[LIBRO] Michael Jackson. La musica, il messaggio, l'eredità artistica

di Gabriele Antonucci

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    [LIBRO] Michael Jackson. La musica, il messaggio, l'eredità artistica


    di Gabriele Antonucci
    Michael Jackson, 750 milioni di dischi venduti, è stato uno dei più grandi performer di tutti i tempi, l'unico in grado di eccellere nel canto come nel ballo. Ha lasciato un'impronta indelebile nella cultura popolare degli ultimi quarant'anni, percorrendo nuove strade artistiche, trasformando i video in veri e propri film, innalzando il pop a forma d'arte.

    Divulgativo e al tempo stesso rigoroso, il libro offre un'ampia visione dell'artista e dell'uomo, chiarendone gli controversi, analizzando la sua discografia, raccontando aneddoti poco conosciuti e i suoi rapporti con altri big della musica, mettendo in evidenza il genio artistico e il messaggio delle sue canzoni. Sono passati 10 anni da quel tragico 25 giugno 2009, quando il mondo si è fermato per piangere l'improvvisa scomparsa del Re del Pop, ancora oggi detentore del record dell'album più venduto di sempre, Thriller.

    FONTE: IBS IT
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    "Michael Jackson: la musica, il messaggio, l’eredità artistica", presentazione del libro di Gabriele Antonucci con performance live

    Lunedì 24 giugno 2019, alle ore 18.00, la Libreria Hoepli celebra il Re del Pop in occasione dei 10 anni dalla sua scomparsa con uno spettacolo di musica dal vivo per la presentazione del libro Michael Jackson: la musica, il messaggio, l’eredità artistica di Gabriele Antonucci. Insieme all'autore Gabriele Antonucci interviene Ezio Guaitamacchi, con performance artistica del duo Ginger Bender.

    Michael Jackson è forse il cantante più famoso degli ultimi cinquant’anni, ma paradossalmente anche uno dei più fraintesi. Jackson è uno dei pochi bambini prodigio che ha avuto ancora più successo da adulto, passando dai trionfi dei Jackson Five alla maturazione artistica con i The Jacksons, fino ai record della carriera solista, culminata con 'Thriller', l’album più venduto della storia.

    Michael Jackson è stato il più grande performer di sempre, l’unico in grado di eccellere nel canto come nel ballo. Ha lasciato un’impronta indelebile nella cultura popolare degli ultimi quarant’anni, percorrendo strade che nessuno aveva intrapreso, trasformando i video in film e innalzando il pop a forma d’arte. I suoi passi vengono insegnati nelle scuole di danza moderna, i suoi album vendono ancora milioni di copie e ogni anno il numero dei fan cresce in modo esponenziale. Basta vedere un calzino bianco, un cappello Fedora nero e un guanto di strass per associarli ai suoi passi di danza.

    Divulgativo e insieme rigoroso, "Michael Jackson: la musica, il messaggio, l’eredità artistica" offre una visione articolata dell’artista e dell’uomo, chiarendo gli aspetti controversi, analizzando la discografia, raccontando aneddoti poco conosciuti e i rapporti con altri big della canzone come, ad esempio, Madonna, Prince e Paul McCartney.
    A dieci anni da quel tragico 25 giugno 2009, quando il mondo si è fermato per piangere l’improvvisa scomparsa del Re del Pop, questo libro è un tributo a un genio della musica, del ballo e dello spettacolo.


    Gabriele Antonucci, giornalista e critico musicale, scrive su Panorama.it e ha collaborato con Icon, Classic Rock, Flair, Outsider, Extraurban, Interni e Il Tempo. Ha intervistato e recensito, in quindici anni di giornalismo, i più importanti artisti italiani e internazionali.
    Giurato in prestigiosi premi musicali, tra cui le Targhe Tenco e il Top Jazz, ha scritto nel 2016 Aretha Franklin: la Regina del Soul, prima e unica biografia italiana sulla leggendaria cantante americana.
    Grande esperto di black music, di pop di qualità, di jazz e di bossa nova, spende cifre cospicue nei mediastore e adora andare ai concerti (ne ha visti più di 1000) anche se è il suo mestiere. Non sopporta la maleducazione, le apericene e il reggaeton.

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    Gabriele Antonucci, Bruce Sudano… e Michael Jackson a Parolario 2019



    C’è Bruce Sudano stasera a Parolario e se per gli intenditori non c’è bisogno di aggiungere niente, a tutti gli altri basti sapere che è autore di molti testi di gente tipo Dolly Parton, Reba McEntire, Donna Summer (di cui è stato anche marito), nonché, guarda caso, di Michael Jackson.

