Just a man

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  1. 0marta0
     
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    Acquistato un pò di coraggio, soprattuto grazie a Effulget :kissing: che mi ha incoraggiata posto anche qui la mia FF che avevo iniziato in un'altro forum.
    è un Fiction, quindi come tale riferimenti a persone, cose e luighi, pur prendendo spunto dalla realtà, sono inventati. L amia storia vuole mosstrare, come tutte d'altronde, il lato "umano" di michael, il padre che era in lui.
    La mia mente un pò bacata ha fatto sì che con la fantasia potessi aver fatto ciò che vari voluto tanto poter fare ma che era davvero impossibile....
    Dopo queste brevi premesse vi auguro buona lettura e spero davvero che vi piaccia!

    SPOILER (click to view)
    mi scuso già in anticipo perchè so che non è un gran che....lo standar qui è davvero altro, però dai, un tentativo lo faccio:) e poi mi scuso inoltre perchè sono prevedibile e alcune volte scontata....scusate! :D)
    Ps: non aspettatevi un gran che...



    Capitolo 1

    Lunedì

    -Michael, mi potresti ospitare per le vacanze di carnevale?-
    -Certo, lo sai che sei sempre la ben venuta!-
    In quella settimana cadeva il mio compleanno, avrei compiuto 17 anni e per la prima volta avrei festeggiato senza i miei genitori, la cosa mi dispiaceva, ma avevo proprio bisogno di fuggire da quella cittadina che la sentivo oppressa su me.
    Non gli avevo dato molto preavviso, ma contavo sulla sua disponibilità e comprensione.
    Feci le valigie in tempo record, almeno per quanto mi riguarda; il girono dopo sari andata all’aeroporto sperando su un last-minut per Los Angeles.
    Il fatto che fossi sola avvantaggiava le occasioni e trovai un buon posto spendendo molto poco.
    Il viaggio per la California non è una passeggiata, però in fondo mi piaceva ritagliarmi quel tempo per riflettere e sonnecchiare un po’.
    Arrivai all’aeroporto nella mattinata di un lunedì di febbraio e subito trovai Jim che mi aspettava con la sua bella divisa da autista, corredata di cappello.
    -Oggi abbiamo la limousine o la Jaguard? No, forse è la Rolls Royce?-
    -Eh, ti piacerebbe vero?! No mi dispiace deluderti ma abbiamo una “semplice” Mercedes. Lo sai che siamo in incognito!-
    Con un gran sorriso si voltò facendomi strada e con garbo mi aprì la portiera posteriore.
    -Ma Jim, quanti anni hai? Così...per curiosità!-
    -34-
    -Ahm, allora sei vecchio!-
    -Ehi!-
    -No, volevo dire che non li dimostri! Certo che se non mi lasci finire le frasi!-
    -Ti salvi sempre in corner vero?-
    -Già, è la mia specialità, ovviamente dopo la mia laurea nel rompere le scatole agli altri!-
    Il viaggio continuò così: tra scherzi e risate e, in un lampo, arrivammo alla villa di Michael Jackson a Holmby Hills .
    Entrammo prima nel lungo viale che conduceva al portone d’entrata e arrivati all’ingresso c’era il portiere ad aspettarmi, gli feci segno di stare zitto, di non annunciarmi e lui mi accontentò.
    Bisbigliando gli chiesi: -Dov’è?-
    -Dall’altra parte, in biblioteca.-
    Senza fare rumore raggiunsi la stanza e con un balzo entrai.
    -Eccomi! Sono arrivata!-
    Sobbalzando si girò di scatto –Tu mi farai prendere un colpo! Ma come fai a convincere sempre il mio staff a fare quello che vuoi? Alcune volte non riesco nemmeno io!- scherzò.
    -Tutta questione di bravura! E poi qui tutti mi vogliono bene!-
    -Questo è vero!-
    Gli andai incontro e scoccai un bacio sulla sua guancia abbracciandolo; ricambiò il gesto.
    -Ragazzi venite a salutare! È arrivata!-
    Sentii i passi dei bambini rincorrersi uno dietro l’altro, per primo arrivò Prince che ormai si stava facendo proprio un bel ragazzo, poi arrivò Paris che, crescendo, stava prendendo le sembianze di una piccola donna e, infine, dietro di lei fece capolino quel timidone di Blanket che sussurrò un “ciao” quasi incomprensibile.

    Prince non era come Michael, più spigliato e socievole aveva sempre qualcosa da dire e quell’aria da furbetto lo rendeva alla vista un po’ insolente.
    Paris si può dire che fosse letteralmente innamorata di suo padre, gli voleva tanto bene e, per lei, ogni momento era buono per dimostrargli tutto il suo affetto.
    Blanket, invece, era la copia di Michael, timido e introverso, non parlava molto e non rivolgeva neanche la parola a chi non conosceva bene.

    Tutti i ragazzi avevano qualcosa da dirmi, da mostrarmi o da darmi, così tra le mille parole sovrapposte mi voltai verso Michael:
    –Mi sa proprio che chiacchiereremo più tardi.-
    Con una mossa del capo mi fece segno di non preoccuparmi e di andare con i bambini che mi portarono nella loro stanza da gioco.
    Quella camera conteneva più giocattoli di un negozio, bambole, videogiochi, giochi di società e molti altri riempivano intere pareti di scaffali e alcuni bauli; la maggior parte dei giochi però non glieli aveva comprati Michael, lui non voleva viziarli, erano regali dei parenti.
    Infine, un’enorme stereo dirompeva della prete di fronte alla porta, Prince prese un CD e lo mise nel riproduttore.
    Molte canzoni erano di suo padre e tutti insieme ci scatenammo sui ritmi di Black or White, Bad, ecc…finchè non arrivò Billie Jean, quindi andai a prende di forza Michael, lo portai nella orami sala da ballo e lo implorai:
    -Ti prego fammi il moonwalk! È troppo bello quel passo!-
    -Ma...-
    Non gli lasciai finire la frase e il mio essere logorroica, anche quella volta, aveva funzionato; ci mostrò il suo famoso passo e poi spense lo stereo.
    -Dai bambini, andate a fare i compiti.-
    Senza fiatare, ascoltarono gli ordini del padre e se ne andarono ognuno nella propria stanza. Michael era veramente un bravo papà e lo si poteva notare da queste e mille altre cose.

    Si sedette sul tappeto rosso al centro della stanza e mi face segno di fare altrettanto.
    -Cosa hai combinato questa volta? Quando vieni così all’improvviso vuol dire che ne hai combinata una delle tue.-
    -Non ho combinato niente...- il suo sguardo era fisso su di me e indagava nei miei occhi –davvero! Ero solo un po’ stanca della routine, avevo bisogno di staccare la spina...-
    -Ok, se non hai voglia di parlarne va bene, ma sappi che non me la dai a bere.-
    -Credimi, non ho fatto niente; lo sai come sono i miei, sempre apprensivi e col fiato sul collo, avevo solo bisogno di una pausa. E poi non è proprio un bel periodo...-
    Il suo sguardo interessato e pieno di comprensione mi diedero il coraggio necessario a continuare il racconto; non era facile farmi dire i miei sentimenti più profondi, ma Michael aveva la capacità di farmi sentire un libro aperto e io non potevo che leggere ad alta voce ciò che lui già vedeva scritto sopra quelle pagine.
    -Con i miei, lo sai, non parlo molto, ed ultimamente mi sembra che tutto stia sfuggendo dalle mie mani; la mia vita, il mio futuro che avevo progettato dettagliatamente stanno prendendo una forma diversa da come l’avevo pensata. Spesso sento che nessuno potrebbe capirmi, nemmeno i miei più intimi amici; invece con te è così diverso. Avevo bisogno di sentirmi compresa e solo qui riesco a trovare pienamente questa sensazione, avevo bisogno di fuggire dalla realtà e qui è come una bella favola.-
    -Sai, a volte ci si stanca anche delle favole...-
    -Sarà anche vero però avevo bisogno di questa favola perché non sopportavo più la mia realtà. Come te ho sempre creduto che c’è del buono in ognuno di noi, come te mi sono sempre fidata delle persone e ogni volta mi è toccato imparare che, invece, si può contare veramente solo su se stessi. Mentre con te è diverso, di te mi posso fidare...-
    Guardando in terra, quasi per sentirmi più protetta, più nascosta da quegli occhi che mi stavano mettendo a nudo come non aveva fatto nessun altro, non mi accorsi che Michael si alzò; mi poggiò una mano sulla spalla e mi invitò ad alzarmi, mi strinse forte a sé in un abbraccio pieno di affetto e dolcemente mi sussurrò: -Dai, ne hai passate tante, passerai anche questa.-
    -Sei tutto ciò di cui avevo bisogno...-
    -Se continui così mi farai commuovere!-
    Era vero, non era difficile vedere gli occhi lucidi o una lacrima su quel viso e dal tono della voce si poteva intuire che, presto, una avrebbe fatto capolino.
    Anche io non ero da meno, mi girai frettolosa e mi asciugai gli occhi, non mi piaceva farmi vedere così fragile; grazie a Michael avevo superato molti scogli del mio essere cinica e introversa, ma quello era ancora lì, impalato e ben piantato, difficile da sradicare.
    Tornando a guardarlo dissi: -Dai, andiamo a cercare qualcosa da fare, se no qui ci deprimiamo! E io non sono venuta per questo!-
    Sforzai un sorriso e lui rispettando il mio volere uscì dalla stanza facendomi strada verso il corridoio che portava al salotto con la TV.

