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  1. Triccheballacche2
     
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    Sette
    Pensieri e opinioni

    Lo guardavo di sottecchi seduto sul mio divano a sfogliare il mio libro preferito mentre io cercavo di ricordare la ricetta del dolce e dentro di me risuonavano mille e più interrogativi. Star o uomo, fatto o non fatto, innocente o colpevole? E soprattutto cosa lo aveva spinto fino a casa mia, la casa di una sconosciuta che, a saper suo, poteva anche solo volergli fare del male? Non avevo una risposta nemmeno a una delle mie domande eppure, guardandolo, il solo istinto che avevo era quello di proteggerlo. Si, avete capito bene, proteggerlo. Non perché non ne avesse già abbastanza di protezione, ma piuttosto perché i suoi occhi mi sembravano persi in mille pensieri e ancor più angosce e quando si alzavano verso il mio viso sembravano urlare dalla rabbia, un grido silenzioso, messo a tacere ancor prima che avesse avuto la possibilità di dire a tutti di non credere alla moltitudine di cattiverie messe in giro sul suo conto solo per accaparrarsi del vile denaro. Credo che fu in quel preciso momento che emisi la mia personalissima sentenza: manipolato, ferito, lacerato, innocente.

    "Il Piccolo Principe fini sulla terra, nel bel mezzo del deserto.
    -Dove sono gli uomini?- disse il Piccolo Principe -Si è un po' soli nel deserto-
    -Si è soli anche con gli uomini- rispose il serpente"


    Con la mente impegnata nei miei pensieri non capii subito che stava leggendo a voce alta il mio libro.

    "Come scusa?"
    "C'è scritto qui. Mamma quanto è vero."
    "Già, siamo soli anche con noi stessi. Le altre persone non fanno altro che accentuare la nostra solitudine."
    "E tu perché ti senti sola?"
    "Perché non so in quali altri modi ci si possa sentire."


    Abbozzai un sorriso autoironico nel tentativo di stemperare un po' la situazione e, alla meno peggio, ci riuscii. Lui si alzò dal mio divano il cui arancione era nascosto da un telo blu, e mi venne accanto interessato al pasticcio che stavo combinando tra Philadelfia, panna e marmellata.

    "Perché?"
    "Perché cosa Michael?"
    "Perché mi hai invitato qui?"


    Merda. Non credo avrebbe apprezzato la sincerità della risposta -Perché devo conoscerti e acquistare la tua fiducia per vedere se sei intossicato dalla moltitudine di medicinali che prendi oppure no.-

    "E tu perché sei venuto?"
    "Non rigirare a me la domanda. Tu.. Tu nemmeno mi conosci, in questo momento tutti i giornali e le televisioni internazionali mi stanno dipingendo come un mostro e tu mi inviti a casa tua per mangiare una fetta di torta? Cosa vuoi da me esattamente?"


    Ecco qual era il suo problema, sospettava di me. In un mondo in cui tutti ti accusano, non si vedono persone capaci di esserti amiche senza volere niente in cambio. Sospettava di me e io non lo volevo. Era l'ultima cosa che avrei voluto. E non perché tutto questo sarebbe stato d'ostacolo a ciò che dovevo -e a quel punto volevo- fare per lui, ma perché non volevo essere l'ennesima persona a ferirlo. Ancora oggi non so spiegarmi il perché, ma in quel momento la sua totale mancanza di fiducia nei miei confronti era come una bomba che mi scoppiava in petto. Mi sentivo colpita, offesa e delusa. Tutte le mie emozioni risalirono velocemente fino alla gola in un turbinio incontrollabile e senza senso. Quando alzai lo sguardo all'altezza del suo, vidi che mi guardava con aria perplessa e probabilmente si stava chiedendo perché i miei pugni si erano stretti sui fianchi e i miei occhi si stavano riempiendo di un liquido trasparente e salato.

    "Tu stai per piangere?"
    "No."
    "Invece si."
    "E invece no."
    "Bene, ho capito. Dopo averti dato della matta adesso ti ho anche dato dell'insensibile e ti ho fatto soffrire. Sono proprio imperdonabile. Pretendo troppo se ti chiedo di avere una terza possibilità?"
    "E' la seconda volta che ci vediamo ed è la seconda volta che mi chiedi scusa. O sei tu che sei terribilmente maleducato o sono io che sono estremamente permalosa."
    "Ci sarebbe una seconda opzione."
    "Quale?"
    "O io sono terribilmente schietto e sincero o tu estremamente sensibile."
    "Volendo potrebbe essere anche che tu sei terribilmente schietto e sincero e io estremamente permalosa."


