti ancora un po’ per poi cedere all’evidenza.
    -Certo che lo so!- Gli sorrisi ancora e lui ricambiò.
    Quella era la conferma: il Michael che conoscevo era tornato. In quella mattina del 25 giugno 2009 Michael Jackson era tornato quella bellissima persona che ero abituata a vedere.

    La giornata passò tranquilla, io mi godetti alla grande la compagnia dei ragazzi che piano, piano imparavo sempre più a conoscere meglio. Avevo capito che Paris è molto gentile e disponibile, ma all’occorrenza sapeva farsi valere; Prince invece dietro quell’aria da furbetto nascondeva un animo magnanimo e generoso, alcune volte potrebbe sembrare anche debole perché se non ne vale realmente la pena subisce tutto ciò che gli impongono gli altri; e Blancket...beh Blancket era semplicemente Blancket, molto timido ed estremamente simile a Michael è impossibile descriverlo.
    Quindi il tempo passava volentieri in loro compagnia e presto arrivò sera e con essa anche il ritorno a casa di Michael.
    Lo stavamo aspettando sul divano e lui arrivò come al solito silenziosamente e ci prese di sorpresa facendomi saltare letteralmente in piedi dallo spavento.
    -BUONA SERA!-
    -Michael ma sei matto? Mi farai venire un infarto!-
    Rise sommessamente -Mi sono vendicato! Ricordi no il tuo arrivo di mesi fa?-
    Incredibile! Si era ricordato di quando lo andai a trovare per le vacanze di carnevale e aveva deciso che doveva vendicarsi.
    Salutò i suoi bambini per poi sedersi con noi sul divano.
    -Beh, ti vedo bene stasera? Come è andata?-
    -Bene, bene. Siamo riusciti a provare tutto lo spettacolo per intero ed è un buon traguardo. Ho ancora qualche dolore ma in generale non va male. Certo per lo spettacolo c’è ancora tanto da lavorare...non siamo al 100% però...-
    -Sì, immagino...se fosse per te non smetteresti mai di lavorare...-
    Gli sorrisi e lui fece lo stesso; ora nella casa si respirava davvero un altro clima.
    -Ehi ragazzi che ne dite di andare a letto?-
    -Papà ancora 5 minuti...-
    -Ok, però che siano 5...-
    Michael cedette alla richiesta dei bambini, ma rimase impassibile sulla promessa fata dai ragazzi e dopo 5 minuti esatti li spedì a letto. Dette la buona notte a tutti e infine si fermò sulla porta della stanza di Blancket.
    -Piccolo, ti va se Marta ti legge un’altra favola?-
    Lo guardai stranita ma lui non mi notò.
    -Sì! Stasera che storia mi vuoi leggere?-
    Blancket si rivolse a me ed io ancora un po’ incerta mi abbassai per mettermi alla sua altezza e aggiunsi:
    -Guarda, a me piace tanto la bella e la bestia...che ne dici?-
    -Va bene.-
    -Allora che ne dici se ci sistemiamo in camera mia intanto che Marta va a prendere il libro?-
    Sempre più stranita andai nella stanza dei giochi dei ragazzi e scelsi il libro dalla ricca collezione di favole della Disney.
    Nel ritorno stavo sfogliando il libro, quando mi trovai piazzato davanti alla porta della camera Michael che mi aspettava.
    -Michael?-
    -Si...scusa se non ti ho chiesto niente...-
    -Non ti devi scusare...-
    -Sì...scusa...ma visto che ieri sono riuscito a prendere sonno ho pensato che se fosse stato come l’altra sera avrei dormito anche oggi...-
    -Quindi la favola non è per Blancket, ma per te.-
    Un sorriso dolce, ma allo stesso tempo un po’ divertito dalla situazione mi si disegnò in viso, mentre Michael per l’ennesima volta abbassava lo sguardo verso i suoi piedi.
    -Dai Michael, entriamo? Blancket sarà impaziente!-
    Mi sorrise con uno dei suoi sorrisi più dolci che mi fece sciogliere e poi mi seguì chiudendosi la porta alle spalle.
    Michael si sistemò accanto a Blancket nel letto, mentre io prendevo una sedia per metterla accanto al giaciglio.
    -C’era una volta [...]-

    Cominciai con la favola e in poco tempo Blancket ci abbandonò per raggiungere il mondo dei sogni e Michael si addormentò quasi a fine storia.
    Mentre Michael dormiva portai Blancket nella sua stanza, per poi ritirarmi nella mia e abbandonarmi su quel comodo materasso che ormai era diventato mio.
    Orami potevo dire di sentire che quella casa in parte mi apparteneva e che io appartenevo un po’ ad essa, o meglio, appartenevo alla famiglia che la abitava.


