Michael Jackson, persecuzione mediatica, processi in tribunale, morte e “resurrezione” nel mondo

di Stefania Bufano

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    "The King of Pop"

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    Michael Jackson, persecuzione mediatica, processi in tribunale, morte e “resurrezione” di MJ nel mondo

    25 settembre 2010

    “La mia ora è vicina, dottore. Ma poi non so... Sono morto tante volte”. Così dice Calvero, il protagonista già ricordato di Luci della ribalta, impersonato da Charlie Chaplin. Un ruolo autobiografico per lui: colpito dal maccartismo – che aveva fatto allontanare il pubblico dal suo assoluto genio e lui stesso, non più gradito, dagli Stati Uniti –, già "all'uscita di Monsieur Verdoux venne pubblicamente accusato di "filocomunismo" e nel 1949 divenne uno dei bersagli del movimento innescato dal senatore Joseph McCarthy. Chaplin negò sempre, con veemenza. Disse anche che era stanco di rispondere sempre alla stessa domanda”.

    “Sono morto tante volte”. Così forse è per tutti noi. Forse si muore veramente quando si muore. Forse si muore un poco alla volta, mentre pure si vive. Forse, quando si muore, non si muore mai del tutto veramente, ma come ci insegna la Fisica ci si trasforma: e si va – senza più la nostra personale cara, vecchia co(no)scienza – dentro al tutto, in altra forma, nell'Infinito. Così anche doveva essere stato per Michael Jackson, che tutto – felicità, infelicità – aveva sempre avuto in "dose massiccia": fino alla morte.

    Un giorno, l'essere umano che amava gli esseri umani e più di ogni altro i bambini, l'uomo che più al mondo – secondo solo all'Unicef –, con la sua Fondazione Heal the World, aveva dato aiuti ai bambini, l'essere umano che voleva salvare la Terra, gli animali, e pur amando ancora la vita, e pur ancora vivendo, era come morto.
    O meglio, una parte di lui era come morta: era come se fosse stato ucciso. Ucciso: dalla macchia più terribile dalla quale un essere umano possa essere macchiato. Pedofilia. È idea comune che “quando si ha la macchia della pedofilia, anche dopo una sentenza, anche se si viene dopo dichiarati innocenti, quella ti rimanga addosso per sempre”. Sospetti, insinuazioni, eterni dubbi. Per sempre.


    Chi non vede quella macchia su Michael Jackson è probabilmente colui che non la vedeva nemmeno prima: la vedeva altrove. La vedeva in chi, per ragioni più o meno segrete, voleva la fine di Michael Jackson che, a volte, lanciava un grido di allarme, sia privatamente a qualcuno sia pubblicamente a tutti. La vedeva in chi preferiva giudicare senza prima cercare di conoscere e capire.
    La vedeva in chi, con ogni pretesto, voleva guadagnare: vendendo orrore, spacciando orrore, qualsiasi cosa, a qualsiasi prezzo, sapendo che sarebbe bastato il nome di una persona, di un essere umano che “valeva oro” (e fin da bambino "valeva oro"), per far guadagnare appunto oro: era molto facile, insomma, in questo senso, “cadere in tentazione”, con Michael Jackson.
    La vedeva in chi – la macchia –, genitore di un bambino, era pronto e lesto, ad affermare sostanzialmente: “Hai abusato del mio bambino, ma se mi dai una montagna di soldi la cosa finisce qui”. E prima di questo – questo genitore, questo essere umano – era pronto al ricatto, e così all'invenzione, o viceversa, prima all'invenzione poi al ricatto.
    Immaginiamo: "O mi dai una montagna di soldi, o ti rovino". Ma l'essere umano che amava i bambini non aveva ceduto ai ricatti: sapeva di essere innocente. E ancora: quanti genitori sarebbero disposti a voler guadagnare (patteggiare) sulla – eventuale, ipotetica – terribile, tragedia, del proprio bambino? Su un dolore incancellabile? Quali genitori sono disposti a rinunciare a “che sia fatta giustizia” al proprio bambino? Eppure tutto questo è esistito. Questa macchia esiste.


    Quante terribili cose vengono fatte ai bambini. Pedofilia, rapimenti, omicidi, violenza, tratta, vendita di organi, morte per fame, per sete, per malattia, per abbandono e, nei casi di paesi “più sviluppati”, quella terribile cosa di cui dicevamo, che potremmo chiamare una “vendita consapevole del proprio figlio inconsapevole”. Non è – anche questa – una abominevole macchia?
    Non è anche questa una terribile malattia, al pari della pedofilia, al pari di una psicosi che può condurre qualcuno all'omicidio? Si può morire un poco alla volta. E non è un po' come morire, per un bambino, sapere di essere stato venduto dai propri genitori, di essere stato usato per guadagnare?