    Ci guardammo negli occhi per un momento che sembrava interminabile e poi scoppiammo a ridere scaricando tutta la tensione degli attimi precedenti. Dio, com'era dolce quando rideva. La sua risata risuonava nella mia cucina sempre austera e silenziosa, silenzio interrotto solo di tanto in tanto da un po' di musica jazz che partiva dal mio juke-box sudato e comprato con i risparmi di una vita.

    So che vorreste sapere altro di quel nostro primo, interminabile pomeriggio insieme, ma che altro potrei dirvi che già non immaginate?
    Vi deluderei fidatevi, immagino già le vostre facce prese dall'impazienza di leggere di un primo bacio romantico dato sul calare della sera davanti casa, o di un tenero abbraccio che porta sempre, inevitabilmente, verso scie molto meno tenere e verso la camera da letto.
    Ebbene no, non ci furono baci romantici o abbracci sdolcinati, non sono il tipo e per quanto ne possiate dubitare, non lo è nemmeno Michael. Non sulle prime almeno.
    Quel pomeriggio parlammo. Parlammo tanto. Mi ero dimenticata di tutti i miei dubbi, mi ero dimenticata persino con chi stavo parlando, lui non mi sembrava la star egocentrica che tutti dipingevano, mi sembrava semplicemente un vecchio amico, un amico con il quale potersi aprire senza aver paura di giudizi e incomprensioni. Era un po' come il mio vecchio Conny ai tempi degli allenamenti in terra inglese.
    Non gli raccontai niente di me e del mio passato, contrariamente a quanto mi accadeva con le altre persone, non monopolizzai la conversazione, ma stetti in silenzio ad ascoltare le sue storie, a sentire ciò che lui aveva da dire. Non mi ero mai resa conto di quanto fosse bello ascoltare. E non mi ero mai resa conto di quanto Michael Jackson potesse essere divertente e assurdo allo stesso tempo. I suoi racconti a volte sfioravano talmente tanto il ridicolo che mi veniva spontaneo chiedermi se dicesse la verità o se stesse inventando delle bufale enormi solo per farmi sorridere.
    Eravamo seduti sul tappeto a gambe incrociate, uno di fronte all'altra, con in mezzo la torta tagliata a spicchi alla quale tiravamo dei morsi di tanto in tanto quando lui si alzò, andò verso il cappotto e tirò fuori dalla tasca un piccola macchinetta fotografica digitale.

    "Non pensare di puntare quell'aggeggio contro di me!"
    "Perché no? E' un ricordo di questa bella giornata! Non vuoi un ricordo di questo pomeriggio?"


    Eccolo là. Il bambino al quale viene negato il dolcetto. Ci mancava solo che facesse il labbrino e poi eravamo a posto. Come spiegargli senza offenderlo che io odiavo le fotografie e tutto ciò che ritraggono?

    "Non ho bisogno di una fotografia per ricordarmi di oggi."

    Ecco, ero stata diplomatica e soft. Tono educato e nonchalance. Non si sarebbe offeso.

    "Io si. E poi potrebbe prendermi la voglia di rivederti, almeno ho la foto."
    "Se è per questo hai anche il mio numero di telefono."
    "Non ti dispiacerebbe se ti chiamassi di tanto in tanto?"
    "Mi dispiacerebbe se tu non lo facessi."


    Si, lo so, mi merito una tirata di orecchie per la frase scontata e banale, ma in quel momento fu la prima cosa che mi venne in mente.
    E voi al posto mio avreste avuto il coraggio e la forza di dirgli di no?
     
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  2. AndagoJJ
     
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    Ci mancava solo che facesse il labbrino..=MUCCIAAAAA :sbav: :bono: ..
    Mi vedevo lì sul tappeto..davanti a lui..aaarrrggghhh
     
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  3. 0marta0
     
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    sisi...ad ogni capitolo mi piace sempre di più! è ufficiale!!!!
    sei davvero bravissima scrivere! descrivi benissimo le situazioni...mi sembrava di viverle!!!
     
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  4. Jacksonerina92
     
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    Me gustaaaaaaa!!!!!!!!
    Mike con il labbrino!!!!Dolceee!!!!
    Mi piace!Continua cosi sei grande!
     
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  5. Francina_84
     
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    Ma WOW!!! Manco un weekend e mi ritrovo ben 2 capitoli da leggere.. Stupendo!!