    Presto arrivò l’ora di cena, io, Michael e i ragazzi avevamo tanto da raccontarci e ne approfittai anche per dare i regalini che avevo portato dall’Italia, non erano molto, semplici pensierini, ma nelle loro mani sembravano qualcosa di davvero speciale; era questo che mi piaceva di più di quella famiglia: ogni regalo era qualcosa di estremamente prezioso.
    -Comunque il vero regalo è la pasta! Ce l’ho nell’altra borsa! Domani a pranzo cucino io un bel piatto di pennette al dente con i pomodori freschi e non con il ketchap! Voi americani sapete fare tante cose, ma cucinare la pasta non è una di queste!-
    Infondo sapevano che questo era vero, così facendomi un gran sorriso accettarono la proposta.
    Finita la cena non restai molto alzata, il fuso orario mi aveva distrutto, così mi ritirai nella solita stanza che mi riservavano. Era una camera stupenda, sulle tonalità dell’azzurro, con tende e completi letto corredati dello stesso colore: il mio colore preferito.
    Il sonno mi prese appena mi infilai sotto le lenzuola, quella sera ero felice, sì, felice di essere lì tra quelle magnifiche persone.



    Martedì

    -Sei sveglia?-
    Una vocina sottile mi svegliò dal mio coma profondo e aprendo gli occhi ancora annebbiati dal sonno, tra la penombra riconobbi la sagoma di Blanket che cercava la mia attenzione.
    -Ehi…si sono sveglia, ma tu che ci fai in piedi a quest’ora? Sono...sono solo le sette del mattino!-
    -Non riuscivo a dormire, e nessuno vuole alzarsi…-
    -Capito, ora mi alzo...-
    Scesi in pigiama con Blanket e andammo nel salotto principale, tra Tv e vari giochi arrivarono presto le 9 del mattino e scesero anche gli altri. Michael vedendomi alzata così presto, io che di solito mi facevo pregare per lasciare il mio posticino caldo nel letto,mi domandò:
    -Coma mai sveglia di già?-
    -Non avevamo più sonno...-
    Non convito della mia risposta, non credendo che io che amavo dormire tanto e che ero sotto gli effetti del fuso orario fossi stata in grado di “non avere sonno”, capì che Blanket era stato la causa del mio risveglio, così si rivolse al piccolo:
    -Blanket, quante volte ti ho detto di non svegliare gli ospiti?!-
    Veramente non capitava spesso che qualcuno si fermasse lì a dormire, se non in rare occasioni qualche nipote, ma ci teneva molto al rispetto e alla privacy degli altri.
    Il bambino abbassò lo sguardo con aria afflitta, ma io non volevo che si sentisse in colpa, infondo bastava che non lo assecondassi.
    -Non ti preoccupare- dissi –sono venuta apposta per passare il tempo con voi! Non per dormire tutta settimana!-
    Ci spostammo nelle cucine per la colazione e anche le ore dopo passarono in un lampo.
    -Meglio che cominci a mettere a bollire l’acqua! Hai i pomodori Michael?-
    -Si...credo di si. Prova a vedere tu, fai come se fossi a casa tua.-
    Fece per andare via per lasciarmi libertà tra i fornelli, ma la sua curiosità lo costrinse a rimanere dietro la porta per spiare ogni mia mossa; sentendomi osservata mi voltai e vidi di sfuggita quella testa di capelli neri che faceva capolino dallo stipite.
    -Michael, se vuoi vedere vieni pure…non mi da fastidio. Dai, che magari impari a fare la pasta!-
    Si avvicinò curioso e seguì attentamente ogni mia mossa.
    -Non è difficile, credo che sia la cosa più facile da cucinare! E non farti ingannare da tutto il casino che ho fatto, infondo anche fare questo sugo è semplice, solamente che io sono una pasticciona e sporco sempre tante stoviglie!-
    -Sarà...ma secondo me come i neri hanno il ritmo nel sangue, gli italiani hanno la capacità innata di cucinare la pasta!-
    Ci guardammo in uno sguardo di intesa e scoppiammo entrambi a ridere.
    Michael era così, semplice e spiritoso, spontaneo, era capace di ridere di gusto come sapeva fare solo un bambino; il suo sorriso faceva venire voglia di fare altrettanto e poteva rasserenare una giornata grigia di pioggia.

    Misi a tavola la mia specialità e constatai con molto piacere che avevano gradito il pranzo, spazzolarono tutto quanto c’era nei loro piatti e concludemmo il pasto con un buon dolce che però non avevo fatto io, non ero una brava pasticciera.
    -Sono contenta che vi sia piaciuto, vi lascio gli altri pacchetti che ho portato e mi raccomando, non mangiatela scotta e con il ketchap! Se no me la riporto a casa!-
    Tutti fecero un sorriso e annuirono.
    -Sai, non siamo abituati a queste dosi.-disse stravaccandosi Prince.
    -Beh, allora dovete venire in Italia, così almeno tuo padre metterà su finalmente qualche chilo!-dissi stirando un sorriso.
    -A proposito Michael, volevo dirti appunto di questo: mi verrete a trovare vero? Ho anche fatto sistemare la mansarda per voi! Non è molto, un letto matrimoniale e un divano-letto, con un piccolo bagnetto privato e se vorrà, Paris potrà dormire con me; lo so che non è nei vostri standard, però magari quando avete voglia di fare un salto nella realtà di una piccola cittadina sappiate che siete sempre i ben venuti!-
    -Ok, grazie dell’invito, ma...-
    -Ci terrei molto a ricambiare l’ospitalità. Lo so che ti fa piacere che ti venga a trovare, me lo dici sempre, però è per me: per sentirmi in pace con me stessa...-
    Feci gli occhi dolci e anche questa volta ottenni un si.
    -Va bene, va bene. Non sopporto quello sguardo, ti prometto che verremo a trovarti.-
    Il mio sorriso a trentasei denti fece intendere tutta la mia gioia per quell’affermazione.

    Anche questa giornata passò in un lampo, ci trovammo di sera davanti alla Tv per cercare un canale interessante, ma, come in Italia, non ce n’era neanche uno.
    -Dai ragazzi, andate a letto che è tardi!- Disse Michael con voce ferma.
    Anche questa volta venne ascoltato senza tante obbiezioni, tranne per uno sbuffo di Prince che, essendo il più grande, pretendeva il diritto di avere più libertà in confronto agli altri.
    -Prince sta crescendo...- dissi.
    -Già, vuole affermare la sua “supremazia” nei confronti dei fratelli e sono sicuro che vorrebbe tanto uscire la sera con dei veri amici, ma questo non posso darglielo e mi dispiace così tanto...-
    -Michael, lo sanno che non è colpa tua, non ce l’avranno mai con te per questo…-
    -Da una parte ne sono sicuro, però dall’altra non faccio che ripetermi “speriamo che capiscano”.-
    -Ma si, vedrai che capiscono, l’hai detto tu, stanno crescendo e crescendo si impara a comprendere molte cose.-
    -Già, stanno crescendo...e poi un giorno vorranno fare tutto da soli, se ne andranno di casa per settimane...come fai te...-
    -Sì, è vero. È inutile che ti dica il contrario perché ti mentirei, però sappi che dovunque io vada alla fine torno a casa, torno dai miei genitori che, anche se a volte litigo con loro, non posso fare altro che amarli. E anche se un giorno me ne andrò di casa per farmi una mia famiglia so che potrò contare sempre su mio padre e mia madre e che loro ci saranno sempre per me come io ci sarò sempre per loro. Sono sicura che anche i tuoi figli sanno tutto questo, sono meravigliosi e tu sei un ottimo padre.-
    Dopo questo mio discorso si rasserenò e con una gran sorriso mi chiese:
    -E adesso che si fa? E se andassimo nella stanza dei giochi?-
    -Ok! Ci sto!-
    Giocammo ai videogiochi, scherzammo, ci facemmo i dispetti. Eravamo due ragazzini che si divertivano come non mai, spensierati e felici come due bimbi.
    -Mi piace venire qui perché quando sono con te posso tornare bambina-
    -Perché? Non lo fai tutte le volte che vuoi?-
    -No, non è vista come una cosa positiva e spesso ne soffro per questo. Non che sia una bambina, ma certe volte comportarsi da tale fa sentire più vivi, spensierati e felici.-
    -Non devi neanche dirmelo, ti capisco benissimo!-
    -Mi mancavano queste serate con te, è incredibile, a volte dimentico completamente che tu abbia ormai quasi 50 anni, hai la capacità di tornare ragazzino e mettere e proprio agio le persone che ti stanno intorno.-
    -Lo prendo come un complimento.-
    -Certo, è un complimento. Io ti ammiro sai, riesci a essere per i tuoi figli sia un amico, compagno di giochi, che un ottimo padre, tantissime persone ci hanno provato ma poche ci sono riuscite.
    Un giorno spero di essere come te.-
    Questa frase lo fece commuovere ed esaltare al tempo stesso, aveva passato la vita a imporsi come modello positivo, soprattutto per i giovani, e mentre pronunciavo queste parole si sentì un po’ più realizzato.
    -Dai Michael, io vado a letto che devo anche finire di disfare i bagnagli. Buonanotte.-
    Lui rimase ancora un po’ alzato a riflettere su tutto ciò che gli avevo detto mentre io andai in camera, sistemai la mia roba nella cabina armadio della stanza, non ne riempivo neanche un quinto però era l’unico spazio riservato ai vestiti; poi feci una bella doccia rigenerante e infine mi misi a letto.
    Dopo non molto sentii dei passi avvicinarsi alla mia stanza, la portasi aprì senza fare alcun rumore ed entrò la luce del corridoio ad illuminare un poco la stanza.
    Io con le spalle rivolte all’apertura notai l’ombra di Michael che si affacciava nella mia camera e dopo essersi assicurato che stessi bene socchiuse la porta lasciando filtrare un filo di luce al suo interno.
    Mi voltai nel letto e sorrisi in direzione di quello spiraglio, era così premuroso con me.