    Eh sì, perché proprio il cantante afroamericano è il protagonista del bel libro scritto con Gabriele Antonucci, per Hoepli: Michael Jackson. La musica, il messaggio, l’eredità artistica è un racconto di relazioni con gli altri artisti di quei decenni – Madonna, Prince, Paul McCartney… -, di aneddoti semisconosciuti, di emozioni, il cui scopo principale è mostrare il complicato e profondo messaggio, spesso trascurato, che sta alla base delle canzoni di Jackson, al di là del loro strabiliante successo commerciale.

    Forse il cantante più famoso degli ultimi cinquant’anni, ma anche uno dei più discussi e meno compresi. Uno dei pochi bambini prodigio a diventare una celebrità da adulto. Divulgativo e insieme rigoroso, Michael Jackson. La musica, il messaggio, l’eredità artistica esce a dieci anni dalla scomparsa del poliedrico e sempre innovativo artista, indubbiamente il Re del Pop.

    Alessio Brunialti introduce i due autori, sperando di carpire anche il segreto di come siano riusciti a raccogliere tutto questo materiale, scovando cose che ancora non erano state dette, elementi che ancora non erano stati analizzati. Un lavoro che evidentemente è durato anni da parte di Gabriele Antonucci, giornalista e critico musicale, -anche se laureato in Giurisprudenza -, amante della musica, soprattutto per quella black, ha scritto articoli e recensioni per i maggiori quotidiani e praticamente per tutte le riviste di musica.

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    Michael Jackson, la verità sullo schiarimento della pelle

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    Il testo è tratto da “Michael Jackson – La musica, il messaggio, l’eredità artistica”, scritto da Gabriele Antonucci e pubblicato da Hoepli

    GettyImages-708619

    Michael Jackson si esibisce durante "American Bandstands 50th...A Celebration", show televisivo del 2002
    Foto Vince Bucci/Getty Images



    Michael Jackson è uno degli artisti più famosi di sempre, ma anche uno dei più fraintesi, soprattutto per quanto riguarda alcuni aspetti della sua vita personale sui quali, per anni, è stata alimentata una cattiva informazione. Molti pensano ancora oggi, a dieci anni dalla morte, che il cantante si sia schiarito la pelle per un vezzo estetico o, peggio ancora, per rinnegare le origini afroamericane di cui andava fiero, ma non è affatto così. In realtà soffriva di vitiligine e di lupus eritematoso sistemico, due malattie della pelle autoimmuni, come conferma anche l’autopsia effettuata il 26 giugno del 2009, il giorno dopo la sua morte.

    La vitiligine è una malattia cutanea caratterizzata da estese macchie bianche che porta a una progressiva depigmentazione della cute, ovvero a uno schiarimento irregolare della pelle, di cui ancora non si conosce la causa e per la quale non esiste una cura. L’evoluzione delle macchie è imprevedibile: possono progredire rapidamente, in modo lento o, in alcuni casi più rari, addirittura scomparire spontaneamente.

    Per attenuare le differenze di colore, si possono utilizzare cosmetici coprenti, creme autoabbronzanti o ricorrere a complessi interventi di depigmentazione, eliminando così l’antiestetica disomogeneità. La vitiligine portò Michael a perdere la pigmentazione in quasi tutte le aree del corpo, lasciando la sua pelle traslucida più che bianca. Il guanto, le maniche lunghe anche d’estate, il cappello e la mascherina servivano a coprire queste macchie antiestetiche, che gli provocavano un forte imbarazzo in pubblico.

    Per anni la sua truccatrice e fidata amica Karen Faye, che lo seguiva come un’ombra, ha coperto la vitiligine con un pesante trucco. Nei primi anni dell’insorgenza della malattia, Karen scuriva le macchie bianche, ma, quando la vitiligine si diffuse in quasi tutto il corpo, iniziò a schiarire le poche zone rimaste scure, in modo da mostrare un colorito uniforme.
    Solo allora il cantante si sottopose a trattamenti di schiarimento della pelle per mano di Arnold Klein, il dermatologo dei VIP, che riuscì, attraverso complessi trattamenti, a uniformare il colore dell’epidermide.

    Michael non è stato il primo uomo di spettacolo a trasformarsi gradualmente da nero a bianco. Nel 1978 la rivista Ebony pubblicò un racconto, dal titolo L’uomo che diventò bianco, sul ballerino Arthur Wright, che ebbe lo stesso problema di Jackson.
    Il lupus eritematoso sistemico, la malattia cutanea di cui soffriva il Re del Pop, provoca forti eruzioni cutanee sul viso e sul naso, lesioni delle pelle, perdita dei capelli e infiammazione dei polmoni.
    Lesioni che, col tempo, tendono a schiarirsi e a lasciare cicatrici permanenti, come quelle sul viso della popstar inglese Seal.