    PS: adoro questa storia, così come la cheescake... e il Piccolo Principe è il mio libro preferito... :)
     
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  6. Triccheballacche2
     
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    Otto
    Dolce consapevolezza

    Avevo appena finito il solito allenamento del martedì sera, erano le 22.30 passate ed ero veramente molto molto stanca. Stavo per infilarmi sotto la meritata e anelata doccia, quando mi venne in mente di dare una sbirciata al cellulare, tante le volte mi avesse cercato qualcuno. Trovai due chiamate perse e un messaggino. Strano, non mi cercava mai nessuno, specialmente quando sapevano che avevo gli allenamenti.
    Entrambe le chiamate provenivano dallo stesso numero sconosciuto che non avevo salvato nella rubrica, una alle 21.22 e l'altra alle 21.31. Chi cavolo poteva essere? Presa dalla curiosità e cercando di ricordare se avevo già sentito quel numero in altre occasioni, mi infilai sotto l'acqua bollente che scacciava sempre via stanchezza e preoccupazioni, dimenticandomi che nel mio cellulare era presente anche un messaggio. Quando lo lessi erano passate oltre due ore e io me ne stavo al calduccio dentro il mio pigiama oversize sotto le coperte.

    <scusami, non avrei voluto disturbarti, ma mi era presa voglia di sentirti. Meno male che ho scattato quella foto. Ad ogni modo questo è il mio numero, non temere di usarlo.
    Michael.>


    La paura o il timore non erano esattamente il tipo di sentimenti che sentivo salirmi a ondate mentre annotavo il numero del mittente su un foglietto di carta, per poi comporlo subito dopo sulla tastiera del telefonino e premere la magica cornetta verde.

    -Pronto?-
    Merda merda merda. Era quasi l'una di notte e io avevo appena chiamato Michael Jackson al suo numero di cellulare e con tutta probabilità lo avevo anche svegliato vista la voce.

    -Ti.. Ti ho svegliato?-
    -Light? Sei tu?-

    Chissà perché ma il soprannome del mio soprannome detto da lui non era così tremendo.

    -Già, proprio così.-
    -Sei in collera con me? Scusami, io non volevo sembrarti troppo assillante, lo so che ci siamo visti solo pochi giorni fa, ma volevo solo fare due chiacchiere e..-
    -Michael Jackson, tu ti stai scusando con me per la terza volta?-
    -Beh, pare proprio che sia così.-
    -Oh, ma stavolta non devi. Non avevo il telefono dietro, è per questo che non ho risposto, non certo perché mi disturbavi.-
    -Non mi dire bugie. Nemmeno se sono a fin di bene. Non sono un bambino io.-
    -Certo che no Michael, cosa ti fa pensare che io...-


    Mi zittii. Non avevo bisogno di ulteriori domande o di risposte paranoiche e senza senso per capire. Avevo appena sbattuto la faccia contro l'alto e inespugnabile muro della verità, stavo per fare i conti con il compito per cui ero stata chiamata in causa e per il quale mi era stato permesso di conoscere Jackson. Di conoscere.. Michael.
    Non l'avete capito? Volete veramente che sia nuda e cruda? Perché è così che ve lo dirò, non vi addolcirò la pillola, perché certe cose della vita non sono affatto dolci. Tutt'altro.
    Michael Jackson in quel momento, mentre stava aspettando che io continuassi il mio discorso attaccato al lato opposto della cornetta, era fatto. Fatto di medicinali, tranquillanti, sonniferi, psicofarmaci. Tutta roba che lo avrebbero "aiutato" a chiudere gli occhi senza avere gli incubi, a dormire senza svegliarsi tra il sudore e le sue stesse urla di terrore. Era fatto della cattiveria degli uomini meschini e vili, di coloro che venderebbero l'anima al diavolo pur di ottenere qualcosa, ma -e di questo ne sono sicura- nemmeno il diavolo vorrebbe quelle anime, tanto sporche e macchiate delle peggiori infamie.
    Non ricordavo com'era sentire una persona alla quale vuoi bene in quelle condizioni e la cosa mi fece soffrire più di quanto avessi potuto anche solo immaginare.
    E per i maliziosi ai quali non sarà certamente sfuggito l'inizio della mia frase.. Si, per quanto fosse difficile da ammettere e da credere, gli volevo un po' di bene.