    Mercoledì

    Keep smilin', keep shinin',
    Knowing you can always count on me
    For sure, that's what friends are for
    In good times and bad times
    I'll be on your side forever more
    That's what friends are for

    P.s: happy birthday Marta!




    Queste furono le parole che vidi scritte su un biglietto firmato “MJ” appena aprii gli occhi, sveglia per la luce che filtrava soffusa dalle tende.
    Era la mia canzone preferita, aveva un significato importantissimo per me e quando la ascoltavo riuscivo a liberare il cervello da ogni preoccupazione, da qualsiasi pensiero negativo per far posto alle splendide emozioni che mi regalava questa musica, e lui lo sapeva bene. Non poteva esserci risveglio migliore; ripiegai il biglietto e lo misi in valigia, non avrei mai potuto buttarlo, era il mio più bel regalo di compleanno!
    Andai in bagno come tutte le mattine e anche li trovai un messaggio, ma questa volta c’era scritto di vestirmi e non scendere come al solito in pigiama.
    Seguii gli ordini e alla fine della scalinata trovai un Michael vestito di tutto punto che teneva aperta la porta, circondato dai bellissimi suoi tre figli, anche loro pronti per uscire.
    Prima che potessi aprire bocca intonarono la canzoncina di buon compleanno, la voce di Michael era favolosa e sentirla cantare per me, solo per me, fu un’emozione unica; le note ritmate e dolci si diffondevano nell’ingresso mentre il coro dei bambini lo accompagna in una melodia quasi magica.
    -Che sta succedendo?- chiesi un po’ frastornata.
    -Ti ho fatto una sorpresa, visto che oggi è il tuo compleanno e siamo tutti liberi ho pensato di portarti a fare un giro in limousine!-
    Avevo sempre sognato di salire su quel genere di “auto” e senza farmelo ripete due volte corsi fuori di casa e mi precipitai in quella lunga macchina nera parcheggiata sul viale d’entrata.
    L’interno era rifinito di stoffa rossa con dei ricami in oro che esaltavano i curatissimi sedili in pelle beige. I vetri oscurati non permettevano a sguardi indiscreti di poter vedere all’interno; per questo e perché eravamo a Los Angeles e non era così insolito vedere una limousine tra le strade, quel viaggetto era completamente sicuro.
    -È tutto così...così perfetto! Così elegante e raffinato, e tu mi dici che è meglio la vita normale dove spesso devi accontentarti di un’utilitaria che quando si va in 4 ti senti oppresso?-
    Sorrise –Hai sempre voglia di scherzare vero?-
    -Ridere fa bene al cuore! Comunque, dove mi state portando?-
    -Non te lo posso dire, è una sorpresa!-
    -Ma ti prego...un indizio?-
    -No!-
    -Dai, mi dovrei dire qualcosa, non ho fatto neanche colazione, non vorrai mica farmi svenire per un calo di zuccheri vero?!-
    -Certo che no! È per questo che ti ho portato una brioches.-
    Estrasse un sacchettino e io mangia la mia colazione, irritata di non essere riuscita ad estorcere nemmeno un indizio a Michael; quasi sempre riuscivo ad ottenere ciò che volevo quando ero con lui, ma sapevo anche che non era tutto merito mio, quando si impuntava su una cosa era un testone e non c’era verso di fargli cambiare idea. Si era messo in testa di farmi una sorpresa e per niente al mondo si sarebbe fatto sfuggire qualcosa a riguardo.
    Il viaggio si faceva interessante, stavamo lasciando il centro cittadino per andare in periferia; io continuavo a fare giri di parole per provare a confondere Michael e farmi dire qualcosa sulla destinazione e i bambini ridevano di gusto ogni volta che lui deviava il discorso con maestria.

    -Siamo arrivati!- annunciò Jim.
    Sbirciai fuori dal finestrino e notai che eravamo a uno di quei “parchi avventura” dove bisognava destreggiarsi tra ponti tibetani e scalate di alberi.
    Scendemmo dalla limo in fretta per sfuggire alle persone che avevano avuto una soffiata su dove si stava dirigendo Michael.
    Aveva fatto chiudere l’intero parco che per quel giorno sarebbe stato solo nostro e della guida che ci avrebbe dovuto fare strada tra i vari percorsi.
    -Oggi è il nostro giorno, è il tuo giorno per tornare bambina; oggi puoi e devi rotolarti nel fango, strisciare in mezzo alla polvere e sporcarti le mani di resina senza doverti vergognare di farlo e vergognanti che ti piaccia farlo.-
    Michael non poteva usare parole migliori per introdurre quella che sarebbe stata una giornata indimenticabile.
    Non sapendo che rispondere mi limitai ad abbracciarlo; poi andammo tutti negli spogliatoi per metterci le tute, le imbragature e le scarpe adeguate.
    Vestiti come militari seguimmo la guida.
    -Eccoci, pronti a cominciare?-
    Un “sì” unanime echeggiò tra i rami del bosco dove avremmo dovuto intraprendere la nostra avventura.
    -Incominciamo con un ponte tibetano e poi ci saranno pezzi sempre un po’ più difficili, se non ve la sentite ditemelo che scegliamo il percorso alternativo, per concludere la mattinata ci fermeremo al “rifugio” per mangiare qualcosa e poi ricominceremo nel pomeriggio.-
    Si stava prospettando una giornata a dir poco impegnativa, la guida sembrava davvero un generale e un girono interno a scarpinare per ponti tibetani e sentieri insidiosi non era certo una passeggiata!

    La pausa pranzo arrivò presto, non senza, però, avere faticato per raggiungere il rifugio.
    -Sei sicura di farcela? Oggi sei più vecchia di un anno eh!-
    -Ah, ah, spiritoso! Io ce la faccio benissimo Michael, e poi io non sono la più vecchia qua!-
    Prince rise sotto i baffi. Lui non aveva avuto problemi a destreggiarsi tra tutti quegli ostacoli ed era sempre il primo dietro alla guida.
    -E tu cosa ridi?- dissi –Da oggi ti sei guadagnato il soprannome di scimmia!”
    -Ah! Questo nome ti sta proprio a pennello!- anche Paris era d’accordo con me.
    Dopo altri scambi di battute Michael si fece serio e mi chiese:
    -Hai chiamato i tuoi?-
    Gli avevo detto che non era un bel periodo, quindi volle assicurarsi che, comunque, mi comportassi da “brava figlia”.
    -Sì, sì. Ancora stamattina.-
    Con un sorriso mi diede consenso e, soddisfatto, tornò al suo piatto che venne ripulito senza troppi complimenti; quindi riposammo tanto quel che bastò per riprendersi e poi ricominciammo il nostro percorso.

