"Michael e le Donne"- sesso, amore.. eh..

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  1. Wivvy
     
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    In linea di massima sono d'accordo con te Valerie: innanzitutto (ovviamente!) sul fatto che eventi e vissuti infantili abbiano un impatto notevole sul futuro sviluppo psichico, la tutela e la protezione dell'infanzia dovrebbe mirare proprio a questo, ad evitare che il futuro di adulti di questi bambini risulti compromesso perché sottoposti a condizioni e situazioni che non possono metabolizzare non avendo ancora acquisito gli strumenti giusti.
    Concordo poi sul fatto che molto probabilmente Michael ne avrà anche conosciute di donne davvero amabili e amorevoli e questo un po' per cinica statistica (legge dei grandi numeri!) ma anche perché da donna mi piace pensare che non siamo ancora del tutto compromesse, anche perché se fosse davvero così sarebbe un dramma enorme perché è fondamentalmente attraverso le donne che si tramanda l'affettività.
    Su quanto però Michael fosse davvero in grado di riconoscerle queste donne pur avendole sotto mano sento di conservare almeno qualche dubbio. E questo mi porta ad un punto del tuo post con cui non sono proprio in linea: onestamente nutro qualche perplessità (e si può anche facilmente intuire il perché) sul fatto che letture, studi, anche approfonditi e 'centrati' possano da soli 'risolvere' tutta quella complessità di cui abbiamo parlato finora. Riconoscerle a livello razionale forse ma elaborarle e accettarle nel profondo fino a renderle consapevoli non ne sarei così sicura.
    Non so quanto possano da sole aver portato Michael a 'curarle'. E questo per me non leva niente alla 'genialità' di Michael che rimane comunque un uomo fatto di umana fragilità.
    E apro un attimo il capitolo 'cura' che io qui intendo, attenzione, non come necessità per una mancanza e quindi con una sorta di 'giudizio' sopra (c'è qualcosa che non va e quindi la 'curiamo' come in uso per esempio nell'ambito prettamente medico) quanto piuttosto come un modo per mantenere e preservare una risorsa (ovvero quella nostra parte piccola, fragile e tenera, che risuona fortissima nell'infanzia ma che non finisce con essa). 'Prendersi cura di' vuol dire riconoscere e dare valore a qualcosa che, pertanto, non è né sbagliata né manchevole, ma anzi preziosissima seppur fragile.
    È, o dovrebbe essere, una sorta di assunto di base: la 'cura' come prevenzione lungimirante del malessere.
    E questo tipo di cura, che a mio avviso è la più importante e quella che fa la differenza, si sperimenta solo ed esclusivamente all'interno di una relazione. E quindi è la 'qualità' di questa relazione a fare la differenza.
    Dalla primissima e primaria relazione con la madre (di cui abbiamo abbondantemente parlato) in poi, toccando tutte le altre relazioni, fino ad arrivare, se presente, a quella con un terapeuta che ti accompagna e ti sostiene in questo viaggio di accettazione e consapevolezza di te stesso attraverso però anche le relazioni che ti hanno formato. Da soli questo non lo si può fare o quanto meno non a livello particolarmente profondo, non secondo me almeno. È nella relazione che c'è la causa e allo stesso tempo la cura del malessere.
    Vi faccio un esempio, anche un po' 'sciocco'. La maggior parte di coloro che scelgono la facoltà di psicologia lo fanno, tra le altre cose, anche pensando di poter in questo modo in un certo senso 'risolvere' se stessi, da soli appunto, per poi scoprire più o meno amaramente che anche loro hanno bisogno di uno psicologo, esattamente come tutti gli altri 'comuni mortali'! E non è una battuta! Perché avere bisogno di uno psicologo non significa essere necessariamente 'pazzi' o 'strani' o non so quale altro aggettivo sempre e solo a connotazione negativa.
    E spero capirete che quanto dico non è per 'tirare acqua al mio mulino' quanto piuttosto lo spunto per un discorso che apre le porte ad un pensiero di reale, genuina, tolleranza e comprensione della sofferenza, senza appoggiarci sopra un giudizio di valore. Che era poi il pensiero di Michael.
    Per anni ho pensato a lui come ad una creatura fondamentalmente infelice soffrendone così tanto da dovermi ad un certo punto ritirate da lui per schermarmi egoisticamente da quel dolore: quando appresi della notizia della sua morte il mio primo pensiero fu 'beh, almeno ha smesso di soffrire'. Al dolore si accompagnava un sollievo che però era raccapricciante.
    In questi anni post 2009, probabilmente anche suggestionata dall'hoax, non so, il mio modo di pensarlo è un po' cambiato, ho provato a conoscerlo meglio e l'ho riempito di fiducia e speranza. Costantemente spero e prego che, se davvero ancora vivo, stare in un certo senso 'fuori' da questo mondo così incapace di capirlo e perennemente pronto ad usarlo come schermo per le proprie mancanze, possa avergli finalmente offerto la possibilità di 'prendersi cura' di sè, ma per davvero e nel senso di cui parlavo prima, quindi con l'aiuto di qualcuno accanto.
    Lo immagino allora meno solo e più in contatto con se stesso pur essendo ben consapevole che questa è 'solo' una mia costruzione, un mio desiderio profondo per lui. Ma ho deciso di concedermelo, mi fa compagnia e mi aiuta a sopportare la sua mancanza. Mi fa anche capire che il volerlo indietro qui 'per' noi sarebbe forse solo l'ennesima egoista richiesta di un mondo che ha fatto di tutto per 'possederlo' fino quasi a inghiottirlo offrendo invece a lui in cambio inaccettabili dosi di oltraggio e scherno.
     
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87 replies since 17/1/2013, 20:12   33011 views
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