    -Pronto? Sei ancora lì?-
    -Si si Michael, ci sono. Senti, vuoi che passi a trovarti?-
    -No, no. Vediamoci domani. Vengo io a casa tua.-

    E mise giù.

    Quella notte non chiusi occhio. Non mi concessi il diritto di dormire nemmeno per un paio d'ore. Mi informai, lessi tanto, passai quasi tutta la notte su internet alla ricerca di notizie, delucidazioni e informazioni sulla farmacodipendenza e scoprii che in realtà Michael non era affatto farmacodipendente, ma era un tossicodipendente. Vi chiederete giustamente qual è la differenza, ebbene ve la spiego subito. Un farmacodipendente è colui che instaura un rapporto di benessere con un farmaco senza che tale rapporto sia fonte di pericolo per se stesso o per la società ed un tossicodipendente è colui che per il suo benessere dipende dall'uso, anzi dall'abuso, di una sostanza chimica. Oh beh, non voglio essere una maestrina e nemmeno fare la saccente, ma è necessario cogliere la differenza tra le due cose, per riuscire a capire, seppure in minima parte, come si sentisse Michael in quei momenti e fino dove lo aveva condotto la cattiveria delle persone. Sulla base degli studi fatti quella notte, arrivai alla conclusione che la sua situazione non fosse ancora così grave e che ci potessero essere buone probabilità di recuperarlo, ma in fondo erano solo supposizioni, io non avevo Michael sott'occhio 24 ore su 24 e non sapevo quanto fosse infognato in realtà, di conseguenza le mie conclusioni potevano essere giuste come no. Avevo bisogno, un estremo bisogno di stare più tempo con lui.

    ***



    "Scusami per ieri sera, ti sarò sembrato un vero arrogante."

    Ecco di nuovo quell'uomo dagli occhi incantatori e dalle labbra carnose seduto a gambe incrociate sul mio tappeto a scusarsi per l'ennesima volta. Ormai avevo quasi perso il conto di quante volte avevo già vissuto quella stessa scena.
    Quel pomeriggio, contrariamente alle previsioni del giorno precedente, il tempo era splendido, il sole illuminava il mio mini appartamento attraverso le grandi vetrate e i muri bianchi rendevano ancora più luminoso il piccolo salottino. Michael accarezzato dalla luce del sole era stranamente più bello, i suoi capelli scuri scintillavano tra varie sfumature di nero e la carnagione così chiara sembrava brillare. Era davvero un bell'uomo.
    Mi sentivo strana, diversa. Improvvisamente consapevole di volerlo aiutare, nonostante non conoscessi ancora l'entità del suo problema. Ormai il tirarlo fuori dai guai non era più solamente il compito affidatomi da Conny e Conny non era più la sola motivazione per cui volevo farlo. Volevo farlo per Michael. Perché in quelle poche volte che ci eravamo visti o sentiti, mi aveva fatto capire che nessuna persone è tanto ripugnante da non meritare una possibilità, mi aveva insegnato che aiutare una persona è bello, che dare, il più delle volte, è meglio che ricevere. Potrò sembrarvi pazza e me ne assumerò le conseguenze, ma è questo che si percepisce standogli accanto, si percepisce l'immenso mondo che ha dentro di sè, come se il suo cuore e la sua anima fossero pronte ad esplodere fuori dal corpo da un momento all'altro, da tanto che sono grandi, troppo grandi per essere contenute tra la misera e banalissima carne umana. Cuore e anima degne di un angelo, questo sono.
    Non lo sto santificando, sia chiaro, Michael ha eccome i suoi bei difetti, ma quel cuore e quell'anima... Beh, io non li ho mai trovati da nessun'altra parte.

    "Beh, perché adesso mi fissi?"
    "Michael, tu.. Tu sei mai stato innamorato?"


    Non so perché gli feci questa domanda, ma sentivo l'irrefrenabile bisogno di saperlo. Egoisticamente avevo bisogno di avere la consapevolezza che anche lui fosse una persona come tutte le altre, con sentimenti buoni e meno buoni, con pene e fardelli da portare sulle spalle, ma anche con ricordi piacevoli che lo facevano sorridere e gli alleggerivano la vita. Egoisticamente e inconsciamente avevo bisogno di sapere che quello che provavo io dentro, non era una cosa totalmente sbagliata e senza senso.
    Sorrise.

    "Non basta amare qualcuno. Bisogna amare con coraggio. Bisogna amare in modo tale che nulla, né ladri, né influenze esterne..."
    "Né leggi umane o divine, possano interferire con questo sentimento."
    "La conosci?"
    "Si, è anche la mia poesia preferita."