    Capitolo 9
    SPOILER (click to view)
    Capitolo 9

    -Ragazzi allora tutti pronti? Avete finito di preparare i bagagli? Possiamo partire?-
    Ebbene sì, era il primo luglio e si stava partendo alla volta del vecchio continente; per me significava fare un salto a casa visto che era una mese che non vedevo i miei, e per la famiglia Jackson voleva dire alloggiare in uno degli alberghi più belli di Londra.

    Gli ultimi cinque giorni di giugno erano passati alla grande e Michael, non senza fatica però, era riuscito a provare più volte per intero il suo spettacolo e la sera riusciva a prendere sonno mentre leggevo una favola a Blancket.
    Inoltre in quegli ultimi giorni Michael aveva pensato a tutto per il mio soggiorno a Londra, infatti aveva deciso che al più presto avrei dovuto raggiungerlo e poi una volta arrivata l’ora del primo spettacolo avrebbe pensato anche a sistemare i miei genitori. Aveva detto che eravamo tutti e tre suoi apprezzati ospiti.
    -Allora adesso torni un po’ a casa dai tuoi genitori, poi se puoi mi raggiungi a Londra la seconda settimana di luglio?-
    -Certo Michael! Quando arrivo a casa mi informo subito per il biglietto e il prima possibile vi raggiungo!-
    -Ok, bene, sono contento! Comunque tu non ti preoccupare mi occupo io di tutto e ovviamente cerchiamo di fare tutto nel massimo del riservo.
    -Ok, perfetto!-

    Così partimmo su due aerei diversi e quando arrivai a casa dovetti non poche spiegazioni ai miei che avevano mille domande; anche se comunque li avevo aggiornati giorno per giorno.
    -Ma...in generale è andata bene! Però vi devo chiedere un’altra cosa...va bene se settimana prossima vado a Londra da Michael?-
    -Ma sei appena tornata!-
    Forse i miei non l’avevano presa proprio bene quella notizia, era da molto che non li vedevo e di starmi lontano ancora per altre settimane non ne avevano proprio voglia.
    -È stato lui a chiedermelo e non ho saputo dirgli di no...però bisogna informarsi per i biglietti...-
    -Ok, sono sempre esperienze dai...infondo Londra dovrà essere bella!-
    Ecco che proprio quando ero sicura di una mia convinzione, mia madre mi stupisce con una frase estremamente comprensiva e “liberale”.
    -Grazie! Grazie ancora! Comunque ha detto che penserà a tutto lui per voi...quando arriverete per la prima!-
    -Mi ruba la figlia! Almeno quello!-
    Alle parole di mio padre la mia mamma si fece una gran risata e io la seguii a ruota.

    Il mercoledì ero di nuovo su un aereo, un aereo diretto a Londra; ormai mi ero abituata a viaggiare in volo e avevo imparato ad apprezzare il tempo che il velivolo poteva donarti come relax.
    Arrivai a nella capitale Bretone nel primo pomeriggio dove incontrai Jim.
    -Ehi! Era un po’ che non ci si vedeva!-
    -Eh! si...-
    -Allora Jim come va?-
    -Non mi lamento dai...Comunque non so se Michael ti ha avvisata, ma non potremo fare rientro in albergo prima della mezzanotte...non vuole che ti vedano...probabilmente dopo starebbe dietro anche a te e non avresti più pace.-
    -Non mi aveva detto l’ora però sapevo che non potevo entrare e uscire come volevo. Poi lo capisco...anche sotto questo aspetto iperprotettivo. E poi dai, così abbiamo una giornata per le chiacchiere!-
    -E questa è una buona notizia?-
    -Dai lo so che in fondo ti piace ascoltare i miei racconti!-

    Così la giornata passò in un bar del centro, protetti da quello strano clima umido di Londra che di certo non mi aggradava molto.
    Con la sera arrivò anche un pochino di frescura al quanto apprezzata e dopo una cena in un favoloso ristorante del posto, ovviamente offerta da Michael, venne l’ora di recarsi in albergo.