    Il cielo cominciava ad imbrunire e la giornata tra il fango e le foglie era ormai alla fine.
    -Eccoci qui. Devo dire che siete stai tosti, bravi! Sono soddisfatto di voi.-
    La guida se ne andò con un sorriso e in quel moneto venne un’inserviente con tutto l’occorrente per la doccia; guardai Michael con aria perplessa.
    -Non ti preoccupare, è tutto programmato, ora ci facciamo una bella doccia; non possiamo decisamente presentarci così nel prossimo posto!-
    Io e Paris ci avviammo negli spogliatoi femminili e sotto le docce le domandai:
    -Tu sai dove siamo diretti vero?-
    -Io? No!-
    -Certo...dai per favore dimmi qualcosa, il nome di una via...-
    -Mi dispiace, ma non posso...-
    Rinuncia all’indagine, infondo la giornata mi era piaciuta e sicuramente avrei apprezzato anche la seconda sorpresa.
    Puliti e profumati ritornammo in limousine e ci dirigemmo di nuovo verso la città.
    -Rieccoci arrivati-
    Ancora una volta Jim ci annunciò che dovevamo scendere.
    Aprii la portiera e mi trovai dinnanzi ad un container per lo sporco, come prima impressione devo dire che non era esattamente ciò che mi aspettavo, ma poi guardai più in là e vidi una piccola porticina di servizio e dall’odore che usciva da quell’apertura si poteva intuire che era un’entrata secondaria di una cucina.
    Non avevo riconosciuto il posto, e probabilmente non l’avevo mai visto prima. Ogni volta che andavo a casa di Michael restavamo all’interno della villa, non avevamo bisogno di uscire, e poi tutta la folla che si sarebbe formata intorno a lui non era certo un elemento di vantaggio; quindi non conoscevo molto Los Angeles; sì, l’avevo girata una volta nelle mie visite precedenti insieme ai miei genitori, ma certo non andammo mai in un ristorante di lusso a pranzare.
    -Forza, vai avanti ed entra.-
    Michael mi diede una piccola spinta verso quella porta e insieme varcammo la soglia d’ingresso.
    Il metrè ci stava già aspettando e con un distaccato saluto ci fece strada verso il piano superiore.
    Era un ristorante stupendo, la luce soffusa illuminava quel tanto che bastava per guardasi in viso e i colori scuri delle parenti davano una sensazione di caldo conforto.
    -Come ha chiesto lei Signor Jackson, le abbiamo riservato questo piano, spero sia tutto di suo gusto.-
    -Oh, sì, grazie! È perfetto!-
    Michael, aveva prenotato l’intera sala pranzo superiore solo per me, solo per festeggiare il mio compleanno. Mi sentivo davvero una regina!
    -Micheal grazie, grazie davvero! Non dovevi! E non lo dico solo per educazione, veramente...è troppo...-
    -E perché mai? Io l’ho fatto con piacere. È la prima volta che festeggi con noi e volevo farti qualcosa di speciale.-
    Apprezzai questa sua frase e glielo feci notare dandogli un enorme bacio, ci aveva messo davvero tutto il suo cuore e molta fatica per farmi quella sorpresa, aveva avuto solo pochi giorni per organizzare il tutto e non volevo che pensasse che io non apprezzassi. Ma era veramente troppo, infondo il mio regalo più grande era poter stare con lui e la sua famiglia per un’intera settimana.
    La cena fu squisita, piatti colorati dai nomi impronunciabili erano una goduria sia per il palato che per la vista; il dolce finale, una splendida millefoglie compresa di candeline e dello stesso coro della mattina era stato la ciliegina sulla torna, appunto.
    Il tempo passato tra chiacchiere e tutto quel ben di dio se ne andò in un lampo, così, stanchi e provati da quella giornata piena, tornammo a casa e ci tuffammo subito sotto le lenzuola per recuperare le forze spese.


    Giovedì

    Fu una mattinata come tante altre quella di giovedì, niente di speciale, qualche chiacchiera e gioco, poi venne l’ora di pranzo.
    -Ragazzi, avete finito i campiti per le vacanze?- chiese Michael hai suoi figli.
    -No...-
    -Ehm...quasi...-
    -No...-
    Tutti e tre ebbero la stessa risposta, mentre io mi nascondevo dietro la bottiglia che mi separava da Michael, non ero sua figlia, ma per lui l’istruzione era molto importante e visto che teneva anche a me sapevo che quello “interrogatorio” mi sarebbe toccato.
    -E tu non nasconderti, ti vedo sai?! Allora che mi dici?-
    -Ehm...non vorrei contrariare i tuoi bambini quindi mi associo a loro.-
    -Dai ragazzi, mi raccomando, oggi li finite così domani passeremo una bella giornata tutti insieme visto che tu sabato parti Marta.-
    -Ok capo!- fu la mia risposta e i ragazzi mi seguirono facendo un cenno di consenso con la testa.
    Così finito il pranzo ci ritagliammo un’oretta di svago e poi andammo tutti verso i nostri lavori.
    Non si può dire che andavo male a scuola però non amavo stare ore e ore sui libri, e neanche ci riuscivo, per quanto mi sforzassi il mio record erano stati 45 minuti filati di letture di un testo scolastico, quindi a metà pomeriggio decisi di fare una pausa merenda e andai verso le cucine.
    Feci rifornimento di patatine e succhi, quindi mi riavviai verso la mia stanza, passai davanti alla sala insonorizzata che si era “regalato” Michael e notai che aveva le luci accese, non smetteva mai di scrivere e ballare, per lui non era un vero è proprio lavoro, ma una passione e non riusciva a stare tanto senza provare quelle sensazioni che gli trasmetteva la musica.
    Mi affacciai alla porta di vetro smerigliato e notai una sagoma sottile che si muoveva con estrema agilità; si voltò e vedendo la mia di sagoma si fermò di scatto, venne verso la porta e uscì dalla stanza.
    -Che ci fai qui? Non dovevi essere a studiare?-
    -Sì...ma ho fatto pausa merenda.- Dissi alzando il pacchetto di patatine e il succo che avevo in mano.
    Aveva l’espressone tipica di uno che cerca di nascondere qualcosa, di chi è stato colto sul fatto. Così la domanda mi sorse spontanea:
    -E tu invece che facevi? Stai pensando a qualcosa di nuovo?-
    Sapevo che Michael era sempre alla ricerca di una novità che avrebbe lasciato tutti a bocca aperta e speravo che lo stesse davvero facendo, aveva bisogno di una “rivincita”, di una ritorno.
    -No, no...- Questa volta ero io che lo fissavo con insistenza, cercando nei suoi occhi un indizio che mi rivelasse la verità. Michael non era un bravo bugiardo, soprattutto con le persone a cui voleva bene non riusciva a mentire. Abbassò lo sguardo e rassegnandosi al fatto che ormai era fatta, avrebbe dovuto dirmi la verità, parlò:
    -...cioè sì. Ho in mente di ritornare sul palcoscenico. Ho in mente di fare vedere a questo mondo che non sono finito e che sentiranno ancora parlare di me per la mia musica e non per tutte le altre cose che si vedono scritte su quella spazzatura.-
    Nel parlare Michael aveva acquistato orgoglio e la sua voce lo rispecchiava.
    -Ma è fantastico! Sono proprio contenta!-
    -Davvero? Anche io sono contento, infondo mi manca tutto l’amore che mi donano i fans ogni volta che appaio sul palco, anche se tralascerei tutto il resto. Ma per quell’amore che solo loro sanno darmi farei di tutto.-
    -Sarà la tua ultima esibizione?-
    -Sì, questa è l’ora, questo è il moneto, questo è quanto!
    Mi serve una rivincita personale e poi tornerò alla mia attività di padre che amo fare più di qualunque altra cosa al mondo.-
    Sapevo che Michael non avrebbe mai lasciato realmente il mondo della musica e avrebbe continuato lo stesso a comporre, anche solo per se stesso, ma sapevo anche che quando era convito di una cosa andava fino infondo; e in quel momento era davvero convinto di ciò che diceva.
    -Comunque non aspettarti chissà cosa…- diceva sempre così, ma in realtà sapeva bene che invece c’era sempre da stupirsi, non era mai pienamente soddisfatto del suo lavoro, ma era consapevole che comunque fosse andata avrebbe fatto bella figura. -…farò giusto una decina di concerti, non di più. Infondo ho quasi 50 anni e il peso lo sento anche io.-
    -Ma se per quel poco che ho visto potresti fare invidia a un trentenne!- seguì un mio piccolo sorriso, ma vendendo la faccia di Michael restare seria capii che quello non era momento di scherzare quindi mi affrettai a completare il mio pensiero:
    -Comunque ti capisco, fai bene e sono d’accordo con te quando dici che è bello fare il padre a tempio pieno. Visto che puoi, fallo! I tuoi figli te ne saranno grati.-
    -Grazie, sapevo di poter contare sul tuo sostegno, so che alcuni credono che io non ce la possa fare e penso che ne siano conviti anche alcuni membri della mia famiglia, ma io so che riuscirò a gestire la cosa. Comunque non farne parola con nessuno, neanche con i miei figli, gliene voglio parlare io. Voglio spiegargli cosa comporta per me e per loro e perché è importante che faccia questa cosa per me stesso.-
    -Non ti preoccupare, sarò muta come un pesce. Ma allora è un programma un po’ lontano?-
    -In verità no, hanno già preparato tutto, il 5 marzo annuncerò i concerti a Londra, dove li terrò nell’Arena 02. Ora sto provando da solo in casa, ma dall’annuncio dovrò mettermi sotto col lavoro e credo che il tempo libero si farà sempre meno.-
    -Beh…Michael allora sbrigati a dirlo ai tuoi bambini, altrimenti diventa tardi!-
    -Si…-
    Il suo tono si era fatto sensibilmente più basso, aveva timore che non la prendessero bene.
    -Devi smetterla di preoccuparti Michael, hai dei figli fantastici e saranno contenti per te! Ne sono certa!...Allora io vado a finire il mio lavoro e ti lascio comporre in santa pace. Ci vediamo a cena!-
    Con un sorriso riaprì la porta della stanza che si chiuse dietro di lui con delicatezza. Stetti a guardare finché non rividi la sua sagoma muoversi sinuosamente, ogni suo passo era danza, ogni suo gesto era una coreografie e ogni sua nota era musica. Michael aveva un dono e lo stava sfruttando decisamente al meglio. Avrei potuto stare ore ed ore a osservalo danzare, ma sapevo che non gli era cosa gradita mentre lavorava in privato e poi dovevo tornare ai miei studi, così mi voltai controvoglia e ripresi il corridoio per la mia stanza.