    Che strano, incredibile, magico destino.
    Quanto tempo può passare prima che due persone si accorgano di essere fatte l'una per l'altra?
    Se l'autunno viene, può la primavere essere lontana?
     
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  7. Francina_84
     
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    Ormai ogni volta che vedo la notifica e-mail dei nuovi capitoli leggo tutto di un fiato! Anche questo non si smentisce, davvero stupendo..

    "Non basta amare qualcuno. Bisogna amare con coraggio."
    Condivido al 100%. :love:
     
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  8. Triccheballacche2
     
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    Grazie Francy, sei dolcissima! :love:
     
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  9. 0marta0
     
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    sai cosa ti dico,...che è inutile che io provi sempre a fare un commento intelligente perchè ogni volta rimango sempre senza parole...quindi non ci proverò più!
    ... :clapping: :ok:
     
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  10. Triccheballacche2
     
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    Nove
    Mente

    Mi concedete una domanda?
    Cos'è per voi l'amore?
    Non mi sono mai innamorata, non solo, non ci sono nemmeno mai andata vicina.
    Raùl vi chiedete? Una piccola parentesi mossa dalla disperazione e dalla consapevolezza, seppur celata, di non avere nessun altro. Ma quello non era amore, proprio no.
    Non fasciatevi la testa prima di rompervela, non sto dicendo che ero innamorata di Michael, ma dentro di me sentivo nascere piano piano un sentimento nuovo e sconosciuto, che mi faceva perdere con lo sguardo nel vuoto, nel vano tentativo di comprenderlo. Io che sono sempre sfuggita all'amore, che ho sempre fatto di tutto per allontanarlo e tenerlo fuori dalla mia vita, adesso ero lì inerme, che mi stavo facendo soprassedere e gli stavo dando modo di impossessarsi di me e di ogni singola fibra del mio essere. Ma ancora non lo sapevo, non sono cose di cui ci se ne rende conto immediatamente, sono conclusioni che riusciamo a vedere solamente con il senno di poi.
    Sapete cosa dice Orson Scott Card nel suo libro Empire?
    "L'affetto per le persone è un lusso che ci si può permettere soltanto dopo aver eliminato tutti i nemici. Fino ad allora, chiunque tu ami sarà un ostacolo che ti priverà del coraggio e corromperà il tuo giudizio"
    E sia io che Michael di nemici e fantasmi nell'armadio ne avevamo a dismisura, quindi per noi era una partita già persa in partenza. Non c'era motivo di starci a pensare tanto sù. Lo avrei aiutato a uscire dal baratro in cui si trovava o, quantomeno ci avrei provato e poi stop, basta. Ognuno per la sua strada, esattamente come doveva essere.

    Bene, con questa consapevolezza nella mente mi sentivo decisamente più risoluta e determinata, sentivo che non sarei caduta nella trappola dei suoi splendidi occhi neri che chiedono amore ad ogni battito di ciglia. No, io ero più forte e non ero succube del mio stupido cuore.
    Me lo ripetevo a loop nella testa mentre percorrevo la strada verso casa sua, verso il parco giochi privato dell'uomo rimasto bambino. Sentivo le fusa del motore della mia Morgan accarezzarmi le orecchie mentre il vento fresco di una Los Angeles di notte mi scompigliava leggermente i riccioli rossi. Maledetta vanità e maledetta passione per le auto d'epoca, chi mai oltre me comprerebbe un'auto senza cappotte?
    Cosa stavo andando a fare nella fortezza privata e inespugnabile di Mister Jackson? Lasciate che ve lo racconti.
    I nostri pomeriggi insieme seduti sul tappeto di casa mia a crogiolarsi nel dolce far niente proseguivano ai ritmi regolari di Michael, tanto regolari che la quotidianità al confronto era una scarica di adrenalina. Ogni lunedì, mercoledì e venerdì alla stessa ora, le 15.37, sentivo la sua scampanellata alla porta, a volte andavo ad aprire senza dargli il tempo di suonare il campanello. Il suo concetto di puntualità era straordinario, addirittura più del mio che avevo sangue svizzero, io arrivavo in anticipo, il che è relativamente semplice, ma spaccare sempre il secondo, e sempre lo stesso secondo, non è una cosa da tutti. Non gli ho mai chiesto come e perché lo facesse, sentivo che per lui non era una cosa tanto strana, anzi era assolutamente nella norma, come se l'avere una routine per tutto ciò che faceva gli desse maggiore sicurezza e gli impedisse di pensare. Già, proprio così, a volte, a seconda di che giornata avesse, o di come si fosse alzato, o da che parte gli girasse la luna avevo proprio questa impressione, credevo seriamente che evitasse di pensare, che cercasse in qualsiasi cosa un appiglio per i suoi pensieri. Forse era dovuto anche a questo la sua passione per i libri, perché attraverso le pagine stampate riusciva a diventare qualcun altro e non soffrire per chi realmente era. Esattamente come accadeva anche a me.
    Beh, si lo so, ho deviato, torniamo al motivo che mi stava portando verso Neverland.
    Era un giovedì sera ed ero appena tornata dall'allenamento, mi ero sdraiata sul divano da meno di dieci minuti quando sentii il cellulare squillare, era Conny.