    -Allora, cosa ti aspetti da tutto questo?-
    La macchina si muoveva silenziosa per le ampie vie di Londra ed ora era Jim a parlare; era difficile spiazzarmi perché avevo sempre la risposta pronta, ma con quella domanda mi colse in fallo.
    -Cosa mi aspetto? Beh...proprio niente...non fraintendere, ma tutto ciò che accadrà penso che sarà fantastico...non mi aspetto niente..-
    -Strana risposta...soprattutto detta da te! Di solito sei quella che ha mille aspettative, mille ipotesi di situazioni che possono accadere...-
    Era vero, ma probabilmente tutta la situazione appena vissuta mi aveva cambiata, mi aveva fatto guardare il mondo, le persone in maniera diversa...non so di preciso cosa accadde; so solo che non era esattamente la persona di prima.

    Arrivati davanti all’albergo, la portiera den suv nero si spalancò davanti ad una facciata indescrivibilmente bella, curata in ogni minimo particolare e imponente a tal punto da farti sentire una formica minuscola di fronte all’immensità che per essa può rappresentare il fiore più bello di tutto il prato.
    -Eccoci arrivati...questo è il “modesto” hotel che Michael ha riservato per sé ed il suo staff-
    -Beh...niente male! Che ne dici Jim? Ti dispiace vero alloggiare qui?-
    -Devo confessarlo: il lusso mi fa veramente schifo!-
    La mia risata lo contagiò ed entrambi ci piegammo in due dallo sforzo; era stata una lunga giornata, ma la voglia di scherzare non passò a nessuno dei due.

    “Toc-Toc”. Bussai alla porta dell’attico che Michael si era riservato e venne ad aprire Nick, la sua fidata guardia del corpo.
    -Entra pure! Qui ti stavano aspettando con ansia!-
    Entrai nel salotto che precedeva la stanza principale, dalla quale poi si raggiungevano le altre quattro stanze, di cui tre erano occupate dai ragazzi.
    -Ehi, che bello vederti qui!-
    Michael mi venne incontro e mi abbracciò con forza.
    -È bello anche per me! E poi questo posto...Londra...non ci ero mai stata ed è bellissima!-
    -Beh mi fa piacere che ti sia trovata subito bene!-
    Le chiacchiere continuarono a lungo; non che avessimo molto da raccontarci perché ci eravamo lasciati da pochi giorni, ma Michael mi parlò parecchio dello spettacolo e di come si preoccupava in continuazione per lo show.
    -Michael...-
    -No, perché forse avrei dovuto provare di più. Forse...-
    -Michael...per favore, smettila! Non ce la faccio più a sentire queste cose! Ho visto alcune prove e dire che è fantastico è dir poco, quindi per favore smettila, perché andrà tutto bene!-
    Mi guardò con aria dolce e un po’ sollevata e poi mi abbracciò per l’ennesima volta.
    -Lo spero..-
    -No! Devi dire “Lo so!”-
    Rise. –Ok, ok, se ci tieni lo dirò: lo so!-
    -Oh! Finalmente! Allora adesso posso andare a dormire, che tu avrai di bisogno di riposo e io mi devo riprendere per affrontare una giornata di “gita” domani a Londra!-
    -Va bene, allora buona notte e sogni d’oro! Questa è la chiave della tua camera, è al piano di sotto al nostro quindi se hai problemi non farti riguardo e raggiungici.
    -Ok, grazie! Buona notte anche a te e dai un bacio da parte mia ai ragazzi!-
    Sorrise e poi si richiuse la porta davanti a se mentre io raggiungevo le scale per dirigermi al piano inferiore.