    Michael Jackson aveva smesso di mangiare. Aveva iniziato a usare farmaci per contenere l'enorme, devastante, sofferenza (che sarebbe stata per sempre rinnovata dall'eterno sospetto: la “macchia”, alimentata da giornalisti-impostori, da un Sistema da una parte forse solo malato, perverso, fondato esclusivamente sul "guadagno", da un'altra forse con moventi oscuri ai più, ma perfettamente consapevole dei propri mezzi e fini...). Ai farmaci antidolorifici, che era già stato costretto a usare in seguito forse all'incidente che gli causò delle ustioni alla testa, o forse anche prima, chissà, più banalmente, come qualsiasi ballerino, normalmente, prima o poi, è costretto a fare, avrebbe aggiunto gli psicofarmaci:
    “In quel periodo, il cantante cominciò a fare uso regolare di antidolorifici e farmaci [...] per affrontare lo stress provocato dalle accuse formulategli contro. Proprio il massiccio uso di antidolorifici sarebbe stata, anni dopo, una delle cause principali della sua prematura morte. In quel periodo iniziarono anche a circolare voci secondo cui Jackson aveva perso circa 4,5 kg di peso e aveva smesso di mangiare".

    Un giorno è obbligato a interrompere un importante tour, e si suppone che si debba stare veramente male per arrivare a questo, ma ecco “giornalisti” (immaginiamo pensando, con certo entusiasmo: “Ecco, un po' di lavoro!”) mettersi comodi alla scrivania e concepire mostruosità ancor più spettacolari di uno spettacolo (perché uno spettacolo è uno spettacolo, mentre fare del male a una persona non è uno spettacolo: è fare del male a una persona):
    "La salute del cantante stava peggiorando così tanto che si decise di interrompere il Dangerous World Tour, ancora in corso, per permettergli di sottoporsi a cure di riabilitazione. Jackson aveva, infatti, prenotato l'intero quarto piano di una clinica segreta. Il suo portavoce disse ai giornalisti che Michael era "a malapena in possesso delle proprie facoltà intellettive”. Quando Jackson lasciò gli Stati Uniti per iniziare la terapia di riabilitazione, i media parvero lucrare sul momento difficile del cantante. Il Daily Mirror indisse un concorso chiamato "Spot the Jacko" che metteva in palio un viaggio a Disney World per i lettori che avessero scoperto la clinica in cui era ricoverato il cantante. Il Daily Express titolò in prima pagina "La star depressa affronta la vita on the Run", mentre il News of the World accusò Jackson di essere un fuggitivo.
    Gli stessi tabloid diffusero anche la falsa notizia che Jackson si trovava in Europa per sottoporsi a vari interventi di chirurgia plastica che l'avrebbero reso irriconoscibile al suo ritorno”.


    "Per dieci anni i «criminalmedia» lo hanno massacrato nonostante lui si dichiarasse innocente e nonostante nessuna prova sia mai emersa. Lo hanno distrutto, devastato [...]", scrive Adriano Celentano, all'indomani della morte di Michael Jackson.

    ***

    Ogni tanto, su questo pianeta, arriva qualcuno capace di dare tantissimo, a tantissime persone tutte insieme, e soprattutto a quelle che soffrono. Poi, purtroppo, come se dovesse essere una Legge della Fisica, quando quello stesso qualcuno ha bisogno d'aiuto, difficilmente si riesce ad aiutarlo. Magari riceve anche amore, affetto, solidarietà, tante cose: ma non si riesce ad aiutarlo tanto da poterlo veramente salvare. Sembra una “coazione a ripetere”: quella del “Cristo messo in croce”. È come se ci fosse, di fondo, in certi casi, un tale sbilanciamento tra il “dare” e l'”avere”, che diviene una legge non poter ricevere, alla fine, ciò che più infine conta: la salvezza, almeno, della propria vita.
    Per non dare un estremo dolore, almeno, alle persone più care e alle persone che hanno bisogno di ricevere e dare ancora amore. È come se certe vite terrene, quando prolungano di un poco la loro esistenza, nonostante un enorme fardello (la pesante croce da portare...) lo facessero con grande fatica ancora per un poco: per le persone care, per coloro che si vorrebbe ancora amare; per la propria vocazione, o per la missione che sentono di avere e di dover portare avanti. Ma al contempo sono già “prese”. Prese, fagogitate: un po' da tutti. Prese: da un destino che non si può cambiare. Prese da alcuni che lo amano veramente e dalla croce che altri invece vogliono fargli portare: fino alla fine. Appartengono a tutti quelli che lo vogliono prendere. Tutti quelli che ne vogliono avere un poco.
    Ma come potersi veramente e lungamente conservare, risparmiare, poter conservare e risparmiare un poco le forze, in questo modo? Bisognerebbe cambiare, diventare un altro: e non si può. Invero, dovrebbero cambiare coloro che vogliono mettere in croce qualcuno. Dovrebbero cambiare i persecutori, o dovrebbe essere tolto loro il potere di perseguitare: ma sono secoli che questa storia si ripete...