    -Conny, dimmi.-
    -Light, devi venire qua. Subito.-
    -Perché mai? Che succede?-
    -Michael.. Ecco lui non sta bene. Ha chiesto di te.-


    "Non sta bene" e "Ha chiesto di te". Non sapevo quale di queste due frasi mi avesse colpito di più.

    -Dammi una mezz'ora e sono lì.-
    -Light, non dirgli che ti ho chiamato io, non dire nemmeno che ci conosciamo o salta tutto. Inventati qualcosa. La sicurezza al cancello sa già tutto, non preoccuparti, ti faranno passare senza problemi.-
    -D'accordo Conny, arrivo subito.-
    -Light, grazie.-
    -Non lo faccio per te Conny, non devi ringraziarmi.-


    Sapevo cosa potesse avere Michael o meglio, sapevo cosa glielo avesse scatenato, ma non sapevo come lo avrei trovato. Non sapevo nemmeno cosa avrei dovuto dirgli quando sarei entrata nella sua stanza, probabilmente le spiegazioni non sarebbero state necessarie, stordito com'era.
    Avevo paura.
    Si, avete capito, avevo paura e non me ne vergogno. Paura di non poter sopportare la situazione, paura di non farcela, paura di essere respinta, paura di vederlo soffrire. Una fottutissima paura di vederlo soffrire.
    Quando i fari della Morgan illuminarono il cancello posteriore di Neverland e la ruota andò a premere sul sensore per terra, una voce mi disse di entrare dal citofono nascosto dietro la siepe.
    Non chiedetemi di descrivervi quel gigantesco impero, mi sarebbe veramente difficile. Rimandiamo la descrizione della casa di Michael ad un altro momento, oltretutto quella sera se anche mi avesse attraversato la strada un elefante non me ne sarei accorta.
    Non ricordo nemmeno come feci ad arrivare davanti alla scalinata che portava dritta dritta verso la porta d'ingresso, ma in qualche modo ci riuscii e, dopo aver percorso diversi metri, se non chilometri, e comunque decisamente troppi per trattarsi di un giardino privato, spensi i fari, girai la chiave nel quadro e, per un attimo che sembrò infinito, tutto tacque. Rimasi ferma immobile con la cintura ancora allacciata ad ascoltare il niente. Silenzio assoluto. Non c'era da sorprendersi che Michael si sentisse tanto solo e cercasse in me una scappatoia alla sua solitudine. Feci un respiro profondo e scesi dalla macchina.
    Conny, che nel frattempo era stato avvertito del mio arrivo, mi stava aspettando sulla soglia di casa con la testa appoggiata nelle sue manoni enormi. Inutile starvi a descrivere il suo entusiasmo nel vedermi.

    "Light! Finalmente. Vieni andiamo, ti porto di sopra."
    Annuii in silenzio cercando di preparare la mia mente alle eventualità peggiori. E' sempre meglio pensare il peggio delle situazioni, almeno non c'è il rischio di rimanere delusi.

    "Aspetta un momento Light. Sei sicura di farcela?"

    No, non lo ero affatto. Ma volevo, desideravo ardentemente farcela. Volevo essere lì con lui anche solo per tenergli la mano. La paura era niente in confronto a come mi sarei sentita a restarmene con le mani in mano mentre lui si distruggeva. Non potevo, non volevo perderlo.
    Tutto il resto era contorno.
     