    Le giornate passarono veloci tra le visite nella città e le chiacchiere con Jim; avevo “sequestrato” l’autista a Michael praticamente, ma a lui non dispiacque. Ogni giorno raccontavo a Mike le cose belle che avevo visto e lui diceva di rivivere le sue emozioni di quando vedeva per la prima volta le grandi città del mondo.
    -Sai, mi sembra proprio ieri che anche io andavo in giro per le città a scoprire le meraviglie che non avevo mai potuto vedere. Mi fai tornare in dietro nel tempo.-
    Un sorriso gli appariva sempre in viso, allora continuavo i miei racconti e Michael si rilassava sul divano della suite; ogni tanto i ragazzi uscivano con me e Jim, allora anche loro tornavano in hotel carichi di racconti e Michael li ascoltava paziente, sono convinta che avrebbe potuto ascoltarli all’infinito senza mai stancarsi. Amava i suoi figli più di quanto possiate mai immaginare

    Così il 13 luglio si faceva sempre più vicino e anche l’ansia per Michael si faceva sentire pesantemente, ma con il sostegno dei suoi figli riusciva a distrarsi e pensare che tutto sarebbe andato per il meglio.
    Il 12 arrivarono i miei genitori, gli feci fare un giro in città a Londra e poi gli accompagnai nella loro camera che si trovava adiacente alla mia; proprio in quel momento Michael fece capolino dalla porta per salutare.
    -Allora è andato tutto bene il viaggio?-
    -Ciao Michael!- mia madre lo salutò calorosamente. –Sì, sì, il viaggio è andato bene! Anche se avrei preferito quasi venire a piedi...odio volare...ma per il resto tutto ok!-
    -Bene, sono contento. E la camera vi piace? Spero che vi troviate bene anche qui...-
    -Non ti preoccupare, noi ci adattiamo a tutto! Specialmente se il “tutto” è così!-
    Mio padre si girò ancora a guardare l’accuratezza con la quale era stata preparata quella camera e si convinse sempre più che era davvero bellissima.
    -Comunque domani è il gran giorno eh?!-
    -Eh si...speriamo...-
    Mio padre e Michael chiacchieravano mentre io aiutavo la mia mamma a disfare i bagagli; dopodiché uscii dalla stanza insieme a Mike.
    -Michael allora tutto bene?-
    -Sì...certo, un po’ di agitazione, ma quella è normale.-
    -Mi raccomando tranquillizzati che tutto andrà bene vedrai.-
    -Ok, cercherò di farlo.-
    Mi diede il bacio della buona notte e poi si diresse nella sua stanza dove lo aspettavano i suoi figli.

    “Toc-toc”, erano le 7.30 della mattina e qualcuno bussava alla mia porta, credevo fossero i miei genitori, ma quando andai ad aprire mi accorsi che era Michael.
    Il personale dell’albergo era già in servizio e vedevo le cameriere girare frettolose dietro la figura sottile di un Michael in pigiama.
    -Michael tutto bene?-
    -Sì, tutto ok...beh avrei preferito dormire qualche oretta in più, ma in fondo non si può avere tutto dalla vita.-
    Accennò un piccolo sorriso; è vero, probabilmente l’insonnia gli dava ancora fastidio, ma ero sicura che con un po’ di aiuto sarebbe riuscito a portare avanti i concerti serenamente.
    -Posso entrare?-
    -Sì, scusa...certo.-
    Aprii la porta permettendogli così di varcare l’ingresso, si sedette sul mio letto ed incominciò a parlare:
    -Volevo ringraziarti per tutto quello che hai fatto,-
    -Non devi ringraziarmi, io...-
    -no, lasciami finire, invece ti ringrazio perché per me è significato molto la tua presenza in quest’ultimo periodo e non so se sarebbe andata così se non ci fossi stata tu. Quindi DEVO ringraziarti e anche scusarmi se a volte sono stato schivo o un po’ freddo, non era mia intenzione. E infine volevo scusarmi in anticipo se dopo questo giorno non sarò sempre disponibile per i mille impegni a cui mi sottoporranno.- Sorrise appena.
    -Oh Michael...-
    Lo abbraccia forte e gli spiegai che per era stato un piacere potergli stare vicino e che lo avrei rifatto altre mille volte se ce ne fosse stato di bisgono.
    -E così questo è il gran giorno, è il gran momento.-
    -Sì, non ricordo neanche il tempo di quando andavo sul palco.-
    -Ma dai, smettila! So che appena salirai sul palcoscenico dimenticherai tutto questo e ritornerai indietro nel tempo di almeno di vent’anni!-
    -Lo spero davvero! Comunque ora devo andare, gli impegni si fanno già sentire di primo mattino!-
    Ci salutammo e mi lasciò con i miei pensieri che vennero interrotti dall’arrivo dei miei genitori che entrarono in camera con un ricco itinerario del giorno al quale proprio non potevo sottrarmi.