    Quel giorno sarebbe stato il penultimo, il penultimo passato con loro, sapevo che il venerdì, tra preparativi e tutto il resto, sarebbe volato e in un batter d’occhio sarebbe arrivato il sabato che mi avrebbe riportato in Italia. Per questo volevo che giovedì non finisse mai.
    Sdraiati sul divano, tra chiacchiere e scherzi, passai delle ore favolose con Mike e i ragazzi, finché Paris e Prince, esausti, andarono a letto. Blancke invece dormiva già da un pezzo.
    -Michael, vado a portare Blancket a letto poi torno.-
    -Sei sicura? Guarda che vado io.-
    -Non ti preoccupare, infondo mi piace fare la “mamma” a tempo perso.-
    Era vero, Blanket era il più piccolo e quindi potevo coccolarlo e viziarlo, e infondo mi piaceva molto farlo. Mentre gli altri due già più grandi, mi vedevano più come un’amica, lui mi considerava una sorella maggiore, quasi un’autorità come poteva esserlo una zia.
    Presi in braccio il piccolo e lo portai nella sua camera, dopo avergli rimboccato le coperte tornai in salotto.
    -È davvero un angelo quando dorme.- dissi sedendomi accanto a Mike che aprì un braccio per farmi posto e appoggiai la testa sul suo torace.
    -Sei sicura di non voler andare a letto anche tu?-
    -No, non ho sonno.-
    Sentendo questa mia risposta sorrise sotto i baffi; si poteva notare da un chilometro di distanza che ero stanca morta, ma volevo realmente che quella giornata durasse in eterno e stare sveglia mi sembrava il modo migliore per farla durare.
    Convita nella mia intenzione cominciai un discorso che forse, annebbiato dal sonno che mi stava piano, piano sopraffando, non era tanto chiaro.
    Comunque pensavo…-
    -Oh…no! Ci risiamo! È pericolo quando pensi!- Scherzò.
    Però, infondo, aveva ragione, ogni volta che me ne uscivo con quella frase, o facevo ragionamenti che non avevano né capo né coda e finivo per confonderlo e basta, oppure avevo idee un po’ bizzarre.
    -Ma no dai, questa volta sono seria!- anche se il mio sorriso sulle labbra per quelle parole con cui se ne era uscito non dimostravano lo stesso. -Sai, è un po’ strano stare in tua compagnia…-
    -In che senso?-
    -Come spiegare….se qualcuno mi chiedesse in qualsiasi momento che non sono qui con te, come ti considero risponderei che ti vedo come uno zio, una persona adulta che mi consiglia come tale. Ma se mi porgessero una domanda simile in questo momento risponderei che per me sei un amico, un confidente. E per me questo è strano, perché prima di conoscerti le due cose erano ben distinte: i miei genitori e i miei zii erano autorità, persone che dovevo rispettare come tali e che mi avrebbero corretto ogni sbaglio, mentre gli amici erano quelli con cui scherzare, raccontare i segreti e sbagliare insieme per poi farsi sgridare dagli adulti. Mentre tu sei un po’ entrambi…però mi piace questo…-
    Michael sorrise, gli piaceva l’idea di essere esattamente quello che avevo appena descritto.
    Dopo quel discorso che ormai mi aveva prosciugato ogni forza, stetti in silenzio accoccolata accanto a Mike che intanto prese il telecomando per cercare qualcosa in TV, mentre girava di canale in canale, complici il calore, la soffusa luce che emanava il fuoco mentre bruciava sotto il televisore appeso alla parete e il suono delle voci dei protagonisti di vari film, mi portarono pino, piano verso il fantastico mondo dei sogni.
    In quella dormiveglia che accompagna tutti prima di addormentarsi sentii Michael muoversi quasi impercettibilmente verso la coperta che stava sul mobile accanto al divano, la prese e la sistemò su entrambi.
    Il battito del suo cuore mi cullava in una ninna-nanna fatale, un battito regolare e rassicurante, quasi fossi tornata nel ventre materno, dove quello è l’unico suono sempre presente che accompagna il bambino per nove mesi.
    In pochi secondi venni sopraffatta dal sonno e mi addormentai tra quelle braccia che sapevano proteggermi ogni volta che avevo bisogno di uno scudo, stuzzicarmi ogni volta che avevo bisogno di una risata o abbracciarmi ogni volta che avevo bisogno di conforto.



    Venerdì

    Un braccio informicolato mi costrinse ad alzarmi, ci avevo dormito sopra tutta notte e il peso del mio corpo lo avevo reso ormai insensibile.
    Mi spostai piano, attenta a non svegliare Michael che, anche se in una posizione scomoda per riposare, era ancora assopito. Era rimasto tutta notte accanto a me sul divano, per non svegliarmi.
    Alzandomi notai che dall’altra parte anche Blanket si era fatto posto sotto la coperta accanto al suo papà. Probabilmente si era svegliato presto e non trovandolo in camera lo venne a cercare in salotto e, accoccolandosi dietro la sua schiena, abbracciando la sua copertina, si era addormentato.
    Quel quadretto era troppo bello per essere rovinato così decisi di lasciarli soli per andare a preparare le colazioni.
    La casa era deserta , un’atmosfera regale si diffondeva tra le enormi stanze, come la fredda luce del mattino invernale di febbraio.
    Quella cucina l’avevo sempre considerato un posto sterile, tutto in acciaio, molto pratico, ma estremamente freddo e inospitale, al contrario del resto dell’abitazione.
    Presi le stoviglie e cominciai a preparare un po’ di tutto: caffè, latte, spremute, the, marmellate, pane tostato…e provai anche a fare le uova rotte, cercando di ricordare una “colazione all’americana”.
    Mangiucchiando qualche biscotto e bevendo un goccio di latte caldo, preparai la tavola e dopo non molto arrivò tutta la famigliola e reclamare il primo pasto della giornata.
    -Oh, che bello. Tutto già pronto, è successo qualcosa per caso?-
    A Michael piaceva molto scherzare, e prendermi in giro sembrava uno tra i suoi passatempi preferiti perché non ero il tipo da prendermela tanto per una battuta e poi sapeva che gliela avrei restituita con gli interessi.
    -No, mi sono svegliata presto e volevo in qualche modo sdebitarmi per l’ospitalità.-
    -Ah si? E quante volte ti sdebiti di solito? Papà, dobbiamo invitarla più spesso!-
    Un ghigno sulla faccia di Prince accompagnò questa frase pungente, come era solito fare.
    -Non ti ci abituare! Qui sono ordinata solo perché sono un ospite! Se verrete da me potrete presto constatare che sono una pessima donna di casa! Potrete vederlo con i vostri occhi…non saprei…magari qualche giorno a marzo se siete nei paraggi…-
    Michael mi guardò sbieco mandandomi segnali di disapprovazione; - Ragazzi, vi devo parlare…-
    Sì, ormai avrebbe dovuto parlare, avevo messo la pulce nell’orecchio ai bambini e, in qualche modo, anche rotto il ghiaccio che gli impediva di confidarsi con i suoi figli.
    Appoggia la tazza di latte sul bancone della cucina e voltandomi dissi:
    -Io vado a preparare le valigie così mi porto avanti con lavoro!-
    A quel discorso tanto ostile a Michael non dovevo certo essere presente, così uscii dalla cucina e mi avviai alla camera.
    Stavo piegando le maglie e i pantaloni che non avrei usato per il viaggio, Quando sentii bussare alla porta; -Sono Paris, posso entrare?-
    -Certo!-
    Si sedette sul letto senza parlare e mi seguì con lo sguardo nelle mie faccende, così le chiesi se andasse tutto bene e, se non era inopportuno, cosa avesse detto suo padre.
    -Sì, tutto ok! Papà ci ha detto che tornerà a cantare e io sono davvero contenta! L’ho visto felice e se lui lo è, lo sono anche io!-
    Sinceramente fiera di quella frase, ero orgogliosa che la mia affermazione di prima si era rivelata vera, corsi ad abbracciare la ragazza.
    -È davvero grandioso Paris! Sono contenta anche io!-
    -Sì grandioso! Staremo in Europa e papà ha anche detto che potremo venirti a trovare dopo la conferenza stampa!-
    -Ma è fantastico!- ero davvero felice di poterli ospitare, così tornai a fare i bagagli, ma con una certa enfasi e sveltezza che prima mancavano.
    Paris si alzò dal letto e cercò di aiutarmi anche se non sapeva proprio da dove iniziare; le insegnai a piegare le magliette e mentre ne ripiegava una, stando bene attenta alle maniche, mi disse:
    -Sai, sono contenta che tu sia stata qui con noi questa settimana, mi piace ogni tanto avere una compagnia femminile, non che non mi trovi bene con i miei fratelli e papà, ma ogni tanto mi piace parlare con te di... “cose da donne”.-
    -Sì, capisco quello che intendi e anche a me fa piacere essere qui! E mi dispiace di non aver passato più tempo con te, ma se verrete da me vedrai che ci rifaremo!-
    Sì, quella famiglia la adoravo davvero, ogni giorno di più.