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  11. Francina_84
     
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    E come solito leggo con l'ansia... Cavolo Tricche sto racconto dato così a piccole dosi mi tiene davvero sulle spine!!
    :omgomg:
     
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  12. 0marta0
     
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    CITAZIONE
    E come solito leggo con l'ansia... Cavolo Tricche sto racconto dato così a piccole dosi mi tiene davvero sulle spine!!


    comuqnue...bravissima come sempre!:D
     
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  13. Triccheballacche2
     
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    Dieci
    Il fuoco divampante

    "Vattene Conny e fai uscire tutti da lì dentro. Voglio starmene da sola con lui."
    "Ma Light..."
    "Niente ma. Fai quello che ti ho detto. Per favore."


    Sospirai davanti quella porta chiusa di mogano massiccio. Non ero sicura di riuscire a mantenere la calma, fosse stato solo quello il male, non ero sicura proprio di niente in realtà.
    Quando tutti mi furono passati accanto in direzione contraria a quella che avrei preso io, rivolsi un ultimo fugace sguardo a Conny, che annuì con la testa, chiusi gli occhi e poggiai la mano sulla maniglia placcata d'oro.
    Ve lo chiederò ancora una volta. Siete sicuri di voler sapere cosa i miei occhi annebbiati da un velo di lacrime riuscirono a cogliere? Non fu una cosa bella e nemmeno una cosa atrocemente brutta come avevo cercato di immaginare. Fu l'apatia a spaventarmi.
    Mi aspettavo convulsioni, delirio, sudore, vomito, occhi iniettati dal desiderio bramoso di un'altra pasticca, o di qualsiasi altra cosa. E invece no. Fu l'assenza di tutto a rendere tremendamente orribile quello scenario. Non so se riuscirò a descriverlo con delle semplici e banali parole, niente potrebbe rendere l'idea di cosa vedevo, niente riuscirebbe ad andarci nemmeno lontanamente vicino.
    Michael era sdraiato sul letto, sopra le coperte supino, le braccia distese lungo i fianchi e le mani poggiate sulla trapunta a fiori, gli occhi spalancati rivolti verso il soffitto, che immaginavano chissà quali scenari, il volto pallido, quasi cereo. Era ancora vestito, indossava quello splendido completo nero con il gilet rosso a quadri verdi sotto la giacca e i mocassini ai piedi. I calzini erano sorprendentemente blu scuro.
    Il suo corpo era lì, ma lui non c'era. Non un cenno, non un movimento della mano o degli occhi o della bocca. Niente di niente.

    "Michael..."
    Gli presi la mano e gli sorrisi come se potesse vedermi.
    Piansi.
    Credetemi, non sono tipo dalla lacrima facile, ma vedere una persona alla quale tieni e sei affezionata, inerme su un letto che non reagisce a nessun tipo di stimolo esterno, sbriciolerebbe qualsiasi cuore duro. Vedere Michael in quelle condizioni mi provocò uno squarcio tale nel petto che, oggi, solo a ricordarlo, brucia come se ricevessi una pugnalata ad ogni pensiero rievocato.
    Non si mosse e nemmeno ci speravo. Sapevo che non lo avrebbe fatto, ma speravo che almeno riuscisse a sentirmi.

    "Michael, sono qui.."
    Tentativo tanto banale quanto inefficace per il suo corpo. Eppure, dentro di me, in un angolo nascosto della mia coscienza, sapevo che era la cosa giusta da fare. Parlargli. Stare lì in attesa di lui, aspettare che concludesse il suo viaggio per poi tornare da noi, da me. Ormai, a quel punto, era tardi per poter fare qualsiasi altra cosa.

    "Michael sei un po' viziato. Mi hai fatto alzare dal divano alle undici di sera e attraversare Los Angeles con la mia macchina senza tetto, solo perché avevi voglia di vedermi. Non è certo una cosa da gentiluomo."
    Farfugliavo. Che altro potevo fare? Volevo parlargli, dovevo parlargli. Sentivo che le mie parole, seppur sconnesse e prive di alcun senso, lo avrebbero aiutato. Le orecchie non si possono comandare, se puoi chiudere gli occhi per non vedere, trattenere il respiro per non annusare, chiudere la bocca per non assaporare e legarti le mani per non toccare, non puoi far niente per non udire. Ero certa che sentisse la mia voce, in qualsiasi posto si trovasse in quel momento.