    La giornata passò in un lampo e alle 18.00 arrivò l’invito di Michael a raggiungerlo a cena.
    Tutti e tre ci dirigemmo all’appuntamento dove trovammo Mike e i ragazzi.
    -Scusate, so che è un po’ presto per cenare, ma volevo assicurarmi di aver digerito tutto prima di andare in scena!-
    Michael sorrise.
    -Non ti preoccupare, per noi è lo stesso.-
    La serata passo veloce e ci lasciammo per andarci a preparare per il grande evento.
    -Ciao Michael, allora ci vediamo dopo!-
    -Certo! A dopo!-
    Salutai anche i ragazzi che ultimamente, purtroppo, non riuscivo a vedere molto.

    E così arrivo anche la sera del 13 luglio 2009, pensavo che i preparativi fossero meno impegnativi, invece tra vestiti e trucco avevo perso più tempo di quanto ne avevo messo in conto; ma alla fine riuscii a presentarmi dietro le quinte in tempo.
    Per la prima volta vidi il palco montati per intero, definirlo “enorme” probabilmente non rende l’idea di ciò che era veramente; le persone esagitate correvano da una parte all’altra del retroscena e Michael si faceva in quattro per riuscire ad ascoltare tutti, ma dieci minuti prima dell’inizio si ritirò nel suo camerino.

    -Michael vi aspetta da lui.-
    Io ed i miei genitori lo raggiungemmo dove aveva ritagliato del tempo per isolarsi con le persone che più amava: i suoi figli.
    -Michael ci volevi?-
    -Sì...volevo ringraziarvi della vostra presenza.-
    -Invece siamo noi a doverti ringraziare perché tu ci abbia portato qui...Ma ora basta chiacchiere, ora non c’è altro da dire che “in bocca al lupo”!-
    Michael sorrise e dopo aver abbracciato i miei genitori arrivò da me per darmi un caloroso bacio.
    -Marta, stai tu con i ragazzi? C’è anche la baby-sitter, ma avrei piacere che tu rimanessi con loro.-
    -Certo! Con molto piacere!-
    -Allora dai, ragazzi andate con lei. Noi ci vediamo tra pochi minuti.-
    Presi per mano Blancket, mentre Paris e Prince mi seguivano tranquilli.
    Raggiungemmo il posto a noi riservato, da quella posizione si poteva ammirare esattamente ogni cosa da dietro, una posizione davvero favolosa.
    Michael, come promesso arrivò dopo pochi minuti e ci raggiunse per gli ultimi saluti.
    Non disse niente, non ce ne era bisogno. Il suo sguardo, libero dai vetri degli occhiali che ogni volta coprivano il suo volto, esprimevano tensione, ma anche incredibile speranza e sicurezza.
    Ci guardò insistentemente, soffermandosi su quei bambini che amava alla follia, che avevano dato un senso diverso alla sua vita, che erano la sua priorità; quei bambini che stavano crescendo con lui, grazie a lui, grazie al suo amore; quei bambini che lo facevano sentire speciale e che ogni giorno gli mostravano il loro affetto mostrandogli che era tutto ciò di cui avevano bisogno.
    Michael era un padre, un padre meraviglioso e per lui fu molto importate capire tutto questo, credo sia stato anche ciò a dargli quella forza in più per affrontare i concerti al meglio.
    Io intanto guardavo tutto questo, gli occhi mi si bagnarono e la bocca non poteva non sorridere.
    Michael baciò ad uno ad uno i propri figli; poi, seguendo l’unica luce ancora accesa per permettergli di posizionarsi sul palco, se ne andò.
    Avevo in braccio Blancket che mi stringeva il collo e guardando Michael lessi tra le sue labbra:
    -THIS IS IT!-
    Gli risposi con lo stesso movimento della bocca, poi anche l’ultima luce si spense e le urla dei fan divennero una cosa sola, le voci echeggiavano nello stadio gridando un solo nome: MICHAEL.