    Il dottor Strick, che effettuò una visita specialistica al cantante nel 1993 su richiesta del procuratore Tom Sneddon, confermò che “il lupus aveva distrutto parte della sua pelle, in particolare del naso” e che i numerosi interventi di chirurgia a cui si era sottoposto erano per lo più “di tipo ricostruttivo, per nascondere le cicatrici del lupus”. Michael tenne tutto questo per sé, senza renderlo pubblico, in quanto lo riteneva imbarazzante e traumatico.

    Soltanto all’inizio degli anni Novanta, durante la famosa intervista con Oprah Winfrey, parlò per la prima volta dei suoi problemi cutanei. Il cantante, inoltre, non ha mai modificato chirurgicamente il contorno degli occhi, né assottigliato le labbra o rifatto gli zigomi, limitandosi, per scelta estetica, alla sola fossetta sul mento.
     
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    Di giornalisti imparziali e dediti alla verità ce ne sono pochi, troppo pochi. Di racconta storie, viceversa, ce ne sono tanti, tantissimi. Sono in pochi coloro che preferiscono ascoltare o approfondire più di una versione della storia. Sono troppi coloro che scelgono di guardare senza vedere – per meglio dire – credere senza riserve a tutto ciò che gli viene raccontato.
     
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    “Michael Jackson. La musica, il messaggio, l’eredità artistica”.

    Tutto questo è raccolto nel volume del giornalista e scrittore Gabriele Antonucci che con maestria e consapevolezza ripercorre le tappe della vita, partendo dall’infanzia, del tanto amato Michael, il bambino prodigio.


    1)Chiediamo al nostro esperto come è stato ripercorrere le tappe di questo lungo cammino della vita di una stella del pop, forse LA stella del pop, un cammino così controverso

    “Un’esperienza bella, faticosa e in alcuni punti perfino emozionante, visto che seguo il Re del Pop dal lontano 1987, cioè da quando è uscito “Bad”. C’è stato un grande lavoro di ricerca, attraverso libri, articoli e documentari che sono stati pubblicati negli anni su Michael Jackson.

    Ho letto migliaia di pagine e visto ore e ore di filmati, in relativamente poco tempo: una vera e propria full immersion! Una delle cose più difficili del libro è stata quella di cercare di fornire tante informazioni in relativamente poche pagine (circa 170) e che fosse facilmente fruibile da tutti.

    Esistevano già tanti libri su MJ, ma due aspetti che secondo me erano poco approfonditi da altri libri, spesso troppo prolissi e “impegnativi” in termini di pagine, erano proprio quelli musicali e quelli del messaggio insito nella sua musica (pensa all’attualità, nel 2018, di “Black or white” o di “Earth Song”), in luogo di una narrazione troppo spesso legata agli aspetti scandalistici, processuali e di gossip”.


    2) Michael Jackson. La musica, il messaggio, l’eredità artistica racconta sul finale della fase Leaving Neverland. Chi ti segue o legge i tuoi articoli su Panorama.it sa che hai ampiamente trattato dell’argomento. Ma potresti raccontarci qualche chicca al riguardo? Fu un caso mediatico davvero controverso.

    “Più che un documentario, come è stato spacciato dalla HBO che l’ha prodotto, è stata un’operazione deliberata di distruzione dell’immagine di Michael Jackson, guarda caso uscita proprio nel decennale della sua morte.
    Un documentario sui generis a partire dalla sua singolare struttura, basata solo ed esclusivamente sui racconti di due protagonisti (le cui richieste economiche sono state già rigettate nel 2017 da due diversi collegi giudicanti per mancanza di prove) e dei loro stretti familiari, senza prove, né voci esterne a quelle degli accusatori.

    Le interviste sono utilizzate per dimostrare la tesi del regista Dan Reed, che crede fermamente, senza però mai fornire la cosiddetta “prova madre”, che Michael Jackson fosse un pericoloso pedofilo. In un mio lungo articolo ho spiegato tutti i motivi logici, psicologici e giuridici per cui ritengo che Leaving Neverland non possa essere ritenuto un documentario credibile.