    Seduti a tavola eravamo rimasti solo io e Michael, non mi aveva rivolto parola per tutto il pranzo, mi riservò soltanto occhiate di disappunto.
    -Michael, ti prego, non avercela con me…ho cercato di fare soltanto quello che credevo più giusto.-
    Era offeso, offeso perché una persona avevo messo in discussione la sua lealtà nei confronti dei suoi figli, o almeno era quello che pensava.
    -Glielo avrei detto ai ragazzi…prima o poi…-
    -Lo so, ma ammettilo, non potevi aspettare ancora, tra non molti giorni febbraio sarà finito e il 5 marzo è vicino!-
    Tutto questo non era che uno dei suoi “capricci”, come quelli dei bambini che davanti ai compiti per casa rimandano lo svolgimento finché la mamma, con un argomento più che ragionevole e insopportabilmente inattaccabile, trova il modo di farli mettere subito al lavoro e i ragazzini, seccati da quella solida verità, devono cedere e accettare le conseguenze. Così, lui era arrabbiato perché una ragazza lo avevo spinto a fare, sì, la cosa giusta, ma contro la sua volontà del momento.
    Michael, però, era una persona intelligente e sapeva quando era il caso di riconoscere i propri errori, ma questo non voleva dire che avrebbe abbandonato le sue convinzione senza esitare un istante.
    -Ok, è vero! Però glene avrei parlato comunque.-
    Non ribattei, infondo avevo ottenuto una sua “dichiarazione di colpevolezza” e questo mi bastava.
    L’atmosfera rimase pressoché la stessa, tranne per le occhiate infuocanti che erano svanite.
    Era fatto così, non si arrabbiava mai veramente, ti perdonava sempre, ma all’inizio doveva fartela un po’ pagare non dandoti attenzioni.
    Mi stavo per pentire, stavo per chiedere scusa di non aver rispettato la sua volontà mentre ci spostavamo dalla cucina verso la sala quando, entrando nella stanza, trovammo Prince, Paris e Blanket in piedi che reggevano uno striscione. La frase, scritta in modo veloce per il poco tempo che le avevano potuto dedicare e un po’ pendente recitava: “vai papà! Siamo con te!”;e in basso, più piccolo c’era scritto: “ti vogliamo tanto bene!”
    Quanto li invidiavo qui bambini, sapevano esprimere i loro sentimenti senza porsi alcun problema, come avrei voluto esserne capace anche io. Ma per le esperienza che mi aveva riservato la vita o semplicemente per carattere non riuscivo mai a dichiarare fino in fondo ciò che provavo.
    Quel cartellone, così semplice e con due frasi sintetiche riusciva a trasmettere tutto l’amore che i suoi figli provavano per Mike. Notai gli occhi lucidi dell’uomo che scrutavano ogni singola parola, ogni singola lettera, per captarne fino in fondo il significato, e quando ebbe finito di ammirare l’opera dei suoi bambini corse incontro loro per abbracciarli e baciarli, ringraziandoli infinitamente di averli sempre al suo fianco.
    In quel momento ogni mio dubbio svanì, avevo davvero fatto la cosa giusta e quel piccolo battibecco con Michael ormai non aveva più importanza.
    Avevo osato, forse avevo anche superato quel confine implicito che c’è tra ogni persona, ma vedendo come si era conclusa la faccenda mi convinsi che ne era valsa davvero la pena!
    Oh sì! Ne era valsa la pena!
    Quell’aria prima intrisa di tensione finalmente si stava dissolvendo, lasciandosi tagliare dai sorrisi che portarono con sé un’aurea di buon umore perfetta per l’ultimo mio giorno passato in loro compagnia.



    Sabato

    -Sei pronta? Vieni che devi fare colazione.-
    Le parole mi attraversarono la mente attutite come da un muro d’acqua che le rendeva ovattate e quasi incomprensibili.
    -Marta! Ma sei sveglia?-
    Quella frase mi svegliò completamente e mentre mi stavo mettendo seduta sul letto, ancora mezza addormentata, Michael entrò dalla porta; -Cosa ci fai ancora a letto? Sono le 4.30! alle 5.15 devi essere in aeroporto!-
    -Cavoli! È tardi!-
    -Dai, sbrigati a vestirti…-
    -Ma non voglio andare via…anche la sveglia non vuole andarsene…hai visto?! Non è suonata apposta!-
    -Lei se vuole può pure restare, ma tu invece devi prendere un aereo che non aspetta!-
    -Ok, ok…ora mi alzo...-
    Rassegnata, cominciai a preparami in fretta e furia, dovevo mettere in ordire le ultime cose nei bagagli, sistemarmi e cercare di mangiare qualcosa, il tutto in circa 20 minuti; non era certo cosa facile!
    -Cerca di fare in fretta, sul tavolo della cucina ho fatto preparar una brioches, la mangerai in auto. Jim ti sta aspettando fuori, quando sei pronta, si spera il più presto possibile, ti accompagnerà all’aeroporto e rimarrà a farti compagnia finché non ti imbarchi, non voglio che rimani da sola tutto il tempo! Io non verrò, anche se me ne dispiace tanto, ma non potrei scendere dall’auto e quindi non servirei a niente…ma mi stai ascoltando?-
    Indaffarata tra bagagli da sigillare e pantaloni che, come al solito, quando si è in ritardo non vogliono entrare ed allacciarsi, risposi: -Sì, sì! Colazione in macchina, Jim sta con me in aeroporto e tu mi saluti da casa!-
    -Ok, allora ti aspetto giù!-
    Mentre stava scendendo dalle scale, chiusi la porta e strappai frettolosa una pagina bianca dal blocco degli appunti e gli scrissi una farse che sarebbe servita a fargli capire quanto ci tenessi a lui; forse era un po’ banale come idea, visto che l’avevo spudoratamente copiata da lui. Però io non ero barava con le parole, quindi l’unico modo per esprimermi era scrivere. Ripiegai il foglio e lo misi in tasca dei jeans, glielo avrei dato nel momento opportuno.
    In quell’istante bussarono alla porta Prince e Paris; -Ciao! Allora parti…- disse la ragazza sulla soglia della porta.
    -Eh sì, mi tocca…-
    -Va bhe dai, ti aspettiamo giù con papà.- concluse Prince.
    All’appello mancava soltanto Blanket che dormi ancora, andai nella sua stanza e mentre aprii la porta si voltò, mi guardò con gli occhi pesanti per il sonno e con la bocca impastata mi disse:
    -È già ora di alzarsi?-
    -No, sto partendo e volevo salutarti.-
    Mi avvicinai al letto, gli diedi un bacio sulla guancia e riboccandogli le coperte gli sussurrai: -ritorna a dormire che tra poco è mattina davvero.-
    Con voce bassa mi salutò, per poi rigirarsi sul fianco e continuare a riposare.
    Non avrei mai voluto svegliarlo, ma sapevo che se non lo avessi salutato prima di andarmene ci sarebbe rimasto male e l’ultima cosa che volevo era deluderlo.
    Con i bagagli in mano, attenta a dove mettessi i piedi, andai in salotto, dove i tre erano pronti per i dovuti saluti. Abbracciai i ragazzi e ci lasciammo con la promessa di rivederci presto.
    Poi arrivò il turno di Michael:
    -Mi raccomando, fai la brava e trattali bene i tuoi genitori, e vedrai che tutto il resto si sistemerà…-
    Aveva sempre una parola di conforto, una farse che risollevava il morale a terra per ogni occasione, questo era il suo più grande pregio.
    -Ok, te lo prometto! Invece tu mi raccomando, fai le cose per bene che ti voglio proprio vedere sul palcoscenico! È la mia unica occasione di vederti esibire!-
    Sorridendo mi venne incontro e allargò le braccia per accogliermi in un caloroso abbraccio, in quel momento con un movimento repentino estrassi il biglietto che avevo in tasca e mentre strinse le braccia intorno alle mie spalle glielo infilai delicatamente nella tasca della vestaglia.
    -Dai, ora è meglio che vai…comunque ti chiamo quando siamo a Londra.-
    -Ok! Ci conto!-
    Sull’uscio mi voltai un’ultima volta, gli feci un cenno con la mano e richiusi la porta alle mie spalle. Il mondo reale mi stava aspettando.