    TIHS IS IT!



    THE END




    Epilogo


    Rileggendo questo mio scritto mi sono resa conto che non ho saputo descrivere pienamente ciò che Michael mi ha fatto provare; la felicità, la gioia, l’euforia, m anche la preoccupazione, l’ansia e lo stupore descritti non rendono l’idea dell’intensità con la quale sono stati vissuti. Michael, nel bene o nel male, è in grado di farti emozionare come nessun altro, espande i sentimenti e le sensazioni che esplodono dentro il tuo cuore facendoti capire cosa vuol dire essere felici, preoccupati o stupiti veramente.
    Michael è questo: emozione pura, amore vero, integrità reale. Da lui ho imparato molto, mi ha insegnato tanto. Ma sono riuscita a capire nuove cose anche solo standogli vicino.
    Ho capito che in fondo gli sono stata utile, ho capito che è una persona estremamente fragile, ma se solo si cerca in profondità si può trovare un Michael combattente che ha voglia di riscattarsi; bisogna solamente avere la pazienza di cercare ed aspettare che esca in base ai suoi tempi.
    Ho capito inoltre che probabilmente se fossi stata più grande non mi avrebbe dato la fiducia della quale ho potuto godere in quel periodo; io ero giovane, e lui ha creduto veramente che io facessi tutto questo solo per amore della sua persona; ma se solo fossi stata una donna adulta non avrei avuto la stessa fiducia. Non riusciva a fidarsi quasi più degli adulti, e come si poteva biasimarlo, quasi tutti avevano cercato di approfittarsi di lui, così si era isolato da essi. Io ero una ragazza e per questo avevo potuto godere di quei privilegi.
    Ho capito quanto sia importate per lui la figura dell’infanzia, dell’innocenza e così facendo ho potuto vivere esperienze uniche che spero di avervi raccontato soddisfacentemente.

    Ma vorrei concludere con un saluto particolare al nostro protagonista, al nostro caro personaggio insieme al quale abbiamo vissuto momenti indimenticabili.
    Ciao Michael,
    questo racconto è per te!

    Ringraziamenti

    Inizio con ringraziare tutti color che hanno seguito la mia fan fiction dandomi così la forza e la voglia di proseguire.
    Un ringraziamento particolare va a:
    rossy1994
    Michaeljackson58
    Che hanno sempre seguito la mia storia
    Smilegilrl
    Glauce(Effulgent)
    Che con le loro storie mi hanno fatto venire voglia di scrivere e così esprimere i miei sentimenti più profondi.

    Grazie ancora a tutti!

     
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  12. stefymj
     
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    grazie mille Martaaaaaaaaaaaaa :) Ora leggo tutto e dopo ti scrivo il mio commentooooo :vibrate: :vibrate: :vibrate: :vibrate: :vibrate: :vibrate: :vibrate:
     
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  13. 0marta0
     
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    :) non c'è di che...anzi grazie a te!!!
     
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  14. stefymj
     
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    Martaaaaaaa.. :surprise: :surprise: ...ma questa storia è davvero meravigliosaaaa... :vibrate: :vibrate: ....o mamma mia...hai cambiato il finale. :sbav.gif: ..Mike ha fatto i suoi concerti...solo grazie a te.. .e poi...la fine. ..ti giuro mi sono commossa!! :love: :love:
    Grazie per quest storia fantastica.. :kiss2: :kiss2: :kiss2: .sei stata bravissima!!!!!!!!! :clapping: :clapping: :hug: :hug: :kissing: :kissing:
     
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  15. 0marta0
     
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    grazie mille per i bei comlimenti!!! mi fano molto piacere e sono felicie che ti sia piaciuta!! :)
     
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35 replies since 18/1/2010, 16:40   763 views
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