    Non gli lasciai la mano nemmeno per un momento, rimasi seduta su quella sedia accanto al suo letto per diverse ore, non ricordo quante con precisione.
    Mi guardai intorno senza muovermi dalla mia posizione. Sul comodino trovavano comodamente posto, insieme a un libro e a una abat jour di dubbio gusto, diversi flaconi di pillole e gocce. Gli unici che riconobbi erano lo Xanax e il Lexotan, ansiolitici della famiglia delle benzodiazepine, i sostituti dei barbiturici dagli inizi degli anni 60.
    Poggiai la testa sul suo petto e chiusi gli occhi cullata dal lento e dolce ticchettio del suo cuore. Tu-tum, tu-tum, tu-tum.
    Forse mi addormentai per quelli che mi sembrarono pochi minuti, perché improvvisamente mi ritrovai in un prato pieno di margherite con Michael che mi guardava da sopra il ramo di un albero. Io gli sorridevo divertita nel vederlo penzolare come una scimmia e allungavo le braccia come a volerlo raggiungere, ma tutto ad un tratto lo scenario cambiò e mi ritrovai nel bel mezzo dei monti, ma non i classici pendii pieni di neve e alla fine dei quali si trovano immense distese di erba, ma nel mezzo di montagne secche e riarse, che non vedevano l'ombra di una nuvola carica di pioggia da chissà quanti anni. Alzavo lo sguardo e raggiungevo immediatamente il volto di Michael, tradito dalla sofferenza mentre era legato alla cima della montagna più alta e invocava il mio aiuto.
    Per fortuna quell'incubo non durò a lungo, fui svegliata di soprassalto da una mano che si poggiò sulla mia testa. La mano di Michael mi stava accarezzando i capelli, l'avrei riconosciuta tra mille, l'odore della sua pelle era assolutamente inconfondibile. Fresia, saponetta alla vaniglia, frutta fresca di stagione, latte. Il suo odore naturale era uno tra gli odori più buoni che avessi mai sentito in tutta la mia vita. Rimasi per un altro spicciolo di tempo con gli occhi chiusi inalando tanta aria quanto i miei polmoni sarebbero stati in grado di contenerne. Poi lo abbracciai.
    Era calmo. Sorprendentemente calmo. Non più inerme come prima, ma era come se il suo cervello funzionasse a rallentatore.

    "Che significa? Quando..." si schiarì la voce, probabilmente la gola gli bruciava da tanto che era secca. "Quando sei arrivata?"
    "Mentre dormivi. Avevo voglia di vederti."


    Mentii. La verità in quel momento non gli sarebbe piaciuta. Almeno quanto a me non piaceva raccontargli una balla. Si stropicciò gli occhi e trattenne il respiro per un paio di secondi in più del necessario.

    "Non.. Non capisco. Come hai fatto a entrare? Io.."
    Sputò fuori tutta l'aria che aveva trattenuto respirando a intervalli non esattamente regolari. Sembrava che si fosse dimenticato come si fa a inspirare ed espirare normalmente. Le braccia, che erano rimaste sulla sua faccia, caddero da sole ai lati del suo corpo, come se fossero state spinte giù da una forza sovrannaturale ed invisibile.

    "Non c'è bisogno di capire Michael. Sono qui punto e basta."

    Come stavo io vi chiedete?
    Di merda. Per tre ragioni.
    Uno: ero costretta a mentire.
    Due: non sapevo mentire.
    Tre: non volevo mentire a lui. Mai.
    Senza considerare poi la sofferenza interiore che mi toglieva il fiato. Avete presente quando c'è qualcosa che vi brucia dentro talmente tanto che nello stomaco sembra formarsi una palla di fuoco? Io la sentivo perfettamente. Potevo definirne con assoluta precisione i contorni e intercettarla in ogni suo minimo spostamento. Avrei avuto voglia di vomitarla da quanto bruciava e faceva male. Ma continuavo a deglutire cercando di spengere quel fuoco e cercando di non pensare a me, ma a lui. In fondo ero lì per quello.
     
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  14. Francina_84
     
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    Ahhhh meno male che quando parte la crisi di astinenza ci fornisci prontamente un nuovo capitolo.. :love:

    [però tra breve avremo bisogno pure noi di una 'Light' che ci venga a disintossicare.... Ma dalla dipendenza di fanfiction però! :sese: ]
     
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  15. 0marta0
     
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    CITAZIONE
    [però tra breve avremo bisogno pure noi di una 'Light' che ci venga a disintossicare.... Ma dalla dipendenza di fanfiction però! ]

    già già!!!
    sei davvero bravisisma scrivere! continua così! :D
     
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114 replies since 13/1/2010, 21:44   2640 views
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