    Ogni tanto, su questo pianeta, in mezzo a guerre di ogni tipo, all'infelicità, alla disperazione, alla mancanza di senso, di conforto, nella incapacità o autentica impossibilità di aiutare il prossimo, di piantare un albero, di piantarla di rendere la vita una lunga sequela di sciocchezze, fare una camminata e lasciare l'automobile a casa, di aiutare la Terra a respirare anziché a soffocarla, arriva qualcuno che riesce a dare molto. Moltissimo. A moltissime persone: tutte insieme.
    A qualcuno lo lo fa sorridere, a un altro lo commuove, a un altro ancora le due cose insieme. A una persona dice parole che le cambiano la vita. A un'altra dà una rinnovata fiducia in quello che vive. A molti dà una carica di pura energia che fa loro dire: “Adesso riparto”, e ripartono davvero. Qualcuno aveva smesso di ballare e ricomincia. Qualcun altro di suonare e ricomincia. Qualcuno è malato e riceve un abbraccio, una promessa di rivedersi ancora, una promessa di guarigione, di fiducia nella guarigione, qualcuno invece avrà avuto una inevitabile morte, ma avendo ricevuto un abbraccio, ascolto, parole che non possiamo sapere come e quanto lo abbiano accompagnato fino alla fine della coscienza, in quel tunnel lunghissimo e bianco di cui abbiamo sentito parlare in cui si entrerebbe quando si muore. Qualcuno ride, qualcuno piange. Qualcuno sta su una sedia a rotelle, e in mezzo a una folla, ha un grande coraggio: vuole uscire di casa lo stesso, stare lì, con gli altri, vedere, ascoltare la musica, ballare come può: che importa, sembra dire, mi muovo sulla sedia.



    Ogni tanto, su questo pianeta, arriva qualcuno che riesce a mettere insieme tante, tantissime persone. Tutte insieme. E ballano, cantano, sentono l'amore da una parte e lo rimandano all'altra, e se lo rimandano tra loro, si abbracciano tra loro, così vicini, così in tanti, ed è bellissimo vederlo, ed è bellissimo che accada, ed è come un'iniezione di felicità, di energia, di vita bella, che tocca alcuni, ma che poi si propaga ancora ad altri che non erano lì presenti.

    Qualcuno è in ospedale e riceve una visita, una carezza, dei fiori, una fotografia, un piccolo dono, un abbraccio, altri ricevono soldi, perché ne hanno proprio bisogno, e magari tutti quelli che hanno soldi ne dessero a chi ne ha bisogno: non esisterebbe più quel bisogno. Qualcuno è bambino e ha una famiglia in difficoltà, non gioca granché, non può andare in palestra, o in piscina, e non ha molti amici, ma un giorno va a Nerverland, l'isola che non c'è, e che invece c'è. C'è veramente, adesso l'ha vista, e nessuno potrà dirgli che se l'è sognata, perché è un bambino che sogna e s'inventa le cose perché ha problemi in famiglia e che in realtà lui quel giorno non ha fatto un bel niente e non è stato proprio da nessuna parte. No, no, c'è stato veramente, lui, lì, in quel posto, l'isola che non c'è per gli altri, quelli che non ci sono stati. O quelli che non ci credono che lui ci sia stato.

    Lì ci sta uno che si chiama Michael Jackson che sta con lui tutto il giorno, con altri bambini, tanti, alcuni sono malati, e quel giorno per loro è una festa ancora più speciale, e tutti insieme quel giorno hanno tutti i giochi del mondo concentrati lì, tutti i colori, tutti gli animali, tutti i tipi di caramelle, che tanti bambini di altre parti del mondo non si potrebbero nemmeno immaginare. E loro gioiscono anche per loro, gioiscono per tutti i bambini del mondo che non ci possono essere lì, a Neverland. Sono la gioia dei bambini di tutto il mondo. E così, quante parole, quante corse, quante risate, quanti scherzi, quanti giochi, quante domande.
    “Michael, ma hai comprato veramente tutto tu, qui?”. “Michael, ma dopo tutto questo... Hai ancora dei soldi?”, e adesso via, adesso si va a vedere gli elefanti, via... Si riparte, con le grida di gioia dei bambini, che ancora sono sparse in giro, in tutto l'universo, insieme alla musica, il ballo, i gesti, i sorrisi, gli abbracci, le parole, la voce di Michael Jackson, sparsi in giro per il mondo, in un “giro giro tondo”, e ci sono insieme Mozart, Beethoven, Rossini, Bach, Giacomo Leopardi, insieme, nell'Infinito, e insieme a loro tanti altri ancora di cui nemmeno conosciamo il nome, e voci, tante voci, e i bambini che fanno "giro giro tondo" e qualcuno dice:
    “Ciao Michael, grazie di tutto quello che ci hai dato”.

    di Stefania Bufano

    Fonte: http://oscar.ilcannocchiale.it/post/2542642.html

    Edited by ArcoIris - 25/3/2018, 17:14
     
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