    Mi limito qui a un solo episodio, ma piuttosto emblematico. James Safechuck, uno dei due protagonisti del film, dichiara di essere stato abusato più volte dal 1988 al 1992 (un periodo in cui Jackson aveva pubblicato due album, due libri e intrapreso due tour mondiali) in una stanza sopra la stazione ferroviaria a Neverland. In realtà i permessi per la costruzione della stazione furono concessi solo il 2 settembre 1993 e i lavori terminarono agli inizi del 1994. Quindi, fino al 1994 non c’era alcuna stazione ferroviaria a Neverland.
    Ora, come si possa ritenere credibile la testimonianza di una persona che sostiene di essere stata violentata in un luogo che allora nemmeno esisteva, io davvero non lo so.

    I recenti controdocumentari Michael Jackson: Chase The Truth, Neverland Firsthand: Investigating The Michael Jackson Documentary e Lies of Leaving Neverland hanno dimostrato in modo inequivocabile, attraverso una minuziosa opera di debunking, come Leaving Neverland abbia così tante falle e imprecisioni da non poter essere ritenuto un documentario”.


    3) Un’infanzia negata. Così si intitola uno dei primi capitoli del tuo libro. Potresti spiegarci il perché, se poi per l’appunto verrà fuori il bambino prodigio? Che passaggio ha dovuto subire Michael?

    “L’infanzia negata perché Michael ha dovuto lavorare come cantante e performer fin da quando aveva cinque anni, ogni giorno. La mattina il padre-manager Joseph mostrava ai figli i passi e le coreografie che aveva imparato la sera precedente nei locali di Gary e di Chicago, mentre le prove vere e proprie prendevano il via alle tre del pomeriggio, dopo che i figli erano tornati da scuola, e proseguivano fino a tarda sera.
    Chi sbagliava un passo o una nota, veniva picchiato violentemente o addirittura spinto al muro o per terra.

    Oltre ad essere l’artista più dotato, Michael era anche l’unico del gruppo che si ribellava a quei soprusi, ottenendo in cambio ancora più lividi. Joseph era un pessimo padre, che pretendeva di essere chiamato per nome dai figli quasi a marcare il suo ruolo di manager, ma è innegabile che, senza quella ferrea disciplina, forse oggi non sapremmo nulla dei Jackson Five, dei Jacksons e del Re del Pop.

    “Tutti noi siamo il prodotto della nostra infanzia”, ha detto una volta in un celebre discorso ad Oxford. “Io sono il prodotto della mia mancata infanzia. Se non si ha il ricordo di essere stati amati, si è condannati a cercare sempre qualcosa per riempire questo vuoto”.

    Jackson ha cercato di recuperare la sua infanzia a Neverland, un luogo che ha regalato attimi di gioia e di divertimento a centinaia di bambini e alle loro famiglie, prestando il fianco alle critiche di chi considerava sconveniente un adulto che giocava a cuscinate e a gavettoni con dei minorenni. Di fatto, quella mancata infanzia ha segnato negativamente tutta la sua vita”.


    4) Nel tuo capitolo “Thriller”, c’è una meravigliosa foto con Freddie. Pochi sanno che Michael e Freddie si sono conosciuti negli anni ’80. I Queen appena usciti da 'Hot Space'. Un album chiaramente ispirato alle sonorità di 'Thriller', dello stesso anno.
    Uscirono diversi brani da questa collaborazione, tra cui 'Victory', di cui non si hanno tracce e quelli di cui abbiamo nota sono 'State Of Shock' e 'There Must Be More to Life the This'. Le etichette però imposero di cantare 'State of Shock' con Mick Jagger. A noi resta una dolcissima 'There must be more to life than this'….


    “Già: un duetto da sogno tra due numeri uno, di cui resta, purtroppo, soltanto “There Must Be More To Life”, originariamente cantata dal solo frontman dei Queen nel suo album “Mr. Bad Guy”.
    In realtà il mix di William Orbit pubblicato per la prima volta il 7 Novembre 2014 nella raccolta “Queen Forever“, iperprodotto e artificioso, è assai diverso da quello minimale ed emozionante che circola nel mercato sotterraneo dei bootleg.

    L’energica “State Of Shock” è stata incisa da Michael insieme a Mick Jagger per l’album “Victory” dei Jacksons, ufficialmente solo per un problema logistico, in quanto Mercury si trovava a Monaco in quei giorni. In realtà sembra che la Epic preferisse un duetto con Jagger, più appetibile dal punto di vista commerciale. In questo modo Michael avrebbe duettato sia con uno dei Beatles (McCartney) che con uno dei Rolling Stones”.

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    È un libro bellissimo, molto curato nei dettagli e ricco di foto, davvero un'opera che vi consiglio
     
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6 replies since 28/5/2019, 22:38   470 views
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