    -Guarda un po’ chi si rivede! Allora come è andata questa settimana?-
    -Ciao Jim! Mi chiedi come è andata? E quale vuoi che sia la mia risposta?! È andata benissimo e, lo sai, mi sarei fermata di più molto volentieri!-
    -Capito, allora anche questa volta mi toccherà ascoltarti mentre mi racconti di tutte le cose belle che ci sono qui e che tu a casa non hai.-
    -Esatto! È un rito ormai!-
    Incominciare la giornata con una bella risata fa sempre bene, soprattutto quando è l’alba e rimpiangi il posticino caldo che hai lasciato nel letto.
    Jim ascoltò tutti i miei racconti con estrema pazienza e comprensione finché non smisi di parlare.
    -Tu adesso dici così, però sono convinto che non dureresti tanto chiusa in quella villa. Non riusciresti a vivere rinchiusa in un appartamento, per quanto grande e lussuoso che sia.-
    -Infondo credo che tu abbia ragione.-
    Era vero, non avrei mai potuto fare la vita che faceva Michael, io ero uno spirito libero, mi piaceva girare le città, passeggiare per le campagne, andare in centro a fare shopping; non sarei mai riuscita a vivere “rinchiusa”. Mike lo faceva sembrare una cosa estremamente semplice, ma in realtà ci soffriva molto, tante volte aveva provato a intraprende esperienze da persona qualunque, ma in tutte le occasioni aveva dovuto rinunciare perché i fan lo assalivano. Così era sempre obbligato a riservarsi i posti, a fare chiudere lo zoo quando voleva vedere gli animali, o il centro commerciale quando aveva voglia di fare compere.
    In alcune occasioni avrebbe voluto essere solo un americano, una persona qualunque, ma infondo, non avrebbe mai rinunciato alla musica e al successo che gli avevano permesso di far sentire la sua voce, non solo cantando, e di farsi amare da un numero smisurato di persone.
    Quello era il prezzo da pagare per la fama e lui lo sapeva bene; ognuno ha i suoi problemi: lui doveva fare i conti con la sua popolarità e io stavo tornando a fare i conti con la mia vera vita.
    Arrivati in aeroporto sbrigai le prime noie e poi stetti parlare con Jim. Mi piaceva molto chiacchierare con lui, era una persona davvero comprensiva e, per deformazione professionale, era anche un ottimo ascoltatore, ma comunque non si lasciava scappare l’occasione di poter parlare.
    Mi raccontò che, nonostante la sua giovane età, prima di lavorare per Michael Jackson aveva fatto molta gavetta; era stato autista di molte star di più basso livello anche solo per una volta , ma non aveva mai incontrato una persona come Mike.
    -Non è mai arrogante e scortese, si fa sempre riguardo e spesso mi chiede delle opinioni su argomenti generali. Invece, quasi tutti i divi che ho scarrozzato in giro per l’America erano presuntuosi, ti trattavano come persone inferiori; cosa che invece Michael non fa mai. Per niente al mondo lascerei questo posto di lavoro!-
    Era bello sentire parlare così di Mike, molta gente lo vedeva solo per il cantante favoloso che era, oppure, peggio, lo considerava soltanto per quell’individuo di cui parlano i giornali: una star eccentrica e pazza; cosa più sbagliata non poteva esistere! Io lo sapevo e ogni volta che qualcuno mi rivolgeva apprezzamenti come quello precedente su Michael ero veramente contenta e sollevata. La gente doveva cercare di capirlo, di comprendere la sua vera identità e personalità, molti lo sapevano fare e questo mi risollevava parecchio.

    Era giunta l’ora; avevano chiamato il mio volo e sarei dovuta partire; destinazione Milano.
    Guardai un’ultima volta la città attraverso le vetrate della hall; le luci al neon di Los Angeles brillavano ancora nella soffusa luce mattutina dell’inverno. Fissai la città come per darle un saluto e prometterle che sarei tornata presto.
    Poi mi voltai verso Jim, lo salutai come dovuto e lo ringraziai del tempo trascorso con me a farmi compagnia; così mi diressi per l’imbarco e in poco tempo salii sull’aereo.
    Cercai il mio posto e mentre mettevo il bagaglio a mano sul ripiano sopra i sedili, mi cadde un foglio. Lo aprii, era il biglietto che Michael mi aveva scritto per il mio compleanno; rilessi più volte quella frase e incominciai a canticchiare la melodia della canzone, quanto era piacevole ricordare quelle parole! Mi aveva fatto proprio un regalo grande: ogni volta che avrei ascoltato quella canzone mi sarei ricordata di quanto mi fosse vicino.
    Nello stesso momento, Michael a casa stava ripiegando la vestaglia quando si accorse del foglietto in tasca, lo stese e mentre io cantavo lui leggeva ciò che significava per me:


    Why am I standing on a cloud
    Every time you're around
    And my sadness disappears
    Every time you are near

    You must be an angel
    I can see it in your eyes
    Full of wonder and surprise
    And just now I realize

    Oooh you're an angel
    [...]
    In disguise, I can see it in your eyes


     
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  2. Alessia26MJ
     
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    Belissimissima quesua fanfiction!!
    Continua prestooooo
    Mi piace tantissimo e tu scrivi benissimo, sei bravissimaaa :comm8jk.gif: :comm8jk.gif:
     
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  3. Francina_84
     
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    Ma che bella Marta.. !! Una storia davvero dolcissima.. Sei brava a scrivere!
     
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  4. 0marta0
     
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    grazie! :) mi fanno davvero piacere i vostri complimenti!!!!!
     
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  5. MJlover
     
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    ma che bella sorpresa! E' bellissima davvero, continui presto?
     
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  6. 0marta0
     
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    CITAZIONE
    ma che bella sorpresa! E' bellissima davvero, continui presto?

    grazie!
    credo proprio di sì...anche perchè per alcuni capitoli è già scritta...ha solo bisgono di esesre sistemata!:)
     
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  7. Alessia26MJ
     
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    Allora aspetto con ansia il continuo insieme alle altre "fan" ^.^
     
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  8. FedeDiana92
     
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    Ho letto fino a quando arrivano al ristorante...purtroppo non posso continuare perchè devo andare :(
    Comunque mi piace un sacco!!! E' troppo carina quest'idea dell'amicizia con Michael...piacerebbe anche a me *___*
    Non vedo l'ora di leggere il resto domani!! :hug:
     
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  9. Jacksonerina92
     
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    Che dolceeeee!complimenti marta!bellissima questa storia!!!!
     
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  10. Francina_84
     
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    CITAZIONE (0marta0 @ 19/1/2010, 18:28)
    CITAZIONE
    ma che bella sorpresa! E' bellissima davvero, continui presto?

    grazie!
    credo proprio di sì...anche perchè per alcuni capitoli è già scritta...ha solo bisgono di esesre sistemata!:)

    Ma dai quindi continua?? Pensavo finisse così! Bello bello! :love:
     
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  11. 0marta0
     
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    CITAZIONE
    Ma dai quindi continua?? Pensavo finisse così! Bello bello!

    eh si...in teoria ll'inizio l'avevo scritta per finirla così...poi però mi ero presa bene e ho continuato!:D
     
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  12. Effulgent;
     
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    Ho fatto bene a spronarti a postarla visto?:D
    A me piace molto questa storia,già lo sai! E aspetto con ansia il continuo...
    Brava Marta brava! :kissing:
     
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  13. 0marta0
     
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    CITAZIONE
    Ho fatto bene a spronarti a postarla visto?

    è vero! grazie!!!:kissing:
    comqunue ringrazio tutti coloro che hanno lasciato un commento! mi ha fatto davvero piacere!:)

    ecco il seguito


    Capitolo 2

    L’annuncio dell’atterraggio mi svegliò dal sonno che mi aveva assalito quasi subito dopo il decollo.
    Le vacanze non erano state proprio un relax assoluto e con il ritorno si ricominciava esattamente da dove avevo lasciato: studi, sport, piccoli mestieri in casa, ecc. Quindi avevo preso l’occasione al balzo per riposare il più possibile.
    Quel sonno sembrava più un bel sogno, un ricordo lontano della settimana passata quasi in una favola dai colori sgargianti, dipinti con la precisione e l’attenzione di una grande pittore; un sogno di quelli che quando ti svegli vorresti riaddormentarti per continuare a vivere in quel mondo creato dalla tua mente per sfuggire alla realtà. Quel sonno mi offuscava ancora la coscienza non permettendole di ritornare alla vita quotidiana. Lo stesso sonno che alla fine svanì, tormentato dai pugni che la realtà scagliava contro la porta della mente e lasciò che i miei occhi riuscissero a vedere nitidamente la strada che mi avrebbe ricondotto a casa.

    -Mamma! Papà!-
    Li vidi subito, in piedi davanti al terminal da dove stavo uscendo. Corsi loro incontro felice di rivederli.
    -Allora non ci dici come è andata?-
    -È andata benissimo! Sono stata splendidamente!-
    -Ma non avevi nostalgia di casa?-
    Mia madre era sempre solita fare queste domande, voleva sentirsi amata e per avere affetto da me bisognava un po’ cavarmelo, era questo il mio più grande difetto.
    -Mah...6 giorni non sono parecchi, però un po’ sì!- dissi sorridendo.
    Per loro era stato un duro colpo quella partenza, prima ero stata via con degli amici qualche giorno, ma mai così lontano senza di loro e vedendomi partire su un aereo per raggiungere un posto distante un oceano da casa gli causò quell’ insicurezza alla quale tutti i genitori devono fare fronte prima o poi: la partenza dei propri figli.
    Certo, sapevano che sarei tornata, ma quel mio viaggio li catapultò dentro la realtà che un giorno avrei preso la mia strada e per loro, non sapere ancora quale sarebbe stata, era un po’ frustrante.
    Arrivammo a casa tardi e anche se l’indomani avrei già dovuto ricominciare scuola, i racconti si prolungarono per gran parte della notte. Raccontai praticamente tutto: dissi della favolosa sorpresa di compleanno, delle lunghe chiacchierate con Michael, dei momenti passati con i ragazzi e, infine, gli dissi dei concerti.
    In quell’istante il volto di mia madre si ricoprì di sorpresa e di piacere; era stata lei a conoscere Michael nel 1992, quando ancora lo si poteva ammirare sui palcoscenici, quando ancora la lenta distruzione della suo essere, per mano delle persone false ed egoiste che lo avevano denunciato per atti osceni ai quali Michael non riusciva nemmeno a pensare, non aveva ancora preso atto, quando aveva ancora i boccoli neri che gli cadevano sulle spalle e quando il suo sorriso albergava spesso sulle sue labbra.
    Era settembre del 1992 e la mia mamma era da poco tornata al lavoro dopo la maternità, era caposala del reparto di pediatria dell’ospedale di Bologna, il suo primario aveva ricevuto un’offerta di lavoro in America, precisamente a Seattle, e le aveva chiesto di seguirlo.
    Dopo tanti ripensamenti e molte incertezze, i miei genitori decisero di accettare la proposta e ci trasferimmo tutti nella città del nuovo continente entro novembre. Sotto le feste quell’anno, dopo essere tornato dall’Australia dove era per il Dangerous tour, Michael Jackson era andato a fare visita ai bambini dell’ospedale mentre la mia mamma era di turno, fu così che lei conobbe il lato umano che si celava dentro la grande superstar.
    In seguito lei lo aveva aiutato a tenere i contatti con alcuni bambini dell’ospedale e per questo motivo si sentirono parecchio.
    Dopo molto chiacchierate, soprattutto di lavoro, lui incominciò a fidarsi di mia madre finché un giorno non volle conosce anche il resto della famiglia; fu in quel momento che Michael scoprì una bambina di circa un anno alla quale si affezionò moltissimo. Quella bambina ero io.
    Così Mike iniziò a frequentarci, era divento amico dei miei genitori, anche se preferiva di gran lunga farmi da baby-sitter. Aveva sempre voluto un figlio e, forse, mi usava un po’ per fare pratica.
    Io purtroppo non avevo ricordi di quel tempo, troppo piccola per riuscire a capire cosa stesse succedendo intorno a me. Infatti quando avevo tre anni i miei decisero di tornare in Italia, l’America era sinonimo di libertà, di un’occasione di successo lavorativo, ma restava comunque caotica e molto differente come stile di vita nel quale erano cresciuti i miei genitori, così decisero che per me sarebbe stato meglio vivere la mia infanzia in terra italiana.
    Si lasciarono con la promessa di rimanere sempre in contatto e così fu. Ogni anno Michael si faceva sentire e se possibile ci ospitava a Neverland per le vacanze, anche se quest’ultima era cosa rara perché la mia mamma non amava volare e non perdeva l’occasione per rimanere con i piedi a terra e nei primi anni del 2000, diviso tra figli, avvocati e tribunali non avevamo avuto praticamente occasione di vederci.
    Mike aveva sempre fatto parte della mia vita, ma solo verso i 15 anni avevo imparato a conoscere il vero Michael Jackson. Inoltre, essendosi liberato dalla maggiore parte dei suoi impegni e dalle ultime scocciature, le possibilità di incontri si erano fatte maggiori; così io ne approfittai per approfondire meglio il rapporto con quella persona che prima di allora era poco più di una voce al telefono.
    Michael si diceva “un bambino”, ma di fanciullesco ormai aveva ben poco, il suo modo di pensare, quello di agire e consigliare erano tipici di un adulto, ed infondo era giusto così, oltre a se stesso doveva badare anche ad altre tre vite e se non fosse cresciuto non ce l’avrebbe mai fatta. Bisogna riconoscerli una cosa però, era riuscito a mantenere vivo dentro di sé ciò che di più bello c’è in un bambino: lo stupore per cose nuove, l’innocenza che lo rende così adorabili, l’innata sincerità che lo accompagna sempre e la favolosa vitalità che caratterizza ogni fanciullo.

    Nei gironi successivi al mio ritorno la vita aveva ripreso frenetica e movimentata, esattamente come l’avevo lasciata: le corse per prendere il bus per andare a scuola, i pomeriggi passanti a cercare di farmi entrare qualcosa nella testa prima dei test e le sere passate davanti alla TV dopo essere tornata dagli allenamenti di pallavolo.
    Amavo quello spot, mi coinvolgeva completamente, quando giocavo era come se tutto il mondo si fermasse, c’eravamo solo e la mia squadra contro le altre; l’adrenalina saliva alle stelle e io mi sentivo viva, felice.
    Si può dire che la mia passione per quello sport equivaleva a quella di Michael per la musica, anche se io però non ero riuscita ad ottenere i risultati che incassava lui, la mia dedizione era enorme. Cercavo sempre di migliorarmi, non mi sentivo mai brava abbastanza; proprio come lui nelle sue performance, ed era esattamente così facendo che Mike riusciva sempre a superarsi: non dandosi mai per maestro, lui si sentiva sempre allievo.
    Due passioni, forse molto diverse tra loro; da una parte la squadra che deve essere tutt’ uno e dall’altra l’individuo che deve spiccare. Però, senza individuo non c’è squadra e senza squadra non c’è spettacolo.
    Così, mentre io correvo per la palestra cercando di recuperare ogni pallone sporcato, Michael rifletteva su come avrebbe affrontato questo tour.
    I ricordi di quelli precedenti, di come l’adrenalina lo governasse tutta notte senza fargli chiudere occhio, gli fecero scorrere un brivido lungo la schiena. Avrebbe dovuto riposare, dormire per essere sempre in ottima forma e lo avrebbe fatto a qualunque costo!
    Lo stress provocato dai continui impegni, dalle persone che lo cercavano in continuazione per una cosa o per l’altra, le estenuanti ore di prove prima di uno spettacolo erano immagini ancora vive dentro di lui, immagini che avrebbe volentieri cancello per sostituirle con quelle dei fan urlanti sotto il suo palco. Alcune volte ero riuscito a farlo, a cancellarle, con “l’aiuto” di medicinali era riuscito a portate a termine tour che probabilmente non sarebbe stato in grado di sostenere; ma aveva pagato care conseguenze a questo. Antidolorifici e tranquillanti gli avevano provocato assuefazione e disfarsi di quella dipendenza era stato faticoso.
    Quei ricordi gli facevano rivoltare lo stomaco, negli ultimi due anni ero riuscito a trovare un po’ di quella quiete che aveva sempre cercato, restava con i suoi figli, le apparizioni in giro per il mondo erano diminuite in maniera esponenziale e la privacy, forse per l’unica volta nella sua vita, era un po’ rispettata. Quanta fatica, quanto sudore che aveva speso per ottenere questo , non avrebbe mai voluto rinunciarci, non avrebbe mai voluto risentire su di se quelle pressioni che lo sovrastavano quando era più giovane; ed era per questi motivi che aveva scelto un solo luogo, Londra, e un numero ridotto di concerti, dieci. Ma ora non era tempo di ricordare, di far riaffiorare brutti momenti, ora dove concentrarsi sul futuro, sul suo riscatto, sul suo spettacolo.
    I pensieri gli fluttuavano leggeri, ma allo stesso tempo insistenti e prepotenti nella sua testa: come avrebbe organizzato il palco? I balli? Gli effetti?
    Molte idee le aveva già: schermi, grandi schermi, fuochi d’artificio, ballerini, entrate spettacolari e video sullo sfondo mozzafiato!
    Solo il pensiero lo esaltava, gli piaceva così tanto organizzare, preparare tutto lo spettacolo, amava soprattutto vedere come le sue idee potessero prendere forma, come l’uomo fosse capace di ideare strategie per far sembrare tutto così magico.
    Insomma, come al solito i progetti non mancavano, ora bisognava soltanto renderle possibili.
    Iniziò subito a contattare tecnici, esperti audio, pirotecnici, e anche medici che avrebbero dovuto mantenerlo in buona salute e in perfetta forma per poter affrontare al meglio gli spettacoli.
    Voleva allestire uno show incedibile, qualcosa che il mondo avrebbe sempre ricordato come il miglior addio alle scene di una star e per realizzare questo serviva tanta volontà da parte sua, ma anche tante persone specializzate.
    Michael non conosceva proprio il significato di “fare le cose in piccolo”, o “essenzialità” e non aveva intenzione di scoprile proprio ora. Avrebbe dovuto fare soltanto 10 concerti e li avrebbe tenuti al meglio, dando il 110% per salutare come si deve il suo pubblico.
    Così, in quei giorni si mise sotto con il lavoro; doveva anche pensare al discorso di annuncio che avrebbe fatto a Londra, ormai era imminente e il tempo si riduceva inesorabilmente.
    “This is it…sì, dovrà ruotare tutto attorno a questa frase…this is it…this is it…”
     
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  14. AndagoJJ
     
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    Che bellino questo racconto!! Bravissima!! Ora sono curiosa di vedere come continua... :ok:
    :kissing: :kissing:
     
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  15. MJlover
     
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    “This is it…sì, dovrà ruotare tutto attorno a questa frase…this is it…this is it…”


    Si, tutto ruota intorno a queste tre parole.
    Dolce Marta, sono proprio curiosa di sapere che strada percorrerà questa tenera amicizia. :kissing:
     
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35 replies since 18/1/2010, 16:40   